L’imperialismo dai mille colori: come l’antifascismo diventa uno strumento della NATO

mag 9th, 2012 | Di | Categoria: Politica Internazionale

di Stefano Zecchinelli

’La fase attuale acquista di nuovo l’aspetto di una “collaborazione” militare tra l’America e l’Inghilterra e anche alcuni giornali francesi temono di veder sorgere una dittatura anglosassone. Evidentemente gli Stati Uniti possono sfruttare e sfrutteranno la “collaborazione” con l’Inghilterra per far marciare alla stessa briglia il Giappone e la Francia. Ma tutto ciò costituirebbe una tappa non verso una dominazione anglosassone, ma verso una dittatura americana destinata a pesare sul mondo, Gran Bretagna compresa’’ Leon Trotsky 

1. In questo articolo mi occuperò dello stretto legame che intercorre fra le oligarchie anti-nazionali e l’anti-fascismo movimentista. Prenderò quindi in esame, in modo comparato, il rapporto fra le elite corporative e i movimenti colorati per poi avanzare delle ipotesi sulla degenerazione filo-atlantica della sinistra, facendo ovviamente opportuni esempi.
Per inquadrare bene il problema è il caso di soffermarmi brevemente sulla manipolazione del concetto di democrazia mettendolo in rapporto con un ‘’non concetto’’ – molto diffuso negli ambienti neo-liberali – quello di totalitarismo.
2. Il termine totalitarismo verrà usato per la prima volta da Giovanni Amendola nel 1923 in un discorso contro la politica fascista. Il 22 giugno 1925 fu Mussolini stesso a rivendicarlo e Giovanni Gentile lo utilizzò, nel 1932, nel suo scritto La dottrina fascista. Il mondo liberale lo utilizzò fino al 1939 solo contro il regime nazista (mentre sottobanco faceva grandi accordi con la Germania nazista) e dal 1939 – a seguito del Patto di non aggressione – lo estese anche all’Unione Sovietica (ignorando le circostanze storiche e la diversa natura sociale dei regimi).
A sinistra il termine totalitarismo fu usato da libertari come Bruno Rizzi e Victor Serge mentre Trotsky in tutti i suoi scritti ha combattuto questa categoria che – dice Trotsky – fa pericolose concessioni all’anti-comunismo (es. La rivoluzione tradita e In difesa del marxismo, magistrali analisi sulla natura di classe dell’Urss).
Nel 1951 Hannah Arendt pubblicò un saggio sulle Origini del totalitarismo in cui accumunò stalinismo e nazismo in quanto regimi caratterizzati dalla sottomissione della società civile alla società politica, quindi accumunati dalla statolatria.
Secondo Carl Friedrich i caratteri di una società totalitaria sono cinque: 1) l’ideologia ufficiale;  2) il Partito unico al potere; 3)-4) monopolio dei mezzi da combattimento e di comunicazione; 5) controllo degli apparati repressivi e repressione arbitraria degli avversari politici.
Vediamo i due passaggi fondamentali che porteranno alla nascita di una vera e propria ideologia anti-comunista.
Nel 1954 W.H. Morris Jones, uno studioso americano, scrive un Elogio dell’apatia dove sostiene che la democrazia per funzionare necessita di un alto livello di non partecipazione delle masse alla vita politica, altrimenti dalla democrazia liberale si passa nel campo dei regimi totalitari.
Due anni dopo Zbigniew Brzezinski sostenne nel suo Dittatura totalitaria e autocrazia che il totalitarismo è proprio di quei regimi ad economia centralizzata.
Il gioco è fatto, la democrazia è data dalle sole libertà economiche che – grande paradosso – sono monopolizzati dalle grandi oligarchie anti-nazionali.
Lo studio della Arendt (e degli altri teorici) vede la scomparsa di qualsiasi analisi strutturale. Questo avviene perché ai liberali interessa criticare la sopra-struttura del fascismo (indubbiamente autoritaria) ma non possono permettere che si metta in risalto l’uguale natura sociale delle democrazie liberali e dei fascismi europei.
Con questa premessa ho fatto emergere quelli che, secondo i neo-liberali, sono i caratteri distintivi della democrazia (li elenco per ordine tenendo conto che sono collegati da un rapporto di causa ed effetto, quindi non si possono studiare separatamente): 1) flessibilità della sopra-struttura; 2)iniziativa economica privata; 3) ruolo delle elite.
