Intervista a Costanzo Preve (3/1/12)
gen 6th, 2012 | Di Redazione | Categoria: Cultura e societàTorino, 3 gennaio 2012
di Piotr Zygulski, Luca Valerio Rogledi, Massimo di Perna
Parte 1
C: Facciamo pure con calma, una cosa leggera anche per i tuoi amici, per non annoiarli troppo.
M, L: No assolutamente, anzi.
P: Se vogliono intervenire anche loro…
M: io sono interessatissimo
C: ma questo è evidente
[..]
P: Hai insegnato per molti anni, no, nella suola, nel liceo
C: Dunque io ho studiato filosofia in Francia, con una borsa di studio, dal 1961 al 1967. Ho fatto un concorso a Parigi, alla Sorbona, infatti sono bilingue in francese. In principio studiavo germanistica, questo qua anche a Berlino, e poi sono passato a neoellenistica, che vuol dire greco moderno, sono stato un anno e mezzo ad Atene, alla scuola francese , questo nel 1965, prima della dittatura dei colonnelli del 167. Sono rientrato in Italia nel 1967 e ho fatto il professore di inglese e francese per due anni e poi di filosofia e storia per 35, per cui in pratica ho fatto il professore di liceo dal 67 al 02, e sono in pensione dal 2002, dieci anni.
P: la domanda era: hai qualche proposta per riorganizzare la scuola pubblica, in special modo per quanto riguarda l’insegnamento della filosofia nella scuola italiana?
C: Io non ho consigli particolari, la filosofia viene insegnata in Europa in poche classi di liceo, nel senso che per esempio in Inghilterra non è insegnata. In Inghilterra la filosofia è soltanto universitaria, per cui non esiste, come in Italia, la cattedra di filosofia e storia nei licei. In Francia esiste, ma è fatta molto diversa dall’Italia. Mentre in Italia, come tu ben sai, c’è un professore unico di filosofia e storia, il quale gestisce storia della filsofia nel triennio del liceo, in Francia invece il professore di filosofia è separato da quello di storia. Il professore di storia, fa soltanto il professore di storia; il professore di filosofia corregge compiti di contenuto filosofico, corrispondenti a quelli che vengono chiamati in Italia i compiti di italiano, con la differenza che però in Francia la filosofia non si fa con il metodo della storia della filosofia, prima i geci, poi il medioevo, poi l’età moderna, poi quella contemporanea, come si fa in Italia, no, che si associa con la storia.
P: È un’impostazione di Gentile?
C: Questa impostazione è quella di Gentile, scelta da Gentile nel 1923 e perciò oramai ha praticamente novant’anni, e parte dal presupposto di Hegel, secondo cui la filosofia non si impara se non ripercorrendo l’intera storia della filosofia dai greci ad oggi e comprendendone la logica di sviluppo. Ora, la maggioranza dei professori di filosofia non sono gentiliani, non sono neppure hegeliani, per cui di fatto la insegnano soltanto come una filastrocca di opinioni, cioè come una serie consecutiva di opinioni di singoli filosofi. Secondo me, forma poco educativa. In Francia invece la filosofia si insegna mediante problematiche di filosofia politica, religiosa, scientifica, e così via, perciò in maniera non storica, dunque sono due modi assolutamente opposti di insegnamento. In molti paese, tipo Portogallo, Grecia, o Spagna, la filosofia è stata di fatto abolita, sostituita da un insegnamento generale di “human sciences”, cioè di scienze umane (sociologia, psicologia, antropologia culturale, e così via), secondo me meno educativo. Apparentemente più informativo, apparentemente più attuale, più facile, ma in realtà meno profondo. I non ho particolari tecniche di insegnamento, secondo me la cosa migliore è una mescolanza di metodo storico e di metodo problematico, cioè io non sono d’accordo ad abolire l’insegnamento storico della filosofia, deve essere però integrato secondo me da un maggiore uso della discussione problematica su fattori religiosi, politici, scientifici, e così via, per cui diciamo che non ho particolari proposte.
Nella scuola italiana la filosofia e la storia si insegnano insieme, questo ovviamente comporta qualche difficoltà, perché è difficile che un professore ami tutte e due le materie, generalmente ama più una che l’altra, questo però [..] un professore di filosofia e storia nei licei può tranquillamente insegnare entrambe, perché un professore dovrebbe comunicare ai suoi studenti interesse, sia a quelli che hanno più interesse filosofico, sia quelli che hanno più interesse storico. Per cui direi che negli ultimi quindici anni c’è stata un po’ una dequalificazione della materia, perché la filosofia si presta poco, ad esempio, all’uso del computer, essendo una materia che per forza di cose è di carattere più dialogico, più interattivo. In questo caso il suo ideale non è tanto l’uomo di fronte ad un “set”, un computer, quanto piuttosto l’uomo in rapporto dialogico con altre 5-6 persone, però credo che continui tuttora ad avere la sua funzione.
