India Italia: ritorno dal futuro

dic 17th, 2013 | Di | Categoria: Politica Internazionale

Di ritorno da un lungo soggiorno in India, ripenso ancora alla geniale intuizione di Marx: “L’India è un’Italia di dimensioni asiatiche

 di Piero Pagliani

In India ci si può andare per cercare atmosfere esotiche, oppure una spiritualità che da noi sembrerebbe mancare. In entrambi i casi il presupposto è che ci si vada con una bella corazza eurocentrica che tenga fuori l’India in carne ed ossa con le sue dinamiche storiche, sociali, politiche, ecologiche e antropologiche. Se invece si cerca di non rimanere a contemplare il subcontinente dalla finestra anche quando, paradossalmente, si è entrati fisicamente dalla sua porta, e se ci si sforza di “vivere” un po’ l’India, per quanto la sua complessità geografica, storica e culturale lo permetta a una mente occidentale, allora non è impossibile capire, anche se solo approssimativamente, che quello che sembra un tuffo nel passato è invece un bagno nel futuro, “arretratezze” e stridenti contraddizioni economico-sociali comprese.
Sono appena tornato dal mio decimo soggiorno in quello straordinario patchwork di lingue, alfabeti, etnie, filosofie, religioni, economie e condizioni sociali e ancora una volta non posso riflettere se non partendo dalla geniale intuizione di Marx: “L’India è un’Italia di dimensioni asiatiche“, dove la dimensione dilatata diventa una contrazione del tempo così che i fenomeni che là si riscontrano appaiono come possibili esasperazioni di quelli che nel nostro Paese sono ancora in cova.
Una convinzione confermata anche da questo viaggio un po’ stravagante, dalle dimore reali del Rajasthan all’utopia sincretistica della Ramakrishna Mission di Calcutta, dall’Università Visva-Bharati di Santiniketan fondata da Tagore, dove si sono formate menti come il Nobel per l’Economia, Amartya Sen, alla Jawaharlal Nerhu University di Delhi dove ci si iscrive solo per specializzarsi in un campus che è un microcosmo dell’India, come lì amano presentarsi.
In mezzo, l’incontro con una cara amica, tanto energica quanto affascinante, che la verità sulla Siria e sull’Afghanistan ha voluto andarsela a vedere con autobus di linea, in due viaggi infiniti dall’Europa all’India. Una verità vista con gli occhi di una giovane donna indù in mezzo ai fermenti e alle tragedie di Paesi musulmani. Chapeau!
Di questo non parlerò qui, ma a suo tempo. Dirò invece, ma alla fine, del mio “incontro” fortuito e tangenziale con l’altra parte della barricata mediorientale, a Kuwait City, nel mio poco avventuroso viaggio inverso dall’India all’Europa.
L’India è un’Italia di dimensioni asiatiche. Frammento 1
Se dall’oasi di pace di Santiniketan si ritorna alla congestione di Calcutta passando per Panagarh (a causa di un ponte interrotto sulla strada più diretta), si incrocia la Durgapur-Kolkata Expressway, parte della micidiale National Highway 2 che collega la capitale del Bengala Occidentale alla capitale dell’India, e la si incrocia proprio a pochi chilometri da Singur. Lì appare spettrale la famigerata cattedrale nel deserto: la non-fabbrica della Tata Motors abbandonata al suo destino dopo le drammatiche proteste dei contadini che non accettavano l’esproprio dei loro terreni decisa dall’allora governo del Fronte delle Sinistre. A nulla valse il compromesso raggiunto col patrocinio del Governatore allora in carica, Gopalkrishna Gandhi, nipote del Mahatma.[1]La Tata Motors non accettò nemmeno un metro quadrato in meno di quanto pretendeva. Così lasciò quel simulacro di fabbrica a severo monito della devastazione gratuita di cui era capace il “capitalismo dal volto umano” esaltato da qualche giornalista e ricostruì la sua fabbrica nel Gujarat governato dal BJP, il partito nazionalista indù. Perché tra gli Stati indiani vale una sorta di spread politico-sociale: chi offre condizioni più vantaggiose (ovvero carta bianca) agli imprenditori più potenti?