Di mio aggiungerei la netta ostilità al ruolo, che storicamente hanno ricoperto (dalla Rivoluzione francese fino a buona parte dell’ ‘800), gli Stati nazionali (ed è bene ricordare che lo Stato nazionale nasce a sinistra con il giacobinismo e il socialismo pre-marxista).
Partendo da questi quattro punti importanti passo ad analizzare la degenerazione della sinistra in Europa. In questo articolo mi soffermerò sulla sinistra anti-fascista tedesca e sulla sinistra italiana (prendendo spunto da un recente caso di psico-patologia politica interna al PRC).
3. Dal 1982, a seguito della aggressione imperialista di Israele contro il Libano, si aprì nella sinistra tedesca un duro dibattito sull’antisemitismo di sinistra.
Discorso quasi paradossale dato che l’unico antisemitismo è quello degli ebrei di Israele (ebrei kazari e quindi non semiti) contro i popoli arabi (loro sì che sono semiti). Comunque i risvolti, culturali ma anche politici, furono interessanti.
Lo scrittore Henryk Broder pubblicò vari saggi sull’anti-semitismo di sinistra e in difesa dell’americanismo anti-fascista. Le sue tesi influenzarono la Bund Kommunisticher (KB), organizzazione nata nel 1971 che riteneva possibile una fascistizzazione dello Stato tedesco (a quei tempi diviso).
Questo movimento subì varie scissioni (1985, 1989, 1991) fino alla nascita, nel 1991, di due correnti: la sinistra anti-tedesca e la sinistra anti-nazionale.
Lo slogan di questi movimenti era ‘’Mai più Germania’’ e la contrapposizione agli imperialismi Usa-Israele viene assurdamente fatta coincidere con l’avvento del nazional-socialismo hitleriano.
Gli anti-tedeschi divennero una parte importante della rete anti-fascista in Germania ma si opposero ai movimenti pacifisti perché consideravano le guerre degli Usa e di Israele necessarie nella lotta contro il totalitarismo.
Quindi fu incondizionato il loro appoggio (a parte una piccola frazione che ne uscì) alla guerra imperialistica contro l’Irak di Saddam Hussein.
Nel 1995 durante le manifestazioni in ricordo dei vili bombardamenti americani di Dresda (crimine che non ha nulla da invidiare a quelli della Germania hitleriana) gli anti-tedeschi lanciarono lo slogan ‘’noi non siamo addolorati’’, dando il pieno supporto all’imperialismo Usa.
Come base ideologica adottarono la filosofia di Adorno e Horkheimer, critici della società dei consumi ma anche – per dirla con Lukàcs – ‘’pessimisti ad oltranza parcheggiati nell’Hotel Abisso’’. Il fatto che questa filosofia si basasse su un rinvio infinito della prassi ha favorito l’abbandono del neo-marxismo (nella variante sessantottina) di questo gruppo politico e l’adozione delle teorie sui contrapposti totalitarismi.
Il libro di Daniel Johan GoldhagenI volenterosi carnefici di Hitler, provocò l’uscita dal gruppo degli elementi che ancora si ritenevano legati al marxismo, mentre i sostenitori di un presunto ‘’antisemitismo sterminazionista tedesco’’ si collocarono nel campo filosofico del post-moderno (Foucault, Deleuze, Guattarì).
La Seconda Intifada (2000) e i fatti dell’11 settembre 2001 consacrarono l’adesione di questi alla ideologia dei neo-conservatori sull’islamo-fascismo.
L’islamismo è il nuovo fascismo ed Israele diventa un rifugio per i popoli liberi in Medio Oriente (dicono loro!). Da questo momento gli anti-tedeschi si vedranno aprire le porte dei circoli degli intellettuali di Germania ed Austria (ma non solo), ottenendo molteplici pubblicazioni da parte di case editrici famose come, ad esempio, la ‘’Ca Ira’’.
Nel 2008 Gregor Gysi, esponente di spicco della Linke, ne prese le difese e denunciò un possibile anti-semitismo di sinistra. La stessa posizione fu presa anche da Franziska Drohsel, presidentessa dei giovani della Socialdemocrazia tedesca.
Che conclusioni trarre? Per ora mi limito a rilevare come il ‘’non concetto’’ di totalitarismo sia stato adottato da una parte della sinistra post-sessantottina. Per inquadrare le ragioni di ciò devo spostare la mia attenzione sul rapporto che intercorre fra le elite finanziarie e la sinistra movimentista.