P: Una definizione del filosofo Costanzo Preve, chi è e chi non è, per sfatare un po’ di luoghi comuni che circolano
C: luoghi comuni che io sia di destra, fascista e così via? Questo è assolutamente falso
P: Massì, di tutti i tipi, c’è chi dice che sei fascista, altri stalinista, altri trockista, ne abbiamo lette di ogni
L: Nessuno ha ancora detto che è liberale, però.
C: Non è strano. Credo che sia dovuto da un lato alla facilità che ha internet nel metodo che diciamo così di Indymedia, cioè chiunque può cliccare un insulto e sei completamente nelle mai di chi decide di insultarti, ovviamente. Io non sono collegato a Internet. Io cerco di interpretare questo pasticcio, ovviamente non sono non sono un trozkista, non sono uno stalinista, non sono un fascista, nel modo più assoluto. Ma non lo sono completamente, nemmeno in parte! Il mio profilo è assolutamente di facile conoscenza, e penso che questo pasticcio sia dovuto al fatto che io sono un pensatore effettivamente fuori dagli schemi, fuori dal coro, ed essendo fuori dal coro sono un pensatore che non si fa incasellare con facilità. E non essendo incasellabile con facilità, avvengono dei falsi incasellamenti, tipo trozkista, stalinista, fascista, e così via, così via. Sono degli incasellamenti assolutamente sciocchi e corrispondono a quelli che il filosofo Heidegger in “Essere e Tempo” chiama la “chiacchiera”, dicendo che il mondo contemporaneo è caratterizzato dalla chiacchiera, curiosità ed equivoco. Curiosità però parziale. “Chi è Preve?” “Ah, quel fascista”. Però non si vuole approfondire, perché si volesse si capirebbe che ovviamente non è così. L’equivoco è parte integrante della chiacchiera, e della curiosità. Sgombrato il campo da queste chiacchiere, non so come chiamarle, non mi arrabbio neppure perché una diffamazione talmente di basso livello… a fianco della diffamazione c’è anche chi mi stima, però eh, attenzione, perché non sono soltanto diffamato, naturalmente.
P: Certo, testimonianza che noi siamo qua
C: Certo, e non siete però i soli. Ecco, a parte questo fatto come mi posso autodefinire… cominciamo a dire che non toccherebbe mai ad una persona autodefinirsi ma dovrebbero essere gli altri, certo che uno dovrebbe essere definito bene, non trozkista, stalinista, comunista, fascista, è evidente, però sono gli altri che ti devono guardare, se tu ti guardi allo specchio non fai che vedere te stesso, con i tuoi difetti e le tue qualità però ti senti sempre bello perché sei sempre tu che ti guardi, oppure brutto se sei di cattivo umore, ecco, come posso autodefinirmi? Beh, posso definirmi uno che ha preso la filosofia sul serio, che la eletta a principale occupazione della sua vita, che ha ottenuto risultati abbastanza buoni nei suoi studi di filosofia (ho scritto una quarantina di libri e tradotti anche in molte lingue straniere) e perciò mi definirei come un filosofo che ha preso sul serio il suo compito, il suo approfondimento, le sue cose e che ha anche un profilo che si può cercare di definire.
P: Il miscuglio di psicoanalisi e filosofia, anche magari applicato alla storia, pensiamo ad esempio ad Eric Fromm, ha dato un contributo positivo oppure ha causato dei danni all’interpretazione storica e filosofica?
