Ritorno al passato: Modern Money Theory e l’ombra di Keynes
mar 6th, 2012 | Di Eugenio Orso | Categoria: Teoria e criticadi Eugenio Orso
I difetti più evidenti della Società economica nella quale viviamo sono l’incapacità a provvedere la piena occupazione e la distribuzione arbitraria e iniqua delle ricchezze e dei redditi.
(J. M. Keynes, Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta)
Quando discutiamo di MMT, e perciò di un improbabile ritorno al Keynes della Teoria generale e del Trattato sulla moneta, non stiamo parlando di movimenti popolari nati dal disagio economico e psicologico di massa, di nuove jaquerie che esplodono nei periodi di crisi, di proteste contro questo capitalismo come quelle degli Indignados (Europa) e di Occupy Wall Street (Stati Uniti), che peraltro sembrano essersi già esaurite senza aver sortito effetto alcuno.
La MMT parte dagli USA con il figlio del noto economista John Kenneth Galbraith, James, con Stephanie Kelton ed altri, ed anche dall’Australia con l’economista Bill Mitchell, alimentata da personalità del calibro di Randall Wray, e i suoi sostenitori non sono esattamente una massa numerosa e indistinta di “utili idioti”, come lo sono invece gli Indignados e gli Occupy W.S., espressione di una protesta vaga, priva di obbiettivi precisi, politicamente corretta ed inefficace, e perciò destinata a languire, prima di estinguersi senza conseguire alcun risultato, su un binario morto.
Questa volta si tratta di economisti, di “animali accademici” concentrati soprattutto, ma non solo, nel dipartimento di economia dell’Università del Missouri, in quel di Kansas City, e quindi interni al sistema neocapitalistico vigente, quota parte, per quanto minoritaria e indisciplinata, dei suoi “apparati ideologici”.
Alcuni fra questi vantano qualche influenza sulla politica e qualche contatto con l’amministrazione americana.
Le grandi questioni che indubbiamente solleva la MMT, o teoria della moneta moderna, si legano al delicato rapporto che esiste fra stato e moneta, al potere conferito ai governi di suscitare la crescita capitalistica e l’occupazione, attraverso l’espansione della spesa pubblica e i deficit dei bilanci statali, evitando fenomeni devastanti come quello dell’iperinflazione.
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Complimenti per quanto scritto
Il Partito viola ha ripreso l’articolo, ma con tutta evidenza non l’ha capito.
Prescindo dal fatto che il colore Viola è sicuramente quello che identifica una “rivoluzione colorata” minore o mancata, nel solco delle false rivoluzioni colorate (arancioni, gialle, verdi, eccetera, dall’Ucraina all’Asia) molto gradite alla classe dominante globale per estendere il Mercato, portare i “diritti umani”, eventualmente insieme con le bombe, e Liberaldemocratizzare a forza le società, e mi concentro soltanto sui punti riguardanti il “comune” (espressione che ha un sapore negriano neppure troppo vago), la sovranità nazionale e le classi sociali (quindi anche la lotta di classe).
1) Il Comune è un’alternativa negriana fittizia, o se vogliamo puramente letteraria, alla proprietà pubblica intesa come precondizione per la socializzazione, ed alla proprietà privata elevata a supremo diritto dal Nemico neoliberista. Questa alternativa “che non c’è” è una vaga terza via fra la strada etica ed autocoscienziale che porta all’emancipazione umana, in primo luogo dal bisogno e dal ricatto economico, e la strada che porta all’attuale inferno novo-capitalistico, di cui non abbiamo avuto, finora, che un primo assaggio. Non c’è il Comune, come lo intende Toni Negri, ma c’è la socializzazione quale alternativa alla prevalenza della proprietà privata e della deleteria iniziativa privata su tutti i diritti naturali dell’uomo, compreso quello fondamentale alla vita.
2) La sovranità nazionale politica e monetaria è per noi un punto di partenza indispensabile per riorganizzare la società intorno a principi etici e di maggior equilibrio nella distribuzione delle risorse. La sovranità politica e monetaria è indispensabile per riportare l’economia finanziarizzato sotto il controllo della politica. La sovranità degli stati non confligge con una ritrovata coscienza sociale e di classe, ma le due cose sono indissolubilmente legate, e danzi, si autoalimentano, perché, come abbiamo modo di constatare in un paese prostrato, quasi inerte, e occupato dal grande capitale come l’Italia, perdendo la sovranità politica e monetaria (FMI, BCE, euro, NATO, eccetera) svanisce anche la coscienza sociale, si eclissa il solidarismo e decade la capacità combattiva della popolazione dominata.
