Elementi di neocapitalismo (una schematizzazione necessaria)
dic 2nd, 2013 | Di Maurizio Neri | Categoria: Contributidi Eugenio Orso
1) Mercato e democrazia. Il libero mercato, come sappiamo, è un importante strumento di dominazione neocapitalistico che oggi si cerca di portare all’estensione massima (globalizzazione, per l’appunto), ed è un efficace “sistema di razionamento ed esclusione” controllato, in quanto strumento di dominazione, dalla classe globale finanziaria. L’idea che il mercato può “autoregolarsi”, sostenersi da solo in piena autonomia e senza interferenze esterne (religiose, politiche), la favoletta del “self-enforcing” e del libero mercato che sparge a piene mani benessere e democrazia, conducono semplicemente a legittimare il dominio assoluto del “capitalismo concorrenziale”, che invade anche gli spazi politici. Si vuole sottrarlo a qualsivoglia controllo esterno, di natura politica, religiosa, etica. Anima nera, “profeta” e ideologo, in tal senso, fu il nobel Milton Friedman, che fra gli anni cinquanta e i primi sessanta scrisse un libro squisitamente politico e ideologico – a mio dire, autentica bibbia neocapitalistica, sostitutiva della vecchia bibbia Wealth of nations di Adam Smith – dal titolo suggestivo Capitalism and freedom. Nel libro citato (difficile trovarlo, oggi, in edizione italiana) Friedman sosteneva che il “capitalismo concorrenziale”, o libero mercato, è perfettamente in grado di assicurare, oltre a un certo benessere, anche la tanto celebrata democrazia, volutamente confusa con la libertà, ma a patto di ridurre all’osso le interferenze esterne, di natura governativa, statale, politica. Distribuzione delle risorse, democrazia e politica le deve fare il mercato. Oggi la favoletta del libero mercato che va a braccetto con la democrazia – naturalmente liberale e rappresentativa, l’unica forma da noi conosciuta – diventa un autentico, inviolabile tabù, che nessuno deve osare mettere in discussione. In questo senso, e solo in questo, il neocapitalismo è democratico.
2) Precarietà ed esclusione. Questo capitalismo – che rappresenta un nuovo modo storico di produzione sociale, diverso dal precedente del secondo millennio – ha sostituito al binomio produttore/ consumatore, dai risvolti sociali ed economici inclusivi per una parte significativa dei dominati, il binomio precario/ escluso, in accordo con la de-emancipazione di massa che la sua riproduzione allargata richiede. Il precario a costante rischio di esclusione, economica e sociale, è destinato ad alimentare il fattore-lavoro nelle produzioni, generando costi sempre più bassi. Il vantaggio per gli agenti strategici neocapitalistici è duplice: ampia disponibilità di lavoro flessibile, non tutelato e a costi decrescenti, sul versante squisitamente economico-produttivo, masse di disperati sostanzialmente innocue per il potere, impoverite economicamente e culturalmente, diminuite dal punto di vista umano, sul versante socio-politico. In questo senso, e solo in questo, è orientata la trasformazione sociale neocapitalistica.
3) Dominio sopranazionale. Fondamentale è la “devoluzione” di sovranità in corso da parte dei vecchi stati nazionali alle entità neocapitalistiche sopranazionali, incaricate di gestire la globalizzazione, che consentono di concentrare saldamente in mani elitiste le principali decisioni politiche. La distruzione progressiva della sovranità dello stato è un importante e irrinunciabile elemento che connota il nuovo capitalismo finanziarizzato. L’Europa soggetta all’unione e alla moneta unica privata lo prova ed è, inoltre, a sua volta un utilissimo banco di prova per poter “testare” la reazione dei popoli assoggettati, nonché gli strumenti di dominazione e repressione utilizzati, onde pervenire, in un futuro non troppo lontano, al dominio sopranazionale mondiale, cioè da un governo mondiale neocapitalistico ed elitista. In tal senso deve essere inteso l’internazionalismo neocapitalistico, per la sinistra politica convertita al neoliberismo-neoliberalismo sostitutivo del vecchio e mai realizzato “internazionalismo proletario”.
