L’uomo precario come prodotto delle nuove forme di alienazione
feb 23rd, 2010 | Di Eugenio Orso | Categoria: Cultura e società
di Eugenio Orso
L’uomo precario sembra non avere la forza di ribellarsi alle iniquità profonde di questo sistema, che lo colpiscono in modo diretto e improvviso piegando la sua esistenza alle logiche del capitalismo “transgenico”, né ha rivelato sino ad ora la volontà di aggregarsi, con spirito comunitario e solidaristico, per affrontare un Nemico privo di scrupoli che distrugge il suo futuro e quello di moltissimi altri compagni di sventura.
Questo tipo umano sembra essere totalmente subalterno nei confronti dei detentori del potere effettivo, che in molti casi non riesce neppure ad individuare con chiarezza.
Le forme di lotta che può adottare, per cercare di sottrarsi ad esclusione e impoverimento, in molti casi blande al punto che risultano mere testimonianze del profondo disagio che lo colpisce, sono tali da non mettere in pericolo la stabilità del potere costituito.
E’ costantemente posto sotto ricatto, al punto che può subire violenza gratuita e ingiustificata, ad esempio le manganellate di una polizia che sembra efficiente soltanto nel reprimere i più deboli e i lavoratori che difendono l’occupazione, non certo nel contrasto alla grande criminalità, ma non usa a sua volta violenza, se non in circostanze estreme per difendersi.
Quel poco che gli resta da difendere, e che potrebbe perdere nel prossimo futuro, contribuisce a frenarlo dal “passare il Rubicone”, voltando le spalle definitivamente all’epoca dei consumi e delle aspettative crescenti, ormai conclusa, e scrivendo nel suo vocabolario la parola Conflitto, alla quale dovrà poi attribuire un significato concreto.
Quando ristrutturazioni selvagge e delocalizzazioni mettono in pericolo il suo posto di lavoro, stabile o sempre più spesso a termine, la sua protesta assomiglia sempre di più ad una supplica rivolta a un sovrano invisibile, ad un’entità vaga che non ha più un volto umano, e spera in una risonanza mediatica dal potere salvifico, per attrarre l’attenzione sul suo caso ed ottenere “la grazia”.
Accade sempre più di frequente in Italia che gli operai espulsi dal processo produttivo, trattati come partite di legname o “sacchi di patate”, salgano su carri-ponte, ciminiere, tetti di edifici cercando di spettacolarizzare la loro protesta e minacciando il peggio.
E’ bene, però, ricorrere a qualche concreta testimonianza e purtroppo oggi non c’è che l’imbarazzo della scelta.
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