Job Act: Renzi prepara l’attacco finale al lavoro
gen 10th, 2014 | Di Eugenio Orso | Categoria: Contributidi Eugenio Orso
Per ora c’è solo l’annuncio trionfale di Renzi, ma a giorni seguirà lo Job Act, chiamato così in (neo)lingua esotica, per sottolineare meglio la totale subalternità italiana all’occidente neocapitalistico e il liberal-liberismo che anima la marionetta Renzi. Sembra che questo obbrobrio, sicuramente pensato contro il lavoro stabile e ancora tutelato – con la scusa di creare occupazione per chi non l’ha e di estendere le garanzie ai precari – sarà articolato su tre semplici punti e non avrà come “cuore” la riforma dell’articolo 18 (dello statuto dei lavoratori del 1970). Ostacolo “ideologico” quest’ultimo, secondo Matteo, alle necessarie riforme del mercato del lavoro (e contro i lavoratori) che non si fermeranno nel dopo Monti e Fornero.
Come d’abitudine, esternando all’inaugurazione fiorentina di Pitti, il sindaco di Firenze/segretario del pd non ha detto nulla di veramente concreto, entrando a corpo morto nel dettaglio tecnico (forse per non sciupare la sorpresa?), ma si è riempito la bocca di slogan, banalità, di frasi fatte, di dichiarazioni generiche e inconsistenti sul piano pratico. Alcuni esempi? Contrastare il costo della burocrazia per evitare le delocalizzazioni industriali, in Austria e altrove (sopprimendo posti di lavoro nel pubblico e mantenendo alto il tasso di disoccupazione?). Cominciare dal Made in Italy che è una scontata parola d’ordine (ma esisterà ancora il Made in Italy nel futuro?). Avere attenzione per il tema dell’innovazione (Quale? Di prodotto o di processo?). Mettere chi fa impresa in condizioni di poterla fare (Renzi abbasserà veramente le imposte, le tasse e i contributi, i costi dell’energia?).
Quel che conta – e lo vedremo quando l’imbroglione-capo piddino presenterà i tre punti dello Job Act – è che dietro “il costo della burocrazia” vi sono centinaia di migliaia di posti nel settore pubblico a rischio, e non è per niente certo che una contrazione dell’impiego pubblico eviterà ulteriori delocalizzazioni industriali. Semplicemente contribuirà a mantenere alto il tasso di disoccupazione, da un lato, e dall’altro, risparmiando sulla “macchina dello stato”, libererà ancora risorse per il grande capitale finanziario. Del quale Renzi, con Letta, Napolitano e il resto del pd, è fedele servitore. L’esaltazione sloganistica del Made in Italy, da rilanciare, non tiene conto che un paio di finanzieri francesi (e non solo loro) sta facendo incetta di marchi italiani del lusso, della moda, del bello. La svendita continuerà, nonostante l’annuncio renziano, come tributo all’apertura definitiva al mercato. Per quanto riguarda la mitica “innovazione”, credo che si tratti di aria fritta. Anche nel caso di una diminuzione del costo della burocrazia, dei costi dell’energia, e persino delle tasse, le risorse in più a disposizione delle imprese nazionali superstiti non finanzieranno “innovazione”, ma semplicemente alimenteranno i profitti, le speculazioni finanziarie e i consumi “di prestigio” di pochi. Mettere chi fa impresa in condizioni di farla, poi, sembra una battuta, un vuoto slogan da campagna elettorale al quale gli italiani dovrebbero essere ormai abituati. E’ facile prevedere che pareggio di bilancio imposto e recepito in costituzione, la strenua “difesa dell’euro” e il rispetto del 3% massimo nel rapporto deficit/pil, non consentiranno abbattimenti di imposte e tasse e significativi sgravi in termini di contributi. Tagli alla spesa pubblica e aumenti fiscali – iva, irpef regionale e comunale, nuove e crescenti imposte locali, sulle immondizie e sulla casa – sono prevedibili anche nei prossimi anni. In queste condizioni, con queste politiche economiche imposte dalla bce, dai crucchi e dal fmi, si può mettere chi fa impresa in condizioni di farla – e di assumere qualcuno – solo precarizzando ulteriormente e sottopagando il lavoro.
Per Renzi, il mondo del lavoro è spaccato, diviso fra chi è garantito (e il neo capoccia piddino freme per colpire le garanzie) e chi le garanzie non le ha mai avute. Segnatamente i precari, buona parte dei contratti stipulati in questi ultimi anni. Ricordiamo che i precari sono stati generati proprio dalle normative del sistema che ha “prodotto” Renzi e che Matteo serve. Il disegno renziano è chiaro e non è nuovo. Mettere i precari contro gli stabilizzati, cioè i “vecchi” lavoratori a tempo indeterminato, illudendoli che saranno stabilizzati anche loro e che in futuro godranno di maggiori tutele. Vedremo se la proposta finale di Renzi – o di chi per lui – assomiglierà a uno spolvero del cosiddetto “contratto di lavoro leggero”, con minori tutele per tutti e con paghe d’ingresso ridotte all’osso. In pratica, l’idea potrebbe essere quella di “spalmare” le tutele su un numero più grande di lavoratori, riducendole drasticamente per tutti e mettendo fine a quello che è stato chiamato il doppio mercato del lavoro. Naturalmente andando a ribasso, in quanto a garanzie per il posto di lavoro e retribuzioni.
Per ora basti questo. Quando uscirà il tanto atteso (e temuto) Job Act renziano potremmo essere più precisi … e ancor più ferocemente critici.