Il marxismo rivoluzionario e le resistenze antimperialistiche
mar 2nd, 2013 | Di Stefano Zecchinelli | Categoria: ContributiStefano Zecchinelli
‘’Il marxista si pone sul terreno della lotta di classe, e non su quello della pace sociale. In certi periodi di acuta crisi economica e politica, la lotta di classe si sviluppa sino a trasformarsi in aperta guerra civile, cioè in lotta armata fra due parti del popolo. In questi periodi il marxista ha il dovere di porsi sul terreno della guerra civile. Ogni sua condanna morale è assolutamente inammissibile per il marxismo’’ (Lenin)
1. L’attuale fase dello sviluppo capitalistico sembra essere caratterizzata dalla fine dell’egemonia dell’imperialismo americano. Gli Stati Uniti per oltre sessanta anni, hanno modificato gli assetti interni degli Stati capitalistici nel mondo occidentale, ed hanno impedito, nel sud del mondo, la nascita di Stati nazionali indipendenti. Le pressioni imperialistiche hanno messo in luce la debolezza delle borghesie autoctone, incapaci di risolvere, da un punto di vista capitalistico, il problema dell’indipendenza nazionale.
I paesi a capitalismo maturo (quindi pronti per essere abbattuti dalla classe operaia) ci presentano una gerarchia interna:
(1) Stati Super-Imperialistici: Stati Uniti d’America ed Israele.
(2) Forze Imperialistiche in Declino: Inghilterra, Germania e Giappone.
(3) Paesi Sub-Imperialistici Occidentali: Francia, Italia, Spagna e Portogallo (vecchie potenze coloniali).
(4) Paesi Imperialistici Emergenti: Brasile, Turchia ed India.
L’egemonia di una potenza imperialistica è prima di tutto militare e politica (come notò bene Mao Tse Tung a partire dal suo famoso slogan ‘’Il potere nasce dalla canna del fucile’’). In questo è eloquente l’esempio della Germania: un paese forte economicamente, capace di tenere in scacco le borghesie nazionali europee, del tutto subordinato alla politica estera americana tanto da avere 160 basi NATO sul suo territorio nazionale.
In questo momento nessun paese imperialistico europeo è in grado di mettere in dubbio l’egemonia della NATO, del resto lo stesso Lenin aveva lucidamente escluso, nel lontano 1915, la formazione di un polo unito imperialistico del vecchio continente.
Il passaggio dal mondo unipolare al mondo multipolare vede un ruolo importante della Russia (potenza capitalistica emergente) e della Cina (che, in parte, mantiene la base dello Stato operaio e troppo frettolosamente è stata definita potenza capitalistica).
Sull’atteggiamento che i marxisti rivoluzionari devono tenere verso la Russia è bene spendere qualche parola.
2. La Russia è una potenza capitalistica emergente e le sue oligarchie non possono cedere al progetto imperialistico americano di distruzione della sua economia nazionale.
Ovviamente la borghesia russa difende i suoi interessi attraverso un capitalismo corporativo che qualsiasi marxista rivoluzionario non può far altro che combattere in tutti i modi. Putin è un anticomunista viscerale, e punta a dare vigore alle oligarchie che si sono viste spezzare le gambe dall’agente della CIA Boris Eltsin.
I problemi che sorgono sono molteplici; la classe dirigente russa è un baluardo dell’anticomunismo eppure si rivela un contrappeso efficace nei confronti dell’imperialismo americano.
I nodi da sciogliere sono questi:
(1) Il passaggio al mondo multipolare favorisce i movimenti di liberazione nazionale operanti in tutto il terzo mondo e dà respiro agli Stati indipendenti non allineati.
Abbandonare la morsa dell’imperialismo americano, in questo momento, è una priorità per la classe operaia dei paesi coloniali o di paesi, seppur borghesi, che fino alla fine degli anni ’80 ruotavano nell’orbita sovietica.
(2) Partendo da questo prospettiva, i marxisti, da un lato devono combattere la borghesia nazionalistica che trova in Putin il suo rappresentante, ma davanti le pressioni americane devono dare appoggio militare (e non politico) alla Russia.
Un discorso analogo potrebbe essere fatto per un paese come l’Iran, paese capitalistico che – a differenza della Russia – non ha nessuna possibilità di diventare imperialistico.
(1) L’Iran deve essere difeso militarmente da qualsiasi aggressione imperialistica e deve essere messo nelle condizioni di poter fronteggiare l’imperialismo militarmente a tutti i livelli. Per questo, contro l’imperialismo israeliano, è auspicabile che la Repubblica Islamica si doti della bomba atomica.