Il Fronte delle Sinistre, capeggiato dal Partito Comunista Indiano (Marxista), o CPM, aveva cercato di mettersi al passo col neoliberismo imperante ma era stato fermato dalla lotta corale dei contadini e degli intellettuali che fino al giorno prima erano stati i suoi sostenitori, lasciandoci le penne e sparendo dallo scenario politico bengalese dopo 34 anni consecutivi di governo.
L’India è un’Italia di dimensioni asiatiche?
L’India è un’Italia di dimensioni asiatiche. Frammento 2
Il BJP è anche l’assoluto vincitore delle elezioni statali che si sono tenute ai primi di dicembre nel Chhattisgarh, nel Mizoram, nel Rajasthan, nel Madhya Pradesh e a Delhi. Se il risultato nel Rajasthan si sentiva nell’aria, nelle manifestazioni di strada, nelle onnipresenti bandiere dei Saffrons [2] e nei discorsi della gente, i 121 deputati del BJP contro i 21 del Congress Party hanno sbalordito. Ma molto di più ha sbalordito il 165 a 58 del Madhya Pradesh e soprattutto il 32 a 8 di Delhi, fino a ieri roccaforte del Congress. Il partito di Sonia Gandhi si è dovuto accontentare della vittoria del piccolo Mizoram, una delle isolate e irrequiete Sette Sorelle del Nordest, abbarbicato tra Myanmar e Bangladesh.
Ma a Delhi, udite udite!, un altro fenomeno ha sorpreso: l’esplosiva entrata in scena dell’Aam Aadmi Party che con 28 deputati su 70 è diventato il secondo partito del National Capital Territory of Delhi [3].
Questo partito è stato fondato da Arvind Kejriwal, un ingegnere quarantacinquenne che con l’appoggio di personalità di sinistra, come le grandi attiviste Aruna Roy e Medha Patkar, si è staccato dal movimento “anticasta” (nel senso usato da noi, non nel senso delle caste indiane) del controverso Anna Hazare. Ma cosa significa “Aam Aadmi“? Significa, udite udite un’altra volta!, “Uomo Qualunque”. Proprio così, l’AAP è il Partito dell’Uomo Qualunque.
Così dichiara Arvind Kejriwal: “Noi siamo aam aadmis. Se troviamo una soluzione nella sinistra, siamo felici di prenderla in prestito da lì. Se la troviamo nella destra, siamo felici di prenderla in prestito da là“.
Qui vengono in mente molte cose, dal Movimento 5 Stelle ai Forconi, le nuove espressioni che assume l’opposizione di una società “liquida”, cioè sempre meno strutturata in classi, agli esiti disastrosi di un modo di produzione sempre più di classe. Sono appena tornato in Italia e ciò che è successo attorno al 9 dicembre mi è giunto da lontano. Devo riprendere il filo dell’analisi, ma a prima vista mi sembra che posizioni come quelle di Infoaut siano tra le più condivisibili. Ne riparleremo, ma di sicuro siamo in mezzo a fenomeni che solo apparentemente possono essere catalogati con le vecchie categorie. Certo anche la destra cerca di sfruttarli usando le proprie categorie, che però non sono di certo più nuove e quindi non daranno alla destra maggiori soddisfazioni (a meno di clamorose stupidaggini della sinistra anticapitalista).
Ad ogni modo, il Congress Party di Sonia Gandhi, attualmente al potere, dovrà prendere serie contromisure in vista delle elezioni generali del prossimo anno e già le sue correnti e i leader contrapposti stanno affilando i coltelli.
Ricorda qualcosa? L’India è un’Italia di dimensioni asiatiche?
L’India è un’Italia di dimensioni asiatiche. Frammento 3
La recente consultazione elettorale ha decretato la sparizione dei due partiti comunisti, il Communist Party of India e il summenzionato CPM [4].
Al di là dei loro errori sembra il segnale che anche in India l’accelerazione neoliberista ha in qualche misura liquefatto la società, o quanto meno una sua parte. Qui è evidentissimo che ciò non vuol dire che le disuguaglianze e le differenze sociali siano svanite nel nulla. Anzi, si tocca con mano proprio il contrario. Una bella contraddizione, non c’è che dire. Come si è detto, nello stesso Bengala Occidentale, uno degli Stati più comunisti del mondo, la base di massa e intellettuale che aveva sostenuto la sinistra al potere per decenni, l’ha abbandonata con disgusto dopo i fatti di Singur e i massacri di contadini a Nandigram, e in gran parte ha rivolto il suo favore elettorale al Trinamul Congress Party, un partito locale demo-populista. La leader di questo partito, Mamata Banerjee, da Chief Minister dopo iniziali aperture alla sinistra radicale e persino ai naxaliti(i guerriglieri o ex guerriglieri maoisti) attualmente governa il Bengala Occidentale con pugno e cipiglio autocratico e autoritario [5].Eppure all’epoca delle elezioni bengalesi la scelta era quasi obbligata: non votare o votare Trinamul. Mamata venne sostenuta persino dalla grande scrittrice Mahasweta Devi, comunista da sempre, la quale però la aspettò al varco della prima grave mossa sbagliata, il divieto di manifestazione imposto a un’importante organizzazione per i diritti democratici accusata di sostenere i guerriglieri maoisti. Mahasweta definì senza mezzi termini “fascista” il divieto di Mamata e ne nacque una durissima polemica.