3) Le classi sociali esistono ed è falsa la favoletta veicolata dai media e dagli intellettuali subalterni della “società senza classi” verso la quale staremo rapidamente andando, come era falsa, all’avvio della globalizzazione economica neoliberista la favoletta (qualcuno se la ricorda?) del “villaggio globale” in cui vivere in letizia. Le differenze di ricchezza, potere e prestigio (i tre differenziali essenziali maxweberiani fra le classi e gli strati) oggi si approfondiscono esponenzialmente, con una velocità che tende ad approssimare la velocità dei capitali finanziari nella loro libera circolazione. Solo che non esiste più la vecchia dicotomia Borghesia/Proletariato, sostituita dalla dicotomia nuovo-capitalistica Global class/Pauper class.
Grazie per l’attenzione
Eugenio Orso
Caro Eugenio Orso,
Molto brevemente.
Una volta dimostrata l’impossibilità di attuare le idee della MMT, che possibilità ci sono nel lungo periodo oltre a una “guerra sociale”(ed anche economica credo) o peggio ancora ad una guerra vera?
Dato che non voglio credere che la gente accetterà senza reagire un ritorno a diritti e condizioni sociali dell’800, ma che purtroppo, secondo me, è a quel livello che procedendo nella direzione in cui stiamo andando ora prima o poi arriveremo.
Grazie,
J.S.
Rispondo a Jacopo, che cortesemente commenta in modo favorevole.
Per quanto riguarda la Guerra Sociale di Liberazione futura (come la chiamo io, per distinguerla dalla lotta di classe otto-novecentesca), questa non scoppierà per l’impossibilità di tornare al passato, a Keynes, al welfare generalizzato e per l’impossibilità di attuare la MMT, ma per il motivo che esistono dei limiti fisici e psicologici alla compressione dei dominati (di tutti noi, per intenderci), superati i quali possiamo attenderci reazioni di massa estese che forse saranno in grado di compromettere la riproducibilità sistemica.
Voglio essere prudentemente dubitativo in proposito, usando il forse, perchè attualmente forti segnali in tal senso mancano ancora, e possiamo constatare la frammentazione delle lotte (in Italia, la Sicilia dei Forconi indipendente dai No-TAV della Valle di Susa, le lotte dei lavoratori Fiat indipendenti dai moti di popolo della Sicilia e della Val di Susa, eccetera). Lo stesso caso greco ci ha mostrato con sufficiente chiarezza che nonostante lotte di popolo generalizzate, estese a gran parte della società ellenica (dai disoccupati agli avvocati), restando all’interno delle logiche sistemiche non si otterrà mai nulla, e le controriforme neocapitalistiche non si arresteranno. Importante sarà l’unificazione delle lotte popolari in vasti spazi, in aree geopolitiche importanti del mondo, quale può essere l’Europa meridionale e mediterranea.
Saluti
Eugenio Orso
Salve. Vorrei chiedervi una cortesia, ma penso che sia una cosa che possa interessare anche voi, dal momento che discutete di MMT.
Tra i contributi di questi economisti che sostengono la MMT c’è anche una più o meno originale storia del denaro, una ricostruzione più o meno veritiera delle sue origini e della sua natura.
La cosa mi interessa molto, e sono curioso di conoscere la vostra opinione, in particolare quella di Preve. Avevo già chiesto a Eugenio Orso la stessa cosa e lui molto gentilmente si era reso disponibile a segnalare la cosa a Preve. Ma poi non so com’è finita. Giro la cosa anche a voi.
La storia della moneta che si trova su tutti i manuali di economia, è falsa e di natura ideologica – sostengono i MMTisti. Non sono in grado di farne una sintesi, ma posso indicarvi due testi in cui l’argomento viene sviscerato.