C: Posta in questa forma, alla domanda come un aut-aut non si può rispondere, direi che un uso, moderato, del metodo psicanalitico è utile, ma la psicanalisi ubriaca facilmente, cioè da questo punto di vista qua è paragonabile ad un liquore in una festa, che preso a piccole dosi contribuisce al clima di allegria e amicizia, preso a grandi dosi vomiti in bagno e fai una figura di merda davanti a tutti, no? Questo è la stessa cosa che secondo me avviene con la psicanalisi; il metodo di Freud è un metodo che, come posso capire io, si può applicare fondamentalmente all’individuo, infatti non è un caso che mette al centro l’Ego-Io, il SuperIo dell’ego e l’Es dell’ego. La sua estensione fuori del campo della psicoanalisi dell’individuo, cioè applicata alla società, tende a utilizzare, diciamo così, concetti analogici (ad esempio “società repressiva”, visto che effettivamente spesso l’ego viene represso in gioventù, e deve sublimare la sua repressione) questo viene esteso alla società, questo l’ha fatto Fromm in una forma abbastanza soft, (l’”Arte d’amare”, ecc.), per esempio Reich l’ha fatto in una forma molto più dura, per cui io direi che, sostanzialmente parlando, l’uso dell’estensione psicoanalitica ai fatti sociali non è negativo di per sé, ma deve essere usato con molta moderazione, perché a mio parere invece i fatti sociali sono fondamentalmente sociali, cioè spiegabili come rapporti economici e politici. Certo che c’è anche la psicologia, però fondamentalmente rapporti economici e politici. E’ chiaro che se uno ad esempio vede i nordcoreani che piangono di fronte alla morte del loro dittatore, è chiaro che si può interpretare psicoanaliticamente come una forma di autoritarismo, come una forma di introiezione di una specie di padre dispotico. E’ chiaro che si possono sempre trovare delle forme psicoanalitiche, però io ci andrei molto piano.
P: E Fromm che parla di Mussolini come mente malata perché aveva paura degli aghi e delle siringhe…
C: Questo è dovuto alla difficoltà enorme del pensiero liberale di interpretare la crisi degli anni ’20, ’30 e ’40 e dunque le due forme di dittatura fascista e staliniana. E questo ovviamente porta a fare la psicoanalisi del dittatore: Hiltler, Mussolini, Stalin, e poi ovviamente la puoi fare con Mao, con Pol-Pot, con Gheddafi, con Milosevic, … Tutto questo secondo me è poco utile. Si può essere antifascisti, e antinazisti (eccome se lo si può essere!) senza bisogno di demonizzare psicoanaliticamente il dittatore. Penso che sia una tendenza del pensiero liberale anglosassone che non riesce mai a vedere le sue proprie patologie puritane, messianiche tipiche della civiltà americana e le scarica sugli altri.
P: Passando alla filosofia dell’Ottocento, a proposito di quelle interpretazioni di Hegel e di Fichte come giustificatori della propria società, della propria nazione, quindi interpteti dell’autoritarismo e del militarismo tedesco…
C: Queste sono sciocchezze prive di ogni fondamento. Su questo c’è un bel libro di Herbert Marcuse, Ragione e Rivoluzione, tuttora disponibile, che ti consiglio caramente, è un libro uscito da Il Mulino, si chiama Herbert Marcuse, Ragione e Rivoluzione. Studio su Hegel che fa piazza pulita di tutte queste cose
P: L’ha consigliato pure il mio professore di filosofia.
C: Marcuse era un ebreo tedesco, perciò uno che dovette scappare dalla Germania nel 1933, e perciò era lui stesso un perseguitato. Legare Fichte e Hegel al militarismo tedesco è un’operazione di retroazione completamente indebita. E’ come scaricare su Gesù Cristo l’Inquisizione spagnola, le torture e il rogo di Giordano Bruno, è come colpevolizzare Gesù Cristo perché in nome di Gesù hanno bruciato vivo Giordano Bruno. Tu lo sai, no? Questa è una cosa assolutamente senza fondamenti e che fa parte anch’essa, secondo me, di una certa retorica liberale. In realtà Fichte era un patriota tedesco. Ma un patriota antinapoleonico, non aveva assolutamente nessun razzismo biologico .. Fichte ed Hegel sono assolutamente estranei al razzismo biologico di Hitler, all’antisemitismo, …
P: Era una difesa dell’identità culturale…
C: Nel caso di Fichte, completa. Nel caso di Hegel addirittura no, quando Hegel parla di stato etico, ne parla non come stato che impone di portare il burqa e i mutandoni alle donne, ma ne parla come stato il quale in quanto tale è titolare di una moralità diversa da quella della famiglia e della società civile, che sono invece dei gruppi limitati a gruppi di persone, come ad esempio i membri di una famiglia. Assolutamente no, è una cosa senza fondamento.