4) Supremazia della finanza sulla produzione. Non significa assolutamente che la finanza può sostituire integralmente la produzione di beni e servizi trasformati in merce. Significa che il capitale finanziario derivato, alimentato dalle innovazioni della finanza creativa (sostanzialmente le grandi truffe che producono periodicamente le cosiddette “bolle”), sussume il capitale produttivo, subordinando la classica estrazione del plusvalore di marxiana memoria alla “creazione del valore finanziaria, azionaria e borsistica”. Un passaggio tratto dal mio saggio Rendita, profitto e creazione del valore, può servire come ulteriore chiarimento. Se il plusvalore, per il Marx del capitale industriale, inteso quale «valorizzazione del valore capitale anticipato C, si rappresenta in primo luogo come eccedenza del valore del prodotto sulla somma dei valori degli elementi della sua produzione.» [Karl Marx, Il Capitale, Libro I, Sezione Terza: La produzione del plusvalore assoluto, Capitolo VII: Il saggio di plusvalore], ed è rappresentabile come C’ = (c + v) + p, con C’ il capitale originario trasformato, c il capitale costante, v il capitale variabile e p il plusvalore, in relazione alla trasformazione del capitale finanziario derivato vale la seguente espressione: C’’fd = Cfd + [(c + v) + p] + f, dove Cfd è il capitale finanziario originario disponibile per le speculazioni, la parte centrale è quella relativa al capitale industriale anticipato marxiano accresciuto dal plusvalore [c’, questa volta in minuscolo], mentre f è il guadagno finanziario che alimenta [assieme a p, il tradizionale plusvalore] l’accresciuto C’’fd. Conseguenza che ne deriva è la doppia sussunzione del lavoro, non più concepibile come parte essenziale dell’esperienza di vita dell’uomo, ma semplicemente come fattore-lavoro nella produzione e servizio vendibile. In tal senso deve essere inteso il tanto esecrato, almeno a parole, “dominio delle banche” e la disgustosa e ormai sistematica “socializzazione delle perdite”.
5) Crisi strutturale e “bolle” periodiche. La crisi neocapitalistica non annuncia imminenti crolli del (nuovo)capitalismo, così come il capitalismo del secondo millennio non è crollato sotto i colpi della crisi del ’29, o della lunga depressione di fine ottocento. Trattasi semplicemente di un elemento strutturale neocapitalistico, importante quanto la “creazione del valore finanziaria, azionaria e borsistica” di cui al punto precedente. In quest’ordine d’idee rientra anche la “bolla” del debito pubblico degli stati, che non risparmia neppure gli stati uniti d’America. Possiamo metaforizzare, per meglio comprendere, paragonando il neocapitalismo a uno squalo di una varietà che deve restare sempre in movimento onde evitare il rischio di morte per asfissia. La creazione del valore deve continuare e accelerare. Le continue crisi consentono appunto questo, oltre ad avere importanti effetti sociali che gli agenti neocapitalistici possono volgere a loro esclusivo vantaggio (impoverimento del ceto medio, riduzione drastica delle risorse per il welfare, schiavizzazione del lavoro operaio, eccetera). Metaforizzando ancora, possiamo pensare a un grande sciame di locuste (biblico o anche non biblico) che si sposta in continuazione, mosso da una fame insaziabile, aggredendo e razziando campi e coltivi sempre nuovi. Senza la crisi, come quella innescata dia “sub-prime”, e le continue “bolle” – dalla new economy al debito degli stati, per intenderci – lo squalo neocapitalistico potrebbe essere costretto a fermarsi, rischiando la morte, e lo sciame di locuste voracissime potrebbe non trovare più cibo. In questo senso e solo in questo dobbiamo interpretare una crisi come l’attuale e le “bolle” che si sviluppano sui mercati.
6) Trasformazione della struttura sociale in senso “neofeudale”. Anche se qualcuno continua a parlarvi di borghesia e proletariato, come se fossimo ancora nello scorso secolo, o peggio, in quello del grande Marx, la strutturazione sociale sta cambiando rapidamente, con il superamento della dicotomia marxiana borghesia/ proletariato e la distruzione di ampi settori del ceto medio. La nuova dicotomia sociale sarà Global class/ Pauper class, destinata negli anni a cristallizzarsi in senso neofeudale. Una ristretta classe dominante che esercita il suo potere su grandi masse di poveri e impoveriti, soggetti a ogni sorta di ricatto e di manipolazione, senza prospettiva futura di salire i gradini della scala sociale, di emanciparsi, di sfuggire al processo di pauperizzazione. Questo elemento si collega con quello descritto nel punto due, dedicato alla precarietà/ esclusione neocapitalistica, e completa il discorso dal punto di vista sociale. Può sembrare contraddittorio parlare di “capitalismo neofeudale”, perché il capitalismo è notoriamente fondato sul valore di scambio e il modo di produzione feudale, al contrario, era dominato dal valore d’uso. Tuttavia, un ordine sociale in cui gli “ascensori” sono bloccati in salita ricorda molto la società medioevale europea, con i bellatores e gli oratores (nobili di spada e prelati) nettamente divisi dai laboratores (l’antico popolo), in situazioni di scarsa o nulla mobilità sociale. Ai bellatores e agli oratores la guerra e il sapere, al popolo il lavoro indegno dei nobili, a testimoniare l’abisso esistente fra le classi e la diversa dimensione culturale che le connotava. In tal senso il nuovo capitalismo finanziarizzato prefigura un ordine sociale di tipo “neofeudale”.
Fonte: Pauper Class