In particolare, Preve caratterizza l’emergere del denaro in modo negativo, mentre i MMTisti, in alcune istanze, ne danno una valutazione moderatamente positiva. Il passo che riporto è, mi pare, molto in contrasto con le tesi previane (mi piacerebbe sapere cosa ne pensa):
“Kurke has offered a detailed analysis of the invention of coinage, somewhat modifying the views of Cook, Kraay and Grierson. She notes that coins seem to have originated in seventh century (BC) Greece, at a time when the economy was largely embedded, and argues “the fact of an embedded economy must make a difference to the causes for the invention of coinage”. (Kurke 1999, p. 5) While Kurke notes that Kraay (1964) revolutionized numismatics when he argued that coins were invented to standardize payments made by and to the state, she recognizes that some of Kraay’s evidence has since been disputed. However, her primary objection is that Kraay had not paid sufficient attention to culture, institutions, and other social and political motivations. In her view, “the minting of coin would represent the state’s assertion of its ultimate authority to constitute and regulate value in all the spheres in which general-purpose money operated simultaneously—economic, social, political, and religious. Thus, state-issued coinage as a universal equivalent, like the civic agora in which it circulated, symbolized the merger in a single token or site of many different domains of value, all under the final authority of the city.” (Kurke 1999, pp. 12-13) In a sense, the choice of precious metals for coinage was a historical accident, a pointed challenge to elite monopoly over precious metal (the elite valued precious metal for use in complex hierarchical gift exchange). By coining precious metal, the polis appropriated the highest sphere of gift exchange, and with its stamp it asserted its ultimate authority—both inwardly (or domestically) but also outwardly (in long-distance trade): “For every Greek polis that issued its own coin asserted its autonomy and independence from every other Greek city, while coinage also functions as one institution among many through which the city constituted itself as the final instance against the claims of an internal elite.” (Kurke 1999, p. 13) As the polis used coins for its own payments and insisted on payment in coin, it inserted its sovereignty into retail trade in the agora. By tying the invention of coinage to the special circumstances of Greece, Kurke’s analysis makes it clear why coins have been so unimportant to other economies before and since.
Of course, from the perspective of Greece, coinage was no historical accident. As Kurke argues, introduction of coins arose out of a “seventh/sixth century crisis of justice and unfair distribution of property”. (Kurke 1999, p. 13) Coins appeared at this particular time because the polis had gained sufficient strength to rival the symposia, hetaireiai (private drinking clubs) and other institutions and xenia (elite networking) that maintained elite dominance. At the same time, the agora and its use of coined money subverted hierarchies of gift exchange, just as a shift to taxes and regular payments to city officials (as well as severe penalties levied on officials who accepted gifts) challenged the “natural” order that traditionally had relied on gifts and favors. As Kurke argues, as coins are nothing more than tokens of the city’s authority, they could have been produced from any material. However, because the aristocrats measured a man’s worth by the quantity and quality of the precious metal he had accumulated, the polis was required to mint high quality coins, unvarying in fineness. The citizens of the polis by their association with high quality, uniform, coin (and in the texts the citizen’s “mettle” was tested by the quality of the coin) gained equal status; by providing a standard measure of value, coinage rendered labor comparable and in this sense coinage was an egalitarian innovation. As Kurke argues, the “mystification” of the origins of money that ties it to markets (rather than to the polis or state) is ideological—as it remains today—a purposeful rejection of the legitimacy of democratic government.
Hence, while Kurke modifies to some extent the argument above, she similarly maintains that coinage was not a transactions-cost-minimizing invention but rather emerged from a spatially and temporally specific contest between an elite that wished to preserve the embedded hierarchy of gift exchange and a democratic polis moving to assert its sovereignty. Precious metals were not chosen for coinage to ensure that nominal value would be maintained by high embodied value, but rather because of the particular role played by precious metals in the hierarchy. Always above all a means of providing for state finance, coins were mystified by an elite that associated their creation with petty, debasing, and contaminating retail trade. While both the elite and the supporters of the polis claimed legitimacy for their positions through reference to the natural, embedded, order, coinage, development of sovereign government, and evolution of retail trade all contributed to the gradual disembedding of the economy. It is ironic that today’s M-form approach views the completely disembedded economy as the natural case, emerging from rational, individualistic, pursuits, and even sees the “pure” case as one in which only precious metals are used as media of exchange. The evil government only corrupts the natural, disembedded economy by debasing the currency and by substituting its own tokens. As Kurke’s analysis makes clear, through their ignorance of history these economists have wholly misinterpreted the nature of money and the importance of government to the formation of democratizing market exchange.”
“In Greece, the choice of a precious metal coin was against the interests of the elite and the spread of the market was actually democratizing. In Kurke’s view:
. . . the minting of coin would represent the state’s assertion of its ultimate authority to constitute and regulate value in all the spheres in which general-purpose money operated simultaneously – economic, social, political, and religious. Thus state-issued coinage as a universal equivalent, like the civic agora in which it circulated, symbolised the merger in a single token or site of many different domains of value, all under the final authority of the city (Kurke 1999, pp. 12-13).