P: Quindi tutti questi che danno un’interpretazione di Fichte e di Hegel come pensatori praticamente organici a…
C: Tutto questo è senza fondamento per cui ci si può chiedere, visto che …
P: … che per lavorare dovevano scrivere certe cose
C: No sono follie, mi è difficile rispondere a delle follie del genere, capisci? Siamo al di fuori del terreno razionale. Secondo me bisogna parlare con tutti, la filosofia in quanto tale è un terreno che parla con tutti, Socrate parlava con tutti nell’agorà di Atene. Però non si può parlare con chi ha dei pregiudizi che non intende mettere in discussione. Se tu mi arrivi dicendo che i negri sono razzialmente inferiori, io non ho niente da dire perché o tu sei disposto a mettere in discussione questa posizione (che, in effetti, è priva di fondamento, non può resistere ad alcuna discussione) oppure se non sei disposto a mettere in discussione, buongiorno. Se io dico che c’è un complotto di ebrei per dominare il mondo, questo complotto come dicono i Protocolli dei Savi di Sion… E’ una cosa completamente infondata i Protocolli dei Savi di Sion sono un falso della polizia zarista, per cui o uno accetta di mettere in discussione certe cose oppure è impossibile un dialogo. Hegel diceva: “contra negantes principia non est disputandum” Infatti si può soltanto discutere con chi mette in discussione dei pregiudizi per poterli eventualmente sciogliere, se possono essere sciolti.
P: Un altra domanda. Un ragazzo chiedeva cosa ne pensi di Giorgio Bocca. Un intellettuale, un antitaliano, un provinciale, un semplice giornalista?
C: Giorgio Bocca è fondamentalmente un giornalista. Ha scritto un’autobiografia che si chiama “Il Provinciale”, perché lui è nato e cresciuto a Cuneo, e conosceva bene mio padre, mio padre conosceva perfettamente Giorgio Bocca, anche se Giorgio Bocca era del ’20, mio padre era del ’10, per cui era più vecchio di lui. Era un giornalista dotatissimo. Perché antitaliano? Tutti i grandi giornalisti, anche Montanelli, anche degli altri hanno sempre individuato i famosi difetti storici degli italiani, ammesso che esistano. In parte esistono, in parte no, io sono abbastanza contrario agli stereotipi, per me una persona è diversa dall’altra. Chi sono i polacchi? Alcune caratteristiche: sono cattolici, sono antirussi, .. però capisci, la Polonia non può essere ridotta allo stereotipo di Woityła santo subito, abbasso i russi, abbasso i tedeschi, no? I valzer di Chopin, e così via, è molto più compesso di così. La stessa cosa per quanto riguarda l’Italia. Però ho per Giorgio Bocca una moderata stima. Moderata perchè secondo me lui tutta la vita ha un po’ vissuto di questa mitologia della resistenza, che durò appena due anni, e lui l’ha protratta per circa sessanta-settanta anni, sino alla morte, come evento magico della giovinezza, anziché isolarla come momento preciso di una congiuntura storica precisa e lui, invece, tutta la vita l’ha enfatizato, insomma.
P: Una domanda sul pensiero debole. Come si può definire questa corrente filosofica?
C: Io non sono un suo sostenitore. Quello che viene chiamato in Italia “pensiero debole”, che fondamentalmente è il pensiero di Rovatti, di Vattimo rappresenta un indebolimento del vecchio storicismo marxista, che era l’ideologia ufficiale del vecchio PCI negli anni ’40, ’50, ’60 e ’70 ma non oltre, una forma di crocianesimo di sinistra, e in quanto crocianesimo di sinistra era un’apologia del detereminismo storico. Questa filosofia che secondo me è una cattiva filosofia, e non è quella di Marx, era una superfetazione, fatta sopra il pensiero di Marx,
P: Derivata più da Gramsci o da Togliatti?
C: Derivata più da Togliatti. Gramsci era un neoidealista, Gramsci non viene mai connotato come neoidealista per motivi di politicamente corretto. In realtà Gramsci,come Gentile e come Croce, era filosoficamente parlando un neoidealista. Il fatto che Croce fosse liberale, Gentile fosse fascista, e Gramsci fosse comunista, però tutti e tre avessero lo stesso tipo di imprinting filosofico, una interpretazione storica neoidealistica di Hegel, dimostra l’errore di politicizzare troppo la filosofia. E’ un errore quello di schiacciare il filosofo con un’etichetta storica: Heidegger, nazista; Gentile, fascista; Lucács, stalinista, … in questa maniera qui secondo me si perde lo specifico della filosofia. Sì, era più che altro una forma di ideologia togliattiana. Quando questa forma di ideologia venne meno, alla fine degli anni ’70, e la maggior parte degli intellettuali di sinistra volle emanciparsi da questa ideologia, chiamarono pensiero debole l’indebolimento della fede storicistica nella storia. Ecco perché si chiama pensiero debole, in questo senso qui abbracciarono un’interpretazione antiautoritaria di Nietzsche e un’interpretazione nichilistica di Heidegger. Il principale esponente di questa corrente è il torinese Gianni Vattimo. Io non ne sono un suo fautore.
