Il paradosso situazionista
ott 3rd, 2013 | Di Maurizio Neri | Categoria: ContributiCiò che è vivo e ciò che è morto
Il paradosso situazionista
Mario Perniola
Che cos’è il movimento situazionista?
Occorre innanzitutto precisare che cosa s’intende per «movimento situazionista» e per «situazionismo». Si possono intendere tre cose differenti. La prima è l’Internazionale situazionista, un gruppo d’avanguardia artistico-politica che si è costituito in Italia a Cosio d’Aroscia (Cuneo) nel luglio 1957 e si è dissolto nell’aprile 1972. Questa è stata un’associazione chiusa, cui hanno partecipato complessivamente nei quindici anni della sua esistenza 70 persone (63 uomini e 7 donne). La pratica delle esclusioni e delle dimissioni fece sì che nel gruppo fossero contemporaneamente presenti non più di una decina di membri. Il leader del gruppo è stato il francese, di origine italiana per parte di madre, Guy Debord (1931-1994) che ha svolto un ruolo egemonico per tutto il periodo della sua esistenza. La frequenza delle espulsioni (45 membri su 70 furono espulsi), unitamente alla pratica delle «rotture a catena» e al dogmatismo esasperato per cui le affermazioni di ognuno impegnavano anche tutti gli altri, conferì a questo gruppo quel carattere settario cui sono sempre stato refrattario: perciò nel periodo in cui fui in stretto rapporto con loro (tra il 1966 e il ’69) non entrai a farvi parte. Il gruppo produsse tra il giugno 1958 e il settembre ’69 dodici numeri di una rivista, il cui direttore fu sempre Guy Debord. L’Internazionale situazionista ha fin dall’inizio rifiutato di riconoscersi nel termine «situazionismo», attribuendo a questa parola un significato negativo: essa, infatti, sarebbe stata connessa col ricupero da parte del mercato artistico delle produzioni dei membri del movimento.
Nel mio testo I situazionisti (Castelvecchi, 2005) ho raccontato la storia di questo gruppo artistico-politico.
Altra cosa invece è la storia della ricezione e dell’influenza che l’Internazionale situazionista ha avuto sul maggio francese del 1968, sulla cultura e sulla controcultura dei decenni successivi. Bisogna pertanto distinguere i situazionisti (cioè i membri dell’Internazionale situazionista) dai situs, che sarebbero quanti hanno sostenuto e sviluppato le prospettive situazioniste al di fuori dell’Is. Fino al ’66 l’Is era conosciuta da pochissime persone: io venni a conoscenza della sua esistenza in occasione della Décade sul surrealismo che si tenne presso il Centre Culturel International di Cerisy-la-Salle (10-18 luglio 1966). Nel dicembre dello stesso anno scoppia lo scandalo di Strasburgo, che è la prima manifestazione della contestazione studentesca in Europa. Con due compagni mi precipito in auto a Strasburgo, dove osservo con una certa amarezza e disappunto che l’accordo tra i situazionisti e gli studenti locali si è già incrinato e nel mese successivo si rompe definitivamente: segue una serie di accuse e insulti reciproci. Questa piccola vicenda è indicativa perché anticipa uno dei tratti caratteristici della mentalità rivoluzionaria dell’epoca: la tendenza a mettere sotto accusa e a escludere con critiche infamanti e insulti chi non sarebbe degno di fare la rivoluzione.
C’è infine un terzo aspetto da considerare: gli individui da cui era formata l’Internazionale situazionista. Questi erano molto diversi tra loro e ben pochi sono stati coloro che si possono considerare «geniali», se appunto questa era una condizione di appartenenza (Is IX, 43). Tra chi ne fece parte nel primo periodo indubbiamente geniali furono l’artista danese Asger Jorn e l’architetto olandese Constant. In seguito la personalità di Debord ha marcato il movimento. Si tende generalmente a porre l’accento sul rapporto di Debord col suo tempo, mentre si trascura il suo rapporto con la tradizione culturale e con la geografia. In un atlante inglese degli anni Trenta Debord ha indicato gli autori che sono stati importanti per la sua formazione culturale, divisi per nazione. Alcuni sono segnati in lettere capitali: tra questi l’Ecclesiaste, Tucidide, Dante, Machiavelli, Montaigne, Bossuet, Cervantes, Shakespeare, Stendhal, Hegel, Marx, Novalis. Vale a dire buona parte del canone occidentale. Questo ancoramento nella tradizione è ciò che distingue Debord dai situs, unitamente a un culto della precisione e della forma che appartiene a ciò che Nietzsche chiamava «il grande stile», quanto mai estraneo al vitalismo spontaneistico e comunicativo che caratterizzò la contestazione e la controcultura della sua epoca.
Quando si parla di movimento situazionista, esistono pertanto tre soggetti: il gruppo Internazionale situazionista, che ha prodotto la rivist omonima; l’insieme dei simpatizzanti (i situs); e infine Guy Debord, senza il quale il movimento non sarebbe esistito.
Debord è «riuscito»?
Quale destino storico si suppone possa avere avuto Debord, il pensatore più estremista della seconda metà del Novecento? Uno che si definiva «nato virtualmente rovinato» (D 1661), «dottore in niente», amico dei ribelli, completamente estraneo e aspramente ostile al mondo dell’università, dell’editoria, del giornalismo, della politica, dei media e di qualsiasi tipo di lavoro, grande spregiatore dello Stato, dell’economia, della Chiesa, dell’arte e di tutte le istituzioni esistenti, per di più in guerra costantemente col mondo intero? Chi avrebbe predetto a un simile individuo una fine oscura e miserevole sarebbe stato facile profeta. Eppure sarebbe stato un falso profeta. Perché il 29 gennaio 2009 gli archivi di Debord, che era morto quindici anni prima, sono proclamati dal ministro della Cultura della Repubblica Francese dell’epoca, Christine Albanel, «tesoro nazionale»: e in quanto tali accolti nella Bibliothèque Nationale de France. Dunque Debord avrebbe raggiunto la massima «riuscita» inimmaginabile, specie se si considera che essa proviene da quello Stato la cui distruzione egli auspicò con estremo accanimento senza mai alcuna esitazione.
Testi citati
D = Guy Debord, Œuvres, Gallimard, Parigi, 2006.
Is = «Internationale situationniste» 1957-1969, Fayard,
Parigi, 1997.
da Alfabeta 2