According to Kurke, introduction of coins arose out of a ‘seventh/sixth century crisis of justice and unfair distribution of property’ (Kurke 1999, p. 13). At this time, the polis had gained sufficient strength to challenge the symposia, hetaireiai (private drinking clubs), and other institutions and xenia (elite networking) that maintained elite dominance. Elite society relied on social networks and gift exchange, looking down upon the extending market and use of money – which were linked at least subconsciously to democracy. Even control over city government was maintained by bringing city officials within elite networks and making their livelihood depend upon gifts. City government began to challenge the authority of this elite, by promoting the market, by coining money and by trying to substitute salaries for gifts. The agora and its use of coined money subverted hierarchies of gift exchange, just as a shift to taxes and regular payments to city officials (as well as severe penalties levied on officials who accepted gifts) challenged the ‘natural order’. It was thus no coincidence that the elite literary works disparaged the agora as a place for deceit and that coinage was always noted in such literature for its ‘counterfeit’ quality – and never mentioned favourably in these works. For the elite, the perfect metaphor for the agora was the pome (whore) who worked for money, and she was contrasted with the hetairai (courtesans) who frequented the symposia to exchange their services for ‘gifts’.
In pointed affront to the elite, the polis coined gold (the most valued of gifts in the hierarchy of gift exchange) and created cheap public brothels for use by citizens. The public brothel was seen as democratic, because it ‘serves “all mankind”, it is “democratic”, and provides women who are “common to all” ‘ so that ‘any citizen, no matter how poor, could enjoy a pome’ (Kurke 1999, pp. 196-7). As Kurke argues (and as the Green-backers argued), since coins are nothing more than tokens of the city’s authority, they could have been produced from any material. However, because the aristocrats measured a man’s worth by the quantity and quality of the precious metal he had accumulated, the polis was required to mint high-quality coins, unvarying in fineness. The citizens of the polis by their association with quality, uniform coin gained status. By providing a standard measure of value, coinage rendered labour comparable and in this sense coinage was an egalitarian innovation. Predictably, the elite reacted, attributing the introduction of coins to tyrants intent on destroying the nomos, the community, the divine order. It is also interesting that in the elite texts, the invention of money is attributed to the requirements of scorned retail trade – just as modern economics does, albeit without scorn – rather than to the struggle to assert sovereignty of the polis. As Kurke argues (and in line with what Carruthers and Babb argue), this mystification of the origins of money is ideological – as it remains today – a purposeful rejection of the legitimacy of democratic government.
In sum, coinage was not a transactions-cost-minimizing invention but rather emerged from a spatially and temporally specific contest between an elite that wished to preserve the embedded hierarchy of gift exchange and a democratic polis moving to assert its sovereignty. Precious metals were not chosen for coinage to ensure that nominal value would be maintained by high embodied value but rather because of the particular role played by precious metals in the hierarchy. Coins were then mystified by an elite that associated their creation with petty, debasing and contaminating retail trade. In reality they were linked from the beginning with provision of government finance (as Grierson 1977 notes, numismatists have come to the conclusion that early coins seem to have been issued to pay ‘soldiers and sailors’). While both the elite and the supporters of the polis claimed legitimacy for their positions, through reference to the embedded, natural, order, coinage, development of sovereign government, and evolution of retail trade all contributed to the gradual (but always only partial) dis-embedding of the economy. In the views of trie elite, the evil government only corrupts the natural, embedded economy by coining metal and reducing the sphere for elite gift exchange. Eventually all this changes of course, such that by the time of the Bullionist-Greenbacker debates, the dis-embedded market is ‘natural’ and the gold coin is the only proper form that money should take. According to the Greenbacker or its modern equivalent, the evil and corrupt government tries to embed the economy in social and political institutions that can only disrupt the natural, dis-embedded and efficient order. Only by wresting control over the economy away from government – for example, through bullionism or monetarism – can the market be free to work its wonders.
The purpose of reducing money to ‘arithmetic’, then, is to hide the social relations behind a ‘natural veil’ of asocial market exchange. To be sure, the veil is transparent to the over-indebted borrower, to the hungry who lacks money for food, or to the unemployed without money wages. For the committed ideologue, however, or for the professional economist, that veil completely obscures the sociological nature of money in a quite ‘useful’ way.”
I testi sono i seguenti:
Money: An Alternative Story
http://www.cfeps.org/pubs/wp/wp45.htm
The Neo-Chartalist Approach to Money
http://www.cfeps.org/pubs/wp/wp10.html
Recensione al libro della Kurke
http://cas.umkc.edu/econ/economics/faculty/wray/papers/kurke_rev.htm
Introduzione al libro:
http://arno.daastol.com/books/wray/Wray, Credit and State Theory of Money (2004)h.htm
Dal tono dell’articolo si percepisce scarsità di speranza e fiducia peraltro condivisibili.