P: Su Ernst Bloch, in particolare su “Ateismo nel cristianesimo”?
C: Ernst Bloch è un pensatore molto caro, come tu sai a Fusaro, no? Io personalmente non interpreto il marxismo come una forma di messianismo secolarizzato, per cui non mi appartiene quel tipo di pensiero. Ho letto ovviamente Ernst Bloch, conosco personalmente il suo traduttore in italiano, si chiama Francesco Copellotti, e sostanzialmente ho molta simpatia per lui, ho simpatia per i suoi studi sul giusnaturalismo, sul messianesimo, e così via, però personalmente non mi considero un messianico.
LV: Anche io ho un paio di domande anche per inframezzare un po’. Stiamo leggendo insieme, io, Piotr e mio fratello, “Lo Stato Commerciale Chiuso” di Fichte e siamo arrivati alla fine della parte filosofica, quindi dobbiamo ancora affrontare la parte storica e la parte politica. Leggendolo, ho tentato di attualizzare il pensiero riguardante la fondazione dell’individuo sulla base del bene disponibile per la totalità. C’è un modo reale, attuale, per far sì che uno stato di diritto sia fondato al contrario di come è fondato oggi, cioè, c’è la possibilità di far qualcosa di reale per far sì che le persone tornino a pensarsi all’interno di una totalità condivisa piuttosto che come individui alla ricerca di una possibilità di perfezione di loro stessi? ecco, forse è un po’ troppo architettonico…
C: Mi sembra, al contrario, molto molto chiaro. Perché c’è un’alternativa tra un comunitarismo solidale e invece un individualismo metodologico che diventa anomico, per cui l’individuo, come dice Vasco Rossi “pensa soltanto a sé stesso” oppure, come dice Battiato “non ha un centro di gravità permanente”. Quando Fichte scrisse “Lo stato commerciale chiuso”, la parola “chiuso” significa ovviamente “protezionistico”, cioè vuol dire che controlla il commercio estero, vuol dire che prima di permettere esportazioni devono prima essere soddisfatti tutti quanti i bisogni interni. Perciò si tratta di una forma di protezionismo filosofico, perché lo stato commerciale chiuso si contrappone, negli stessi anni in cui fu scritto, alla economia politica inglese di Hume e Smith che stava arrivando nel continente tramite Sae, un francese che diffondeva le teorie neoliberiste e individualistiche. Io penso che Fichte abbia fondamentalmente ragione, il problema non è tanto quella di riaggiornare dopo duecento anni la sua impostazione, siamo nella società multiculturale, immigrati, ecc. Certamente Fichte non era un razzista, Fichte non aveva la minima traccia di razzismo, la minima traccia, diciamo così, di leghismo razzista, nel modo più assoluto. Direi che lui avrebbe impostato la questione fondamentale, cioè il controllo della politica solidale e comunitaria sull’economia, in modo che l’economia non sia autonomizzi diventando una specie di divinità dispotica, come ora accade (es. con il governo Monti) Secondo me Fichte rimane tuttora un grande pensatore che nei suoi punti principali a mio parere ha ragione.
LV: E in relazione a questo non c’è una via d’uscita rispetto all’attualità del sistema?
C: Una via d’uscita non la possono fare i filosofi. In questo senso qua ha ragione Hegel quando dice che “la filosofia è come la civetta di Minerva che arriva al crepuscolo quando le cose sono già oramai avvenute”. Il filosofo vorrebbe, in un certo senso, avere lo stesso una funzione di intellettuale di avanguardia, una funzione profetica, una funzione di moralizzatore, però fallisce quasi sempre. Questo fallimento evidentemente è dovuto a profonde ragioni storico-sociali. Se non ci sono forze sociali storiche, vere, che si mettono in movimento (in questo momento non le vedo) io vorrei che ci fossero, io vedo il movimento degli indignati, la gioventù che si muove, però si tratta di cose minime in confronto alla situazione attuale in cui siamo, se si cura una polmonite con le tisane, in realtà tutti questi movimenti giovanili (es. Occupy Wall Street) non fanno che il solletico all’elefante
LV: Forse sono addirittura congiunturali, proprio
C: Sono certamente congiunturali ma non fanno neanche il solletico all’elefante. Perciò il vero problema è questo: con il fallimento di quello che io chiamo il Comunismo Storico Novecentesco, il quale è fallito circa vent’anni fa in Europa, e in Cina si è trasformato in una sorta di capitalismo confuciano gestito da un partito-imperatore, le classi subalterne (operaie, contadine, quello che rimane, e anche i piccoli ceti medi) sono rimaste senza espressione politica. Perché non la considero che lo sia quella che viene chiamata “sinistra” in Europa: Bersani, Hollande, oppure Zapatero, … questi hanno semplicemente gestito il neoliberalismo in modo subalterno. Per cui in questo momento siamo in una situazione storica di sostanziale impotenza storico-sociale. La gioventù non ama avere questo lavoro flessibile-precario, assolutamente, si lamenta, però non riesce a trovare delle forme di azione collettiva che in qualche maniera riescano a cambiare le cose. In questo momento il neoliberalismo sta affermandosi nella sua forma più prepotente, più volgare, più totale. A questo punto è molto facile, in casi come questi, cadere in forme di pessimismo storico. La differenza tra gli esseri umani e l’umanità è che gli esseri umani muoiono, ad un certo punto, arrivati a sessanta, settanta, ottanta, novant’anni muoiono, ma l’umanità continua.