4. Le elite finanziarie si sono poste l’obiettivo di spezzare i movimenti di protesta, di renderli sempre più settoriali: dai movimenti anti-fascisti a quelli ecologisti o quelli per il rispetto della legalità.
Ad esempio l’Open Society di Soros (organizzazione che coordina i movimenti colorati per rovesciare i regimi fuori dall’orbita della NATO) più di una volta si è preoccupata di tenere sotto controllo (con sondaggi vari) l’avanzare dei Partiti neo-fascisti in Europa. Tutto questo, per chi conosce le strategie del dominio imperiale, è una finzione dato che l’imperialismo americano ha fatto affidamento – contro governi socialdemocratici non allineati – anche su gruppi (es. i nazionalisti ucraini) di chiaro stampo neo-nazista.
Nel 1999 abbiamo un episodio importantissimo nel determinare la mutazione genetica della sinistra anticapitalista. Il popolo di Seattle che doveva mettere in discussione una organizzazione criminale come l’Organizzazione Mondiale del Commercio invece di attaccarla frontalmente accetta il dialogo.
Uno studioso come Michel Chossudodovsky commenterà con queste durissime parole l’accaduto: ‘’Partecipanti accreditati di ONG sono stati invitati a mescolarsi in un ambiente amichevole agli ambasciatori, ai ministri del commercio e ai tycoon di Wall Street in occasione di svariati eventi ufficiali, compresi i numerosi cocktail e ricevimenti’’.
Le borghesie imperialistiche trovano un nuovo modo per promuovere il neo-liberismo dal basso: l’utilizzo strategico delle Organizzazioni Non Governative.
5. Le ONG e le istituzioni transnazionali come la Banca mondiale del commercio, sono accomunate dalla avversione per lo Stato e il suo intervento nella economia.
Quindi viene promosso un doppio gioco molto sporco: da una parte le borghesie compradore derubano i ceti sociali subalterni e dall’altra parte le ONG svolgono una funzione di pubblica assistenza al posto dello Stato.
Molti intellettuali (es. Noam Chomsky e Naomi Klein) criticano le oligarchie anti-nazionali (es. Fondo Monetario Internazionale) ma aderiscono al neo-liberismo dal basso, delegittimando il ruolo dello Stato.
I problemi che qui mi preme rilevare sono due: 1) la esaltazione del ruolo dei privati mentre la popolazione viene spremuta con tasse altissime per sostenere le borghesie compradore al potere; 2)delegittimando il ruolo dello Stato nazionale si rompono le gambe ai movimenti realmente rivoluzionari dato che il rovesciamento del capitalismo è un processo che inizia dentro le singole nazioni.
Un nuovo colonialismo culturale e la distruzione del ruolo strategico dello Stato. Ecco pronta la matrice ideologica per la fobia verso il nazionalismo (ma le resistenze antimperialistiche hanno sempre uno sfondo patriottico!) che su ho provato a denunciare (portando l’esempio della sinistra tedesca).
Per chiudere il cerchio – prima di arrivare alla sinistra italiana – dovrò dire qualcosa (in estrema sintesi) sul fenomeno neo-fascista.
6. Karl Radek, rivoluzionario bolscevico e teorico marxista, paragonò il fascismo a dei cerchi di ferro attraverso cui la borghesia protegge una botte sfondata (il modo di produzione capitalistico). La botte (il capitalismo) non viene necessariamente sfondata dal movimento operaio ma – ed è il caso degli anni ’20 – viene sfondata dalle crisi strutturali che ciclicamente il capitalismo deve affrontare per superare le sue contraddizioni interne.
Quindi definirei il fascismo come una involuzione del capitalismo monopolistico storicamente determinata. Un processo storico-sociale ormai chiuso.