L’appoggio militare all’Iran non implica nessun appoggio politico alle classi dominanti di quel paese. I marxisti devono essere pronti ad intraprendere anche la lotta armata interna (come già fanno alcuni gruppi maoisti) contro il regime degli ayatollah ma, in caso di aggressione esterna (es. una aggressione che parte dell’entità sionista), non possono rifiutare un Fronte Unico Militare con l’esercito iraniano (nello stesso modo in cui Mao Tse Tung fece Fronte Unico Militare – tenendo separati gli eserciti – con Cian Kai Shek contro il Giappone fascista).
(2) La presenza del Super-Imperialismo (quindi di una potenza imperialistica capace di aprire più fronti di guerra) israeliano, impedisce la nascita di movimenti classisti nell’area (con la sola eccezione del Fronte popolare di liberazione della Palestina) e quindi di rivoluzioni socialiste.
In questa prospettiva l’influenza della Repubblica Islamica nella regione potrebbe aprire ad importanti esiti antimperialistici: nel 2006 è stato l’Iran a permettere ad Hezbollah di resistere all’imperialismo israeliano, come nel 2008 e nel 2012 ha permesso (insieme alla Siria baathista) ad Hamas di resistere.
In questo caso il campismo (o geopoliticismo) non c’entra nulla (a dispetto di quello che dice la scolastica neo-trotskista): pesando le forze in campo è chiaro che la distruzione dell’entità sionista precede processi rivoluzionari socialisti nell’intera regione. Quindi – come ben hanno fatto i compagni del Fronte popolare di liberazione della Palestina – è necessario fare opportune alleanze militari preservando l’indipendenza di classe dei lavoratori. Questo vale per tutti i paesi arabi che vengono minacciati dall’occidente !
(3) Un marxista non può non tenere conto che in paesi come l’Iran il proletariato è concentrato principalmente nelle periferie dove le industrie sono quasi tutte di proprietà dello stato, mentre manca un forte proletariato urbano. L’imperialismo con la famosa onda verde ha cercato di rovesciare il governo eletto di Ahmadinejad (leader certamente popolare!) facendo leva sui ceti medi, quindi sulla piccola borghesia che ha abbracciato l’ideologia dell’americanismo.
Il compito dei marxisti rivoluzionari è quello di mettere il proletariato nelle condizioni di svilupparsi al meglio ed è chiaro che, la crescita del proletariato urbano, avvenga in modo più agevole in un paese libero dalla presa dell’imperialismo.
Una analisi di questo tipo, in questo momento, sembra essere esclusa sia dalla scolastica neo-trotskista che dalla scolastica neo-stalinista.
3. Alcuni compagni diranno: ‘’Paesi come l’Iran o la Corea del Nord sono paesi dittatoriali’’. In questo caso è evidente che l’ideologia borghese è riuscita a penetrare anche in campo comunista.
Si usa la parola dittatura – nota Trotsky – in senso ristretto, politico, e altre volte in un senso sociologico, più profondo.
I marxisti rivoluzionari non devono giudicare un regime partendo dalla sua forma politica ma devono analizzare la sua base sociale risalendo poi agli interessi di classe dominanti.
Trotsky fa questo esempio: ‘’Parliamo della dittatura di Mussolini e al tempo stesso dichiariamo che il fascismo non altro che lo strumento del capitale finanziario. Quando teniamo la posizione corretta ? In ambedue le occasioni, ma su piani diversi. E’ indiscutibile che Mussolini concentra nelle sue mani la totalità del potere esecutivo. Ma non è meno vero che ciò che determina il contenuto reale dell’attività statale sono gli interessi del capitale finanziario’’ ( Leon Trotsky, Lo Stato operaio, il termidoro e il bonapartismo, Editoriale Coop. )
Sicuramente è vero che la burocrazia al potere nella Corea del Nord è autoritaria però la base dello Stato Nordcoreano resta quella dello Stato operaio fondato sulla proprietà statale dei mezzi di produzione ed il piano. I marxisti rivoluzionari – così come Trotsky difese in modo incondizionato l’Unione Sovietica – devono difendere militarmente tutti gli Stati operai deformati: dalla Corea del Nord ed il Vietnam fino alla Cina e Cuba (che ha abbandonato il sostegno ai movimenti guerriglieri – si veda la questione delle FARC – in modo vergognoso).
In caso di scioperi e manifestazioni operaie, i marxisti si schiereranno con i lavoratori (mettendoli in guardia dalle strumentalizzazioni delle borghesie straniere), ma la base dello Stato operaio conferisce a questi paesi un ruolo importante nella lotta contro l’imperialismo.