Tuttavia nessuno degli intellettuali e militanti con cui ho parlato si pente della sua scelta elettorale anche quando prende decise distanze o avanza dure critiche al governo in carica. La sensazione è che all’epoca occorresse sbarazzarsi di un “sistema di sinistra” ormai diventato antidemocratico e autoreferenziale e che, in generale, in qualche modo occorre nuotare anche nella confusione e scontare la perdita delle coordinate precedenti, fenomeni inevitabili in un mondo stressato da dinamiche che non permettono modelli interpretativi e d’azione completi e nemmeno modelli anche solo coerenti.
L’India è un’Italia di dimensioni asiatiche?
L’India è un’Italia di dimensioni asiatiche. Frammento 4
Mentre sono bloccato in coda a Calcutta, le enormi dimensioni di questa metropoli che io amo, caotica ma accogliente, i cartelloni pubblicitari di grandi fiere asiatiche del commercio e dell’industria e i camion che trasportano merci per migliaia di chilometri con insegne colorate sui cassoni, immagini di divinità ai cruscotti e la scritta “India Is Great” e infine l’anarchia funzionante di una nazione immensa, ricchissima e poverissima, che ha appena inviato una sonda spaziale verso Marte, mi aprono uno squarcio sgomento sulla nostra piccola Italia e il nostro piccolo Occidente.
E’ chiaro che ogni problema è importante. Anche se noi siamo piccoli abbiamo problemi gravi, molto gravi, da affrontare. Ma perché diventino problemi percepiti anche come seri e quindi seriamente affrontati occorre non perdere di vista la dimensione mondiale in cui sono inseriti. Da qui, veramente, le vicissitudini di Berlusconi e anche le primarie del PD, solo per dirne due, appaiono come cose piccine e meschine, quanto il parlarne. Per l’ennesima volta un viaggio in questa straordinaria Italia di dimensioni asiatiche me lo conferma palmarmente.
Il capitalismo è un sistema che ha bisogno di tutto il resto del mondo. Purtroppo ogni singola formazione particolare capitalistica ha bisogno di tutto il resto del mondo e in modo crescente. Qui sta il guaio, perché la disponibilità del resto del mondo diminuisce, socialmente, geopoliticamente ed ecologicamente al crescere della richiesta e dei richiedenti.
Quando potenze, come prima la Gran Bretagna e in seguito gli Stati Uniti, sono riuscite a imporre ai partner un sistema gerarchico di “distribuzione del resto del mondo”, le cose per qualche tempo hanno funzionato, anche se la gerarchia è stata messa in discussione da due carneficine mondiali. Ma da quando il resto del mondo si è ridestato e non ne ha voluto più sapere di essere “il resto”, tutte le contraddizioni dell’accumulazione capitalistica nascoste sotto il tappeto sono riemerse gigantesche, una dopo l’altra.
In quel momento non poteva più esserci nessun modello teorico che reggesse bene, perché la Storia si è rimessa in moto e i modelli logici possono solo cercare di inseguirla.
E’ la confusione che segue la distruzione di Kali, la forma irata e distruttiva della dea Durga. Se ci sarà una rigenerazione non lo sappiamo ancora e, almeno per ora, non ce lo dirà la teoria. Bisogna tenere la barra a dritta ricalcolando la rotta ad ogni miglio, avendo solo poche stelle come guida sopra un cielo poco limpido, oppure si andrà a sbattere contro gli scogli (o non si salperà nemmeno, come in molti per paura scelgono).
Post Scriptum
Per ritornare in Europa dovevamo passare una giornata a Kuwait City. Volevamo visitare la città ma il visto ci è stato negato perché tutte le strade erano bloccate per la conferenza del Consiglio di Cooperazione del Golfo. Non potevamo fare altro che essere confinati nell’albergo dell’aeroporto e guardare la televisione. Ma lo spettacolo in qualche modo è stato istruttivo: rinchiusi nel Bayan Palace gli elegantissimi protettori dei ribelli siriani se ne uscivano con una straordinaria dichiarazione: “Il Consiglio richiede il ritiro di tutte le milizie straniere dalla Siria. Sostiene che Assad non debba avere nessun ruolo nel prossimo governo (in base alla vecchia bugia delle armi chimiche). Saluta il cambiamento iraniano”.
Ovviamente i giornali locali si sono affrettati a commentare che per “milizie straniere” si intendevano “Hezbollah e i combattenti sciiti provenienti dall’Iraq”. Eppure quella dichiarazione diplomaticamente ambigua sembrava l’obbligato controcanto alla concomitante dichiarazione di USA e UK che i loro aiuti “lethal” ai ribelli che operano nel Nord della Siria sarebbero stati sospesi. I supporter del fronte Sud non gradivano, non concordavano, ma si adeguavano. Il Consiglio degli opportunisti che banchettano con le rimanenze imperiali doveva prendere atto delle decisioni dell’impero. Perché è l’impero che comanda, con la sua complessità, coi suoi interessi contraddittori e con le sue lobby contrapposte. Non ristretti, potentissimi, omogenei e occulti centri di potere.
Per ammorbidire il licenziamento, gli Usa hanno concesso ai Sauditi due mesi per cercare di occupare posizioni a Sud, ma come è noto l’ultima offensiva di migliaia di jihadisti provenienti dalla Giordania si è risolta in un disastro e i Sauditi hanno dimostrato il loro profondo disappunto nei confronti dell’alleato occidentale non accettando il posto nel Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Poco importa che in the process un altro pezzo della civilissima nazione siriana sia stato devastato. La Storia è piena di imperi che devastano civiltà “aliene” e “barbare”. Giulio Cesare sterminò un terzo dei Galli prima di associarli alla civiltà imperiale. L’idea di “civiltà” la dettano i vincitori. E i dominanti sono dominanti perché costringono e poi convincono i dominati a credere che there is no alternative: il progresso coincide con l’adattamento al dominio.
E anche a noi il progresso imperiale statunitense alla fine, anche se non vogliamo confessarcelo, ci piace. Siamo cresciuti con esso, la sua cultura ci è entrata nelle ossa, la sua idea di “civiltà”, di “democrazia”, di “giustizia”, di “diritto” ci ha plasmati e alla fine, nel fondo dei nostri pensieri, c’è la convinzione che in un modo o nell’altro l’uomo bianco porta sulle sue spalle il fardello della civilizzazione.
Forza, dai, ammettetelo con me.
Tu le connais, lecteur, ce monstre délicat,
Hypocrite lecteur,
mon semblable,
mon frère!
NOTE:
[1] Il Governatore di uno Stato indiano federato è un supervisore costituzionale dell’operato del governo locale e risponde al Presidente della Federazione Indiana. Quindi è indipendente dal governo statale in carica.
[2] Saffron, arancione, è il colore del BJP.
Fonte: Megachip