Parte 2
LV: Io avrei ancora una domanda che forse è un po’ fuori luogo
C: No, qui si fanno domande libere, per fortuna siamo totalmente liberi
LV: Sono un appassionato di cinema. Ho letto una volta un suo commento ad una “parabola” di Lars Von Trier. Siccome a me Trier piace moltissimo, e ho visto tutto, più e più volte, volevo avere una opinione sulla produzione in genere di Trier,
C: Le ultime cose però non le ho viste
LV: Dove si è fermato?
C: Non me lo ricordo più, mi fai una domanda che… mi trovi impreparato
LV: No, avevo visto questo commento a questa opera, onestamente non mi ricordo quale fosse, pensavo che avesse anche lei
C: Probabilmente io ho fatto un commento ad una sua lunga intervista
LV: Sì, sì, era un commento ad una sua intervista
C: E siccome era un commento ad una lunga intervista io ho commentato un intervista.
LV: OK, niente.
C: Io da giovane avevo la passione dei film, da molto tempo, specialmente per problemi di salute, esco molto poco, perché non cammino praticamente più, e allora non vado più al cinema. Cioè, vedo un po’ le cose per televisione.
LV: Sì, diciamo che non passano un granché per televisione
C: Se sei abbonato [..] ancora ancora
P: Trier, anche in merito alle ultime dichiarazioni… a quello che fanno passare
C: Ma lì, lo sai, lo stesso motivo per cui dicono che io sono fascista, non ha alcun senso, capisci? Lui è politicamente scorretto, e quando sei politicamente scorretto ti accusano subito.
Parte 3
P: Una domanda di mio cugino. Perché ci si rivolge alle rivoluzioni attuali (pensando ad esempio al movimento degli indignati) guardando sempre alle dinamiche storiche del passato? Perché quando uno parla di indignati tende sempre a metterli sullo stesso piano dell’immagine di personaggi rivoluzionari (come Martin Luther King, o di altri) e non ci si limita a considerarli come sono, quindi dei meri, dei semplici indignati?
C: Questa domanda è nicciana. Nietzsche era convinto che troppa storia facesse male, perché troppa storia ti legava al passato, alle analogie storiche col passato. E’ praticamente inevitabile che l’uomo, per capire il presente, faccia analogie col passato (Rivoluzione Francese, Rivoluzione Russa, il cristianesimo, …) cioè faccia delle analogie con delle cose del passato. Per cui, quando ci sono gli indignati, uno pensa di capire se questi indignati possano essere associati analogicamente ad avvenimenti del passato. Tuo cugino ha ragione nel dire che uno dovrebbe limitare questo al minimo, e cercare di capire in ogni movimento storico la novità. La novità però di questi indignati è che non hanno un programma politico. Ce l’hanno con i banchieri, ce l’hanno con la disoccupazione, ce l’hanno con l’ingiustizia, però hanno un’impotenza politica totale. Pensiamo in Spagna. Sono indignati contro la disoccupazione, contro le ingiustizie e la diseguaglianza e ha vinto un programma di destra, un signore chiamato Rajoy che è l’esatto contrario di quello che chiedevano. A un certo punto la risposta è questa: l’uomo non può fare a meno di ricorrere a quello strumento imperfetto e largamente ingannatore che è l’analogia storica. Per la Rivoluzione Russa si pensa a quella francese per il fatto dei proletari. Ecco, bisognerebbe riuscire, in un certo senso, ad usare la storia con parsimonia, cioè usare la storia come un pizzico di sale ma non alla Fantozzi, riempiendo di sale tutto quanto il piatto.