Se quindi possiamo tracciare una gerarchia interna all’ordine capital-imperialistico, possiamo fare altrettanto con le forze di resistenza.
(1) Stati operai deformati: Cina, Corea del Nord, Vietnam e Cuba.
(2) Stati nazionali indipendenti: Siria, Iran, Bolivia ed Ecuador.
(3) Regimi in transizione: Venezuela e Nepal
(4) Lotte armate antimperialistiche: Afghanistan, Palestina, Libano, Irak, Libia, Messico, Colombia, Perù.
Per ciò che riguarda gli Stati operai deformati (in politica estera importanti baluardi contro l’imperialismo!) le classi lavoratrici devono spingere verso rivoluzioni anti-burocratiche interne. La burocrazia denghista di Pechino, ad esempio, è arrivata a fare accordi con il regime corrotto di Karzai a spregio della resistenza afghana.
Che cosa bisogna fare se l’imperialismo utilizza delle manifestazioni operaie per schiacciare uno Stato operaio deformato ? Trotsky fa l’esempio di un ipotetico sciopero strumentalizzato dai padroni contro un sindacato reazionario arrivando alla conclusione che i comunisti devono difendere il sindacato e non appoggiare i lavoratori. Lo stessa cosa – secondo Trotsky ma forse non per certi trotskisti – può valere per uno Stato non borghese. (Leon Trotsky, In difesa del marxismo, Ed. Giovane Talpa)
I marxisti rivoluzionari non appoggeranno scioperi in Cina o in Corea del Nord se fomentate dall’imperialismo; la stessa cosa deve valere per gli Stati indipendenti. Non si può sconfiggere il nemico di classe se si cede alle sue provocazioni !
Gli Stati nazionali indipendenti rispondono principalmente a pressioni geopolitiche. Faccio anche qui un esempio: la Siria baathista, dopo i tentativi degli Usa, Francia ed Israele di destabilizzarla, con tutta probabilità aumenterà il sostegno agli Hezbollah ed alla Resistenza palestinese con l’intento ben preciso di cancellare l’entità sionista (cosa che tutti gli antimperialisti si augurano!). La resistenza siriana guidata dal Ba’th in questo momento ha un ruolo guida nell’Asse della resistenza araba contro Usa ed Israele. Voltargli le spalle significa voltare le spalle a gran parte dei lavoratori arabi.
I Regimi in transizione sono diventati roccaforti indispensabili. In Nepal i maoisti dopo quaranta anni di lotta armata hanno abbattuto la monarchia ed hanno posto il problema della internazionalizzazione della lotta di classe ricollegandosi direttamente al pensiero marxista di Guevara.
In Venezuela, invece, il socialista Chavez ha messo la borghesia nazionale con le spalle al muro, appoggiato da un forte movimento popolare ostile agli Stati Uniti.
Per ciò riguarda le Lotte armate antimperialistiche i marxisti devono appoggiarle a prescindere dalla loro direzione politica. In funzione antisionista, o meglio contro l’imperialismo israeliano, è auspicabile un Fronte Unico Militare fra gli Hezbollah ed il Partito comunista libanese, come fra Hamas ed il Fronte popolare di liberazione della Palestina. Lo stesso vale per l’Afghanistan dove i maoisti devono collaborare militarmente, contro l’occupazione Usa, con i movimenti islamici.
Per ciò che riguarda l’America Latina è indispensabile che si formi una Giunta Rivoluzionaria, sul modello di quella guidata dal PRT-ERP di Mario Roberto Santucho, la quale coordini i vari movimenti guevaristi, con in testa i combattenti delle FARC.
La situazione, purtroppo, non è ottimale: Cuba non sembra più disposta a sostenere ipotesi di guerriglia e lo stesso vale per il Venezuela, senza parlare dei governi socialdemocratici di Ecuador e Bolivia.
I comunisti in Europa devono organizzare Comitati di sostegno ai movimenti di liberazione nazionale, lanciare campagne di boicottaggio contro le multinazionali che operano in quei territori, organizzare manifestazioni contro le basi NATO. E’ un nostro compito bloccare le leve di comando presenti nelle metropoli imperialistiche con ogni strumento di lotta. La pacificazione sociale, del resto, è una invenzione degli stalinisti e la borghesia non ha problemi a fare ricorso, anche nei paesi ‘’democratici’’, a squadracce di fascisti per reprimere i movimenti popolari.
L’evoluzione del capitalismo richiede sempre di più la costituzione un Fronte Marxista Rivoluzionario che spinga la classe operaia ed il popolo a conquistare il potere.