Non è un caso che il filosofo marxista Gyorgy Lukàcs ammonì l’allievo Hofmann che parlava di pericolo fascista in Europa negli anni ‘60. Ma cediamo la parola al grande filosofo ungherese:
‘’Ho qualche perplessità soltanto quando il dominio assoluto del capitalismo lo si definisce con l’espressione fascismo. Il periodo di Hitler aveva caratteri specifici, per cui usare il suo nome in una costellazione nuova può provocare solo confusione e si converte assai facilmente in demagogia.(Ritengo per esempio demagogica l’idea, nel movimento studentesco, di riuscire a smascherare un fascismo di sinistra) Quel che oggi importa è combattere il capitalismo specifico di oggi’’ (Gyorgy Lukàcs – Werner Hofmann, Lettere sullo stalinismo, Editore Bibliotheca)
I sostenitori dell’antifascismo militante si guardano bene dal denunciare la funzionalità della estrema destra al progetto imperiale americano (e sionista), compresa la uguale matrice ideologica del neo-conservatorismo Usa e del neo-fascismo europeo (su ciò segnalo: Giorgio Galli, La crisi italiana e la destra internazionale, Arnaldo Mondadori Editore).
In questo modo la sinistra movimentista non solo legittima il neo-liberismo imperante ma si appiattisce nel criticare i soli caratteri sopra-strutturali del fascismo (come la negazione dei diritti politici) dimenticando che il fascismo è stato prima di tutto imperialistico.
Una isteria politica che ha portato all’abbandono completo delle categorie marxiste (ricordiamo le analisi del fascismo fatte da Trotsky o Fascismo e Gran Capitale di Daniel Guerin) e all’adozione di paradigmi teorici liberali.
La fortuna di autori anti-marxisti come la Arendt, Bobbio, Popper o Croce, nei circoli del Partito della Rifondazione Comunista (Partito della sinistra radicale in Italia) è molto eloquente.
Quindi il passaggio definitivo (pilotato dalle borghesie imperialistiche, in primis quella americana) è stato quello di trapiantare non concetti come quello di totalitarismo nella sinistra estrema.
Un gioco da ragazzi se è rivolto verso chi legge poco di Lenin e tanto di Bobbio. Faccio un esempio recente e traggo le dovute conclusioni.
7. Di recente è comparso un documento dei Giovani Comunisti Italiani firmato da Daniele Maffione. Il documento è pieno di errori/orrori (per ciò che riguarda la teoria politica marxista) da segnalare con la penna blu e su cui non è il caso di discutere. Discuterò soltanto alcuni passaggi del testo di Maffione utili per chiudere definitivamente il cerchio che nei precedenti paragrafi ho delineato (anche perché quella di Maffione è la linea definitiva del Partito sull’antifascismo).
Maffione scrive:
‘’ Si dirà che il fascismo, con il governo Monti, non ha bisogno dell’olio di ricino e del manganello. Nel nostro Paese, ormai, le aggressioni fasciste sono all’ordine del giorno ed assumono progressivamente i tratti di un richiamo al nazismo. A volte, se ne ricorda la stampa, che cita solo i casi di tentato omicidio. Ma complessivamente, il fenomeno è ampiamente sottovalutato, soprattutto dai partiti politici e dalle organizzazioni che fanno richiamo ad un antifascismo istituzionale e di facciata’’.
Il nostro ha una concezione molto romantica della democrazia liberale (o post-liberale). In realtà proprio quando l’involucro politico della democrazia parlamentare non coincide più con il suo contenuto, quindi con i rapporti sociali di produzione capitalistici, viene Buchenwald.
Amadeo Bordiga, il più classico fra i marxisti italiani del ‘900, disse a riguardo:
‘’ La democrazia sarebbe dunque un argine contro il riapparire del bestione trionfante? Non ci sarebbero dunque più Buchenwald e Mauthausen il giorno in cui la verginità democratica fosse protetta dalla minaccia di resurrezione del fascismo in croce uncinata? Comodo, certo; ma non è così. Buchenwald non ha bisogno di risorgere per la ricomparsa di «rigurgiti fascisti»: Buchenwald è già qui, egregi signori della democrazia universale; è qui dallo stesso giorno in cui il fascismo fu definitivamente battuto sul terreno militare e passò pari pari in eredità al vincitore democratico. Che cosa sono stati quindici anni di perfetto dominio della democrazia su scala mondiale, se non quindici anni di fascismo aggravato? Temete il risorgere del genocidio, o intellettuali in fregola di fronti democratici? Ebbene, che cosa fu il massacro dei quarantamila algerini nel 1945, regnando il fronte universale dell’antifascismo borghese, da De Gaulle grande resistente fino a Thorez suo vice-premier, se non un classico esempio di genocidio nello stile della croce uncinata? Che cos’è lo stillicidio delle guerre localizzate, ora in Corea, ora in Algeria, ora in Indocina, ora in Ungheria, ora in Egitto, etc., se non una ripetizione – senza svastica, d’accordo! – della solfa hitleriana?’’ (Buchenwald è il capitalismo, Il Programma Comunista, N.1 del gennaio 1960)
La democrazia in decomposizione diventa una dittatura tecnocratica che risponde agli interessi delle grandi elite finanziarie.