Ritengo altresì che un giornalista Italiano, allo stato attuale di degrado del Paese, di cui la sua categoria ha ampie responsabilità, dovrebbe provare sensazioni di “nausea accompagnati da violenti conati di vomito” per il solo fatto di appartenere a tale categoria!
Mi permetto questa considerazione perchè rivolta ad uno dei pochi che, quantomeno, affronta il tema economico proposto dalla MMT riconoscendolo come valido ed utile anche se difficilmente applicabile per i motivi che ha correttamente indicato.
Purtroppo però è lampante che i suoi lettori vengano decisamente scoraggiati dal prendere in considerazione la possibilità di CAPIRE come l’economia sia “l’arma letale” con cui la Global class, come lei la chiama, stia sottomettendo la popolazione mondiale rendendola schiava ed infelice.
La presa di coscienza è fondamentale per poter indirizzare la lotta disordinata e direi inutile a cui lei fa riferimento.
Purtroppo però, lei è parte integrante di quel “Quarto Potere” che addormenta le coscienze e placa i sentimenti di rabbia così fondamentali oggi.
Individuare un’alternativa al neoliberismo è imprescindibile.
Quello che Barnard sta cercando di fare è proprio questo, dare uno strumento valido con cui provare a scardinare il “vero Potere” di cui lei ed io siamo vittime.
E’ chiaro che applicare queste teorie dall’oggi al domani è impossibile, ma la strada è giusta e va appoggita sopratutto da voi giornalisti che avete accesso diretto alle coscienze.
Non me ne voglia ma sono un cittadino molto incazzato e preoccupato per le sorti dei miei figli e della mia Nazione!
Per Giovanni Troiani
Comprendo e condivido le sue preoccupazioni, sostanzialmente perché anch’io “tengo famiglia” (sono diventato nonno da poco).
Precisato questo, le rendo noto che io NON SONO UN GIORNALISTA, mi pregio di non esserlo e non ho nulla da spartire con l’attuale e disgustoso “clero ideologico-mediatico”, al servizio del potere imperante e della riproduzione neocapitalistica complessiva.
Ho evidenziato la frase con l’uso delle maiuscole perchè questo equivoco continua da troppo tempo.
Io sono uno dei tanti blogger presenti in rete, un guest poster ospite di alcuni siti, un antagonista anticapitalista e soprattutto un libero pensatore, allievo del filosofo marxiano Costanzo Preve.
Per quanto riguarda la MMT, nel mio breve saggio ho soltanto cercato di far comprendere alcune cose che giudico fondamentali:
1) I ritorni al passato, armi e bagagli, non credo che siano possibili, né per quanto riguarda gli aspetti culturali né per quanto riguarda quelli economici. Inoltre, oggi stiamo vivendo in un difficilissimo periodo di transizione fra il precedente evo storico (connotato dal capitalismo del secondo millennio) e l’evo successivo, quello nuovo, dominato dal Nuovo Capitalismo finanziarizzato. Il vecchio mondo tende a scomparire e quello nuovo sta (purtroppo) sorgendo, le forze oligarchico-globaliste stanno vincendo e le trasformazioni antropologico culturali che queste hanno imposto (in atto già da alcuni decenni) renderanno improbabile quel “ritorno al passato” suggerito, nella sostanza, dalla Modern Money Theory.
2) Non si deve cadere nella trappola dell’economicismo, pur essendo l’economia un importante strumento di dominazione utilizzato spregiudicatamente dalle élite neocapitalistiche, come non si deve cadere in quella del sociologismo, dello storicismo, eccetera, eccetera. In cosa consiste questa trappola, alla quale accenno anche nel saggio sulla MMT? Nel considerare soltanto l’aspetto economico e trascurare il resto, mentre i punti di forza, gli strumenti di dominazione impiegati e le trasformazioni operate per l’affermazione globalista e neocapitalistica sono eterogenei, riguardando la cultura, la struttura sociale, l’ideologia di legittimazione ed altro ancora, non soltanto l’economia.
3) Se si vuole discutere della MMT, dato che si tratta di una teoria che ripropone il pensiero di J. M. Keynes, al più “filtrato” dal postkeynesismo, è bene rileggere qualche pagina scritta di suo pugno da Keynes, l’originale e la sorgente, e riconsiderare, rileggere con occhi nuovi, se del caso criticare la General Theory e la Teoria della Moneta keynesiane originali.
La saluto e la ringrazio per aver letto il mio saggio con spirito critico
Eugenio Orso