Cultura e potere

feb 19th, 2010 | Di | Categoria: Dibattito Politico

E’ purtroppo oramai sotto gli occhi di chiunque abbia ancora gli occhi per vedere la crisi politica del Marxismo organizzato. Numerose ed anche diversificate sono le “letture”  e le proposte. Da tali analisi manca però un elemento fondamentale. La comprensione come il sintomo di questa crisi sia la perdita di un’egemonia culturale che dalla caduta del Fascismo aveva caratterizzato la storia del movimento comunista in Italia.

Nessuna proposta, nessuna analisi e neanche porsi minimamente il problema. La Cultura insomma è oramai “passata di moda” in questi lidi, ritornando ad essere “semplice sovrastruttura” dimenticando l’assunto fondamentale di Antonio Gramsci per il quale solo sostituendo l’egemonia culturale della Classe dominante si potrà sperare di avere una vera, autentica e sentita Rivoluzione comunista.

Un assunto che, pur nei limiti e nel settarismo che quel movimento ebbe, fu perfettamente compreso dal cosiddetto Movimento del ’77 che, attraverso gli strumenti della comunicazione culturale, cercò di trasformare la Cultura non più in uno strumento della lotta (cosa che oggi non c’è neanche più) ma il terreno stesso della lotta.

La sconfitta di quel tentativo portò però alla trasformazione della Cultura in mero intrattenimento commerciale ed al suo assorbimento nel nuovo ciclo capitalistico. Questo fronte del dissenso culturale che aveva posto come base del suo essere l’indipendenza dal potere politico non aveva, infatti, saputo prevedere la necessità dell’indipendenza dal potere economico avendo così come conseguenza l’asservimento della funzione intellettuale e culturale ad un nuovo dominio ancora più persuasivo e totalitario.

Altra conseguenza della sconfitta di quel Movimento sarà un’inevitabile emarginazione della Cultura che, da quel momento, sarà esclusa come elemento rivoluzionario dal dibattito politico comunista.

Che sia una posizione aberrante e politicamente perdente è però dimostrato da parte delle Classi dominanti e, in particolare, da parte della Destra politica (il Pd essendo un ectoplasma che fa finta di vivere non va neanche considerato a parere di chi scrive) che, al contrario, sull’elemento culturale sta investendo. Non solo attraverso le politiche del Governo Berlusconi sulla Scuola e sull’Università, ma molto più a fondo. Significativo, da questo punto di vista, è stato un articolo del 15/4/2006, all’indomani della vittoria dell’Unione di Romano Prodi, uscito sul “Domenicale” – giornale di Cultura fondato e finanziato da Marcello Dell’Utri – per il quale occorreva, per battere la Sinistra, “organizzare una adeguata politica culturale per creare quel consenso indispensabile per ottenere la rivoluzione liberale che si preconizzava nel 1994 e poi nel 2001 [...]. Solo attraverso la cultura può realizzarsi una vera rivoluzione [...]”.

Altro evento particolarmente indicativo, ed ovviamente neanche affrontato da parte dei “comunisti” nostrani, è stata la pubblicazione di una collana di Poesia de “Il Saggiatore” contenente poesie di autori come Arthur Rimbaud od Allen Ginsberg. Autori cioè che, forse un po’ semplicisticamente, si suole definire “di sinistra” e che, inoltre, sono inseriti in due antologie dal titolo simbolico e significativo: “Subway” (Poeti italiani underground) e “I disobbedienti”. Fin qui nulla di strano o di particolarmente innovativo. La novità sta nel fatto che il curatore di quest’opera è Davide Rondoni: poeta e giornalista del Tg1 e dell’”Avvenire”, vicino al Ministro Sandro Bondi.

Che cosa ha voluto significare dunque quest’operazione politico-culturale? Semplicemente l’occupazione di uno spazio, lasciato vuoto – come dicevamo all’inizio dell’articolo – dal movimento comunista italiano che ha smesso di utilizzare la Cultura come terreno, e neanche più come strumento, di lotta politica. Autonomia della Cultura non vuol dire, infatti, come ben ha specificato Lukacs, una Cultura neutrale ma una cultura “partigiana” che attraverso i suoi strumenti (letterari, filosofici, artistici) possa indirizzare e guidare un movimento autenticamente o potenzialmente rivoluzionario.

Questo, come dicevamo, non è stato fatto, illudendosi che la Cultura potesse rimanere per sempre emarginata dalle lotte sociali all’interno di “autonome” aule universitarie o centri di cultura “indipendenti”.

Questo non è così perché così non può essere e quindi le Classi dominanti più consapevoli stanno occupando quello spazio lasciato colpevolmente libero. Prendendosi, e facendo propri, Gramsci, Pasolini, Ginsberg e lo stesso Marx (basta leggere alcune delle dichiarazioni del Ministro Tremonti). Riorganizzare un movimento comunista e marxista vuol dire dunque ricominciare a rioccupare questo spazio pur tenendo in considerazione le difficoltà che si propongono oggi. Creare una rivista culturale, letteraria o filosofica, non vuol infatti più dire, come negli anni ’60-’70, creare cultura in un mondo sempre più dominato dal mezzo televisivo che riduce tutto a banalità commerciale, mettendo sullo stesso piano Moccia e Sartre, Moravia e la Tamaro. Questo tentativo dev’essere però tentato perché se non si riuscirà a creare una cultura “altra” che non sia quella commerciale e massificante, e cercando di riprendersi nel loro vero significato (e non in una loro demistificazione com’è tentato oggi) i suoi autori, ogni tentativo rivoluzionario sarà inutile.

Soluzioni quest’articolo non ne propone, non vedendosi all’orizzonte un nuovo Antonio Gramsci. Spera però che, da esso, possa nascere un proficuo dibattito, al di là della giusta autocritica, sul come proporre una cultura “rivoluzionaria e comunista” oggi.

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