P: E’ un errore che può derivare da Machiavelli?
C: No, no. Machiavelli aveva un sobrio uso dell’analogia storica. Lui cercava di pensare alle contraddizioni della Firenze del suo tempo utilizzando gli antichi romani, e secondo me in questo non c’era nulla di male. Per poter vedere le cose ho bisogno di uno sguardo da lontano. Io non posso leggere un foglio attaccandomelo in faccia, devo vederlo ad una certa distanza, naturalmente. Stessa cosa per il presente storico. Machiavelli viveva le contraddizioni della Firenze dei Medici del suo tempo (repubblicani, savonaroliani, monarchici, Francia e Spagna) e cercava di capirci qualcosa attraverso l’analogia storica. Come faceva per esempio Robespierre con Plutarco. Questo fatto è largamente inevitabile. Infatti non è un caso che molte persone oggi pensino sempre a Mussolini, Hitler e Stalin per capire quello che sta avvenendo adesso, sbagliando, perché l’analogia storica deve essere usata anche lì con molta limitazione, in sostanza.
P: Ecco, sul futuro. E’ possibile prevedere qualcosa?
C: Secondo me non è possibile prevedere il futuro, secondo me l’errore principale del marxismo storico era quello di pretendere di dedurre il futuro comunista nelle contraddizioni del capitalismo. Secondo me questo era sbagliato, anche contro questo il famoso “pensiero debole” si è opposto,in questo caso aveva ragione. Per cui direi che il futuro non è oggetto di previsione scientifica, il futuro non può essere previsto come una cometa.
P: Ma imparare dagli errori del passato, per evitare errori futuri?
C: Questo sì, gli errori del passato possono servire, come sono sempre serviti anche al tempo degli antichi greci, riflettere sugli errori del passato per non commetterli più, in questo senso qui sì, la riflessione sugli errori del passato può essere utile, però non è una previsione del futuro, è semplicemente un modo per essere più saggi nel presente, non so se è chiaro.
LV: Io avrei un’altra domanda, non so se posso.
P, C: Certo, certo.
LV: Abbiamo detto che questi indignati, il movimento di Wall Street, e tutti gli altri movimenti che sono unificabili a mio parere nella categoria di “somma di individui che si collettivizzano in un’idea che non ha un nome” e per opposizione si autogarantiscono un’identità, fanno il processo opposto di quello che dovrebbe essere l’azione politica collettiva, cioè, trovare un’identità comune in un dato territorio (se questa fosse possibile) per produrre un’azione collettiva. L’azione collettiva passa sempre attraverso il suo opposto, in questo momento, passa sempre attraverso l’unità collettiva solo ed esclusivamente in opposizione ad un concetto. Qual è, oggi, la possibilità dell’identità collettiva, se c’è, al fine dell’azione politica.
C: Una identità collettiva si costituisce sostanzialmente attraverso due punti: opposizione a qualcosa e progetto di sostituzione di qualcosa. Se c’è soltanto un avversario, ma manca un progetto alternativo, non basta. Se c’è solamente un progetto alternativo, ma non si individua l’avversario, non basta lo stesso. Ora, qualunque movimento collettivo dovrebbe individuare l’avversario e individuare un progetto. L’avversario in questo momento è il capitalismo globalizzato a livello mondiale, che è talmente evanescente, gigantesco, avvolgente, enorme, da non essere più un avversario. Ai tempi in cui lo stato nazionale aveva ancora una sovranità monetaria, la sinistra e la destra si contrapponevano perché avevano delle richieste alternative da fare allo stato, da fare al potere politico, al potere pubblico, che esso però non ha soldi da dare a nessuno, si chiude la Fincantieri perché semplicemente in Corea si fabbricano navi a più buon prezzo. A questo punto il sindacato (CGIL-CISL-UIL, gli operai, con i loro tamburi, i loro fischietti, le loro bandiere) a chi chiedono qualcosa? Se vanno dal ministro, dirà “tanto non ho soldi, non posso farci niente” perché c’è il mercato mondiale che lo impedisce. A questo punto finché non si è individuato il modo che secondo me non può che essere un ritorno nelle forme di un protezionismo di tipo fichtiano, perché non vedo veramente ‘alternativa. A differenza di Hegel, io non vedo un’alternativa in una globalizzazione alternativa. Personalmente. Non ho assolutamente in tasca la ricetta, però tutti questi movimenti sono destinati a rifluire su sé stessi, a ripiegare e a ricadere su sé stessi se non riusciranno a risolvere il problema della permanenza, di chi sono, che cosa vogliono e contro chi vogliono.