Da una parte le multinazionali hanno carta bianca e possono liberamente sbranare l’industria di Stato e dall’altro lato si riducono gli spazi di agibilità politica per gli anticapitalisti.
Non c’è da meravigliarsi, l’imperialismo Usa ha fatto simili esperimenti per decenni in America Latina, Africa, Asia ed ora ha messo le mani sull’Europa, tanto – sempre citando Bordiga – ‘’oggi i bianchi colonizzano i bianchi’’.
Ci sono analisi che inquadrano questo processo (per l’Italia segnalo gli interventi di Costanzo Preve ed Eugenio Orso), ad esempio James Petras denuncia le analogie strutturali fra fascismi e dittature tecnocratiche ma indica anche le differenze:
‘’ A differenza delle precedenti dittature, gli attuali regimi dispotici conservano le facciate elettorali, ma svuotate di contenuti e mutilate, come entità certificate senza obiezioni per offrire una sorta di “pseudo-legittimazione”, che seduce la stampa finanziaria, ma si fa beffe di solo pochi stolti cittadini. Infatti, dal primo giorno di governo tecnocratico gli slogan incisivi dei movimenti organizzati in Italia denunciavano: “No ad un governo di banchieri”, mentre in Grecia lo slogan che ha salutato il fantoccio pragmatista Papdemos è stato “Unione Europea, Fondo Monetario, fuori dai piedi!”
Le dittature in precedenza avevano iniziato il loro corso come stati di polizia del tutto vomitevoli, che arrestavano gli attivisti dei movimenti per la democrazia e i sindacalisti, prima di perseguire le loro politiche in favore del capitalismo. Gli attuali tecnocrati prima lanciano il loro malefico assalto a tutto campo contro le condizioni di vita e di lavoro, con il consenso parlamentare, e poi di fronte ad una resistenza intensa e determinata posta in essere dai “parlamenti della strada”, procedono per gradi ad aumentare la repressione caratteristica di uno stato di polizia… mettendo in pratica un governo da stato di polizia incrementale’’ (James Petras, Il nuovo autoritarismo: dalla democrazia alle dittature tecnocratiche, Global Research)
Lo studio di James Petras, a mio avviso, è quanto di meglio è stato fatto sulla decomposizione delle vecchie democrazie borghesi (ormai il capitalismo è post-borghese e post-proletario, quindi, è di per sé, totalitario).
In conclusione, non so a quale scuola di marxismo sia andato questo Maffione ma una volta si era soliti partire dalle contraddizioni principali e – da quello che mi risulta – il nemico principale resta l’imperialismo Usa. Non è un caso che nel testo del nostro non si parli nemmeno una volta di imperialismo.
Molto gustoso anche questo passaggio di Maffione:
‘’ Ci troviamo, in ultima analisi, di fronte ad un processo di deriva delle classi dirigenti continentali, di cui non conosciamo la durata, ma che ha sicuramente un’estensione profonda. La crisi economica coinvolge ampi strati della società, soprattutto i proletari ed il ceto medio, che, a seconda dei paesi, sono divenuti permeabili alla propaganda di ideali reazionari’’.
La piccola borghesia ha una particolare fisionomia politica: priva di indipendenza economica, ne è priva anche su quello politico. Siccome si trova in mezzo a due blocchi sociali contrapposti (Borghesie e Classe Operaia o meglio Lavoratori Salariati) si illude di essere al di sopra delle contraddizioni fra le classi.
Quando questa illusione finisce la piccola borghesia si unisce ad uno dei due blocchi, spesso credendo ancora di condurre una politica autonoma (del resto basta leggere Il 18 brumaio di Karl Marx per capire il comportamento dei ceti medi).
L’imposizione del modello capitalistico americano impone lo spappolamento dei ceti medi e delle vecchie borghesie nazionali (legate alla rachitica industria di Stato) che per non morire reagiscono creando folcloristi movimenti interclassisti (dagli Indignati ai deliri sul signoraggio di Scilipoti).