 

[3] Come dire il distretto federale “Washington D. C.”

 

[4] Il discorso non si applica ai partiti marxisti-leninisti legali, che solitamente non si presentano alle elezioni, né men che meno al partito maoista clandestino.

 

[5] Il Chief Minister è il primo ministro di uno stato della Federazione Indiana.
http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=93308&typeb=0&India-Italia-ritorno-dal-futuro
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  1. La prima campagna antimilitarista radicale si reggeva sulla richiesta di disarmo atomico e convenzionale dell’intera area continentale europea. I radicali sostenevano che la grande forza, morale e pratica, che l’Europa, ma anche un solo Stato, avrebbe potuto ottenere svuotando gli eserciti e gli arsenali nazionali, sarebbe stata più efficace in confronto alle esigue capacità di adeguamento al riarmo , in corso in quegli anni. È a questo punto che i radicali incontrarono la proposta del senatore socialdemocratico austriaco Hans Thirring . Il disarmo unilaterale dell’ Austria sarebbe dovuto essere un fondamentale presupposto del disarmo generale. Altri paesi avrebbero potuto seguire l’esempio austriaco, creando precedenti che avrebbero potuto coinvolgere anche Stati legati da patti militari. L’Austria – paese neutrale – avrebbe avuto però il diritto di esigere una tutela ai confini, con il ritiro, per alcuni chilometri, delle truppe dei paesi confinanti. Il Partito radicale fece suo immediatamente il progetto Thirring, lanciando un appello perché si creassero nel nostro paese non solo le condizioni per l’attuazione del disarmo austriaco, ma anche per la sua attuazione in Italia. I radicali sostenevano che i paesi comunisti, i quali facevano affidamento molto più sugli armamenti convenzionali schierati ai confini tedeschi che non sugli armamenti atomici, mai avrebbero accettato di adeguarsi all’ipotesi Thirring. Ciò avrebbe messo in difficoltà i comunisti italiani, i quali rifiutarono di aderire alla proposta radicale. Le divergenze erano tali che portarono il partito radicale ad uscire dalla Consulta della pace , di cui erano stati tra i primi aderenti.

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