LV: Ma il progetto, cioè opposizione e progetto, il progetto può partire dalla semplice opposizione, cioè non ci deve essere un dato irriducibile a priori di questo?
C: Il progetto, non può partire soltanto dall’opposizione. Il progetto si concretizza attraverso un’opposizione ma, facciamo un esempio, ancora un esempio storico analogico. La presa della Bastiglia. Allora, era dovuta al fatto che il terzo stato aveva un avversario, che era il sistema della nobiltà e del clero. E’ questo è molto chiaro. Però se oltre a questo avversario non ci fosse stato anche un progetto(in questo caso era la società borghese illuministica), essi non avrebbero potuto vincere. Per cui certamente questo caso essi combattevano contro un avversario ben preciso, che era il sistema feudale-signorile degli stati, però con un progetto che era già potenzialmente alternativo, cioè quella che oggi chiamiamo la società borghese moderna, quella del codice napoleonico. Quello che manca oggi è il fatto che non si sappia bene contro chi, se contro le banche, contro Equitalia, contro la disoccupazione, contro la mancanza di lavoro, contro il lavoro flessibile e precario, però non si sa bene a chi chiedere queste cose, perché il potere politico di fronte a queste cose, nessuna differenza tra Bersani, Vendola (queste sono differenze minime, soltanto gli sciocchi ci credono che ci siano differenze tra Berlusconi, Bersani, … ), non è assolutamente in grado comunque di rispondere. Mi spiace doverlo dire, ma non so come risponderti. Sapessi risponderti sarei uno dei più grandi statisti del XX secolo.
interessante ed illuminante…
ok avversario e progetto.
bell’intervista.
a presto.
Mi sarebbe piaciuto capire di più circa il ritorno (auspicato) ad un “protezionismo di tipo fichtiano”.
…. Se ogni meccanismo (banche, equitalia… etc.) è soverchiante nei confronti non solo dell’identità individuale ma anche della possibilità di un’identità collettiva … ho l’impressione di un pozzo senza fondo (assenza di fondamento) che consegna alla ferocia dell’esistente ogni vita più o meno fortunata. Questa è la condizione. E’ dunque più facile aspettarsi nell’immediato futuro delle società barbarizzate. Diversamente, la Negazione non può che essere distruttiva ma la forza della “massa” in movimento verso il fuoco (memoria Canetti) pùò essere arrestata dalla Tecnica e il fuoco disperso.
grazie al professor Costanzo Preve per la sua disponibilità e accoglienza.
Molto molto interessante. Riesce a dare un senso a tanti interrogativi….voglio credere ancora -nonostante tutto- nelle potenzialità di cambiamento che abitato in ognuno di noi.
Come di consueto,ho trovato l’intervista una sintesi molto lucida delle postazioni di pensiero attuali, dei movimenti reali ( laddove esistenti), ma soprattutto ho apprezzato il legame particolarmente diretto, che sorge dalle cose si può dire, oggettuale, con i classici citati. E’ anche a questo che sfuggono molte delle analisi contemporanee che si pongano di fronte all’attuale con volontà di schematizzazione: un’elasticità di riferimenti che può, almeno per
ipotesi di lavoro, fare a meno della prospettiva psicosociale. Forse spiegare il sociale con se stesso è un’utopia – la migliore approssimazione mi sembra infatti darne conto attraverso le dimensioni economiche e politiche, è Marx, d’accordo. Ma non è un Marx cieco, che non veda che gli oggetti intorno a sè sono cambiati, che una situazione può richiedere la circolazione fichtiana, che questo non è agire contro un codice che avrebbe solo un senso fossilizzante. Al quale poi verrebbe sovrapposto, giustapposto un impero del Wunsche, del desiderio, appena mascherato di una patina razionalizzante che è la Psicologia sociale. Sotto il processo stava, forse in origine, la serie di spunti marcusiani: una scusa per ripartire dal desiderio, per scavalvare ed accerchiare
un ordine che non ha più senso. Ma questa prospettiva ( alla quale personalemnte fui molto affezionata)
offre sè come strumento ad una visione deteriore del capitalismo di nuova generazione, sparendovi nella sua
grande forza utopica, di trasformazione, che ha anche incarnato in passato.
Costanzo Preve è un pensatore lucido, sempre libero e distante dalle farse politico-mediatiche in cui galleggia gran parte dei rappresentanti della cosiddetta “cultura attuale”. Il suo pensiero andrebbe diffuso molto di più presso i giovani che hanno bisogno di riferimenti positivi per orientarsi verso il futuro.