Il problema continua a venire dalla manina di oltre oceano ma la sinistra italiana (che non è un caso isolato nel deprimente panorama politico europeo) non vuole proprio sentire parlare di antimperialismo.
8. Gli esempi delle sinistre (tedesca ed italiana) sono interessanti per fissare i punti cardine che hanno determinato la mutazione genetica della sinistra in una prospettiva filo-atlantica:
(1) La delegittimazione dello Stato nazionale: questo primo passaggio è stato catastrofico perché ogni processo rivoluzionario non può non avere una base patriottica. La diffidenza attraverso cui i ‘’comunisti’’ guardano ai movimenti di liberazione nazionale, come quello irakeno e quello palestinese, è significativa è un prodotto diretto di questa involuzione teorica (aggravata dall’affermarsi del movimentismo pacifista).
(2) L’abbandono degli studi di Lenin sull’imperialismo: questo secondo passaggio è stato accompagnato dalla accettazione della sinistra radicale della teoria sull’Impero di Toni Negri. Secondo Negri gli Stati nazionali non hanno più nessun ruolo specifico e – nella post-modernità – non esiste più un centro di potere ben definito. Ipotesi balorda dato che le potenze della NATO (che caduta l’Urss non ha più ragioni per esistere) si muovono su procura degli Stati Uniti. Scompare la lotta fra potenze imperialistiche e popoli coloniali (oltre ai nuovi Stati rivoluzionari, come il Venezuela) e scompare la lotta fra le classi (sostituita dalla bio-politica).
(3) L’abbandono della analisi marxista (Gramsci, Trotsky, e in parte Lukàcs) sulla involuzione dello Stato capitalistico: in questo modo i regimi vengono giudicati non per la loro base sociale ma per la loro forma politica. E’ una debolezza teorica che – almeno nei primi anni ’90 – ha anticipato l’adozione a sinistra delle teorie sul totalitarismo su criticate.
Dove porta tutto ciò? Non è difficile capirlo: anche la NATO ha bisogno di muovere le sue pedine a sinistra, del resto come disse Bertolt Brecht ‘’semmai ci sarà un fascismo americano sarà un fascismo democratico’’. Amen !
Altri testi consultati:
1)    Cèdric Housez, Scontro di civiltà: la vecchia storia nel ‘’nuovo totalitarismo’’, Rete Voltaire
2)    Vladimiro Giacchè, Totalitarismo, triste storia di un non concetto, Sinistra in rete
3)    James Petras, Il neo-liberismo ‘’dal basso’’. Le ambiguità dell’azione delle ONG, Contropiano
4)    Il testo di Daniele Maffione può essere letto nel sito dei Giovani Comunist

2 commenti
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  1. Ottima e istruttiva analisi della feroce lotta contro iniziative umanitarie e socialiste spacciate come ‘comuniste’. Specialmente illuminante l’analisi del paradosso per cui in una ‘democrazia’ le forze che la sostengono sono prettamente anti-nazionali.
    E qui (aggiungo), nonostante di facciata siano proprio le elite dominanti a fomentare il nazionalismo delle masse (purtroppo tenute) ignoranti. Basta ascoltare la sfilza di canzoni USA ‘country’ inneggianti a un nazionalismo vomitevile. Il sound ‘country’ e’ ottimo – e’ l’uso che va al di la’ dell’odioso. Particolarmente (e storicamente) istruttive le canzoni country uscite ai tempi del Vietnam, con vomitevoli omaggi alla ‘bandiera’ simbolo di ‘liberta”. Un titolo mi viene a mente, “It’s America, love it or leave it.” – E’ l’America, amala o lasciala (!)
    E poi non molti anni dopo, uno degli architetti del genocidio vietnamita, McNamara, si fa ancora un bel po’ di soldi scrivendo un libro in cui definisce la guerra del Vietnam “sbagliata”. Alla faccia….
    Ma questo paese ha la memoria corta. Fu il recentemente scomparso Gore Vidal a chiamarli, “The United States of Amnesia”
    Vale!
    Jimmie

  2. [...] Contropiano 4)    Il testo di Daniele Maffione può essere letto nel sito dei Giovani Comunisti http://www.comunismoecomunita.org/?p=3214 //Start section to modify var ed_Related_Title_Box = "Ti potrebbero interessare anche"; [...]

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