Cultura politica. Quattro temi fondamentali di discussione.

dic 25th, 2011 | Di | Categoria: Politica interna

di Costanzo Preve

Discutere di temi strategici di cultura politica è diventato difficile in Italia. Le ragioni sono molte, e sopra ogni altra ci sta la corruzione parallela-convergente (del resto, fu Aldo Moro a parlare di “convergenze parallele”) sia del bestione metamorfico PCI-PDS-DS-PD sia del suo contraltare antitetico-polare, l’operaismo ribellistico diventato anarchismo altermondialistico di moda (si veda Le gauchisme, garant de la transition imperiorum oligarchique, in La Pensè libre, juin 2011). Questa doppia corruzione, che concerne l’intera Europa occidentale, nel nostro paese ha assunto forme abnormi, grazie all’antiberlusconismo dell’ultimo ventennio.

Queste brevi note si pongono nell’intenzione di superare questo stato di cose presenti. Nello stesso tempo sono consapevole che lo stato di corruzione è tale da richiedere un movimento di idee non solo ideologico-politico, ma culturale-filosofico, dell’ordine di grandezza di cose enormi tipo l’illuminismo, l’idealismo tedesco, eccetera. Ne siamo lontani, chi scrive ne è pienamente consapevole. Per ora, mi limito ad “allineare” quattro temi di riflessione. Nell’ordine:

(1) WOW (uau). L’esclamazione trionfale della strega dell’impero.

(2) L’alternativa di sistema. Il fantasma da esorcizzare per la generazione intellettuale più corrotta della storia umana.

(3) La deglobalizzazione contro l’altermondialismo. Il fallimento del liberalismo nelle sue versioni di destra e di sinistra.

(4) La vergogna incancellabile di aver votato per i crediti di guerra di un’occupazione imperialistica.

1. WOW (uau). L’esclamazione trionfale della strega dell’impero.

In un suo diario fotografico Bertold Brecht notò che Hitler, dopo l’occupazione militare di Parigi nel 1940, accennò a passi di danza dalla gioia. E questo mi ha irresistibilmente ricordato una smorfia della strega Hillary Clinton appena informata del linciaggio di Gheddafi. La strega risponde con un WOW (uau), esclamazione di gioia esportata dagli americani in tutto il mondo.

Questo WOW può essere segnalato agli storici futuri, che si spera saranno più onesti della casta universitaria dei contemporaneisti nostrani (esperti in connotazione del Novecento come secolo maledetto delle ideologie assassine), come epitaffio di questo 2011.

L’aggressione alla Libia, oggi (novembre 2011) accompagnata dalle minacce contro la benemerita Siria di Assad ed il benemerito Iran di Ahmadinejad (che Allah e la garanzia di Russia e Cina possa salvaguardarli quanto più è possibile), connota sinistramente questo 2011. Certo, ci sono stati anche i due fatti storici importanti delle cosiddette “primavere arabe” (in realtà la fine del ciclo dei regimi nazionalistici panarabi, già ampiamente degenerati nell’ultimo ventennio) e del “commissariamento” integrale della sovranità economico-politica degli Stati dell’Europa meridionale (commissariamento diretto di giunte di economisti in Italia ed in Grecia, commissariamento indiretto di governi d’emergenza di centro-destra in Portogallo ed in Spagna). Ma oserei dire che questo WOW della strega Clinton è molto più importante dei due fatti precedenti.

L’impero Usa è uno dei pochi paesi del mondo a detenere l’intera sovranità politica nelle sue scelte, insieme alla Cina ed a Israele. Ciò che avviene altrove è derivato, in quanto si tratta di Stati sotto occupazione militare. Non ci può essere democrazia ad Atene con una guarnigione spartana sull’Acropoli. Le “speranze” su Obama, il presidente “abbronzato”, intrattenute da parte del circolo manipolatorio di centro-sinistra mediatico mondiale, si sono rivelate del tutto infondate (vedi su questo le analisi di James Petras). Ancora prima di cominciare, Obama aveva delegato la politica estera imperiale alla strega sionista Clinton, che sulla Palestina occupata manifestò presto posizioni alla “destra” di Bush, e che iniziò una linea geopolitica aggressiva, dalla Cina (appoggio al Dalai Lama, riarmo nel Pacifico), al Medio oriente (aggressione alla Libia, minaccie alla Siria e all’Iran), all’Africa (politiche di progressivo contenimento della Cina e di sostituzione tendenziale all’Inghilterra ed alla Francia), eccetera.

Ipnotizzati dall’antiberlusconismo estetico-pecoreccio, gli osservatori italiani di “sinistra” non se ne sono neppure accorti. E del resto, come potevano accorgersene? Se la bussola interpretativa del mondo è la dicotomia Destra/ Sinistra, e se Bush era di destra, la Clinton sarà stata di sinistra, o almeno di centro-sinistra (o comunque all’interno dell’”ulivo mondiale”, per riprendere l’espressione del grande statista padano Romano Prodi)!

Nel frattempo, la corruzione culturale era passato in tutti i campi della società. La corrente principale del pensiero politico-filosofico del clero capitalistico (il clero secolare mediatico-televisivo e del clero secolare accademico-universitario) era diventata la sede di una singolare contraddizione logica: da un lato, si era fatta rumorosa interprete della nuova religione dei  “diritti umani”, da sostituire al vecchio diritto internazionale fra Stati; dall’altro, negava filosoficamente la normatività della natura umana di origine aristotelica (e poi hegeliana, in forma storica, ma mai storicistica), in favore di un relativismo post-moderno dei valori a base ontologica nichilistica. Si tratta di una contraddizione interessante, che sarebbe saltata agli occhi di qualunque filosofo sensibile ed intelligente, se gli apparati ideologici delle facoltà di filosofia ne avessero ancora fatto “filtrare” qualcuno.

In realtà, il pensiero dialettico sarebbe stato di aiuto. Da un lato, l’ideologia interventistica dei diritti umani, lungi dall’avere ancora un rapporto con il vecchio diritto naturale (Grozio, Pufendorf, lo stesso Kant), non era che l’estensione geopolitica di legittimazione del dominio imperiale Usa e della sua introiezione da parte del ceto intellettuale europeo dominato (non si devono dimenticare le tesi di Bourdieu sugli intellettuali come gruppo dominato della classe dominante e di Blotanski-Chiapello sulla fine dell’alleanza fra critica sociale al capitalismo e critica estetico-culturale al conservatorismo borghese). Dall’altro, lo sfondamento relativistico e nichilistico di ogni ontologia del limite era complementare all’estensione della illimitatezza del dominio capitalistico della mercificazione universale di tutti rapporti umani (privatizzazioni anche dei settori della sanità e dell’educazione, un tempo riservati ai poteri pubblici dello Stato nazionale).

Ma il pensiero dialettico oggi è nascosto in anfratti non ancora “ripuliti” dalla normalizzazione ideologica neoliberale. L’osceno WOW della strega Clinton, a mio avviso, connota plasticamente quest’annata, là dove episodi  quali lo spodestamento elettorale di Zapatero in Spagna o il commissariamento economico-giudiziario di Berlusconi in Italia sono solo increspature della superficie della storia mondiale.

2. L’alternativa di sistema. Il fantasma da esorcizzare per la generazione intellettuale più corrotta dalla storia umana.

In Italia, il giornale “La Repubblica” è in genere noto per essere stato in questo ventennio la “nave ammiraglia” dell’antiberlusconismo, e per aver ridotto i foglietti di “sinistra” (Unità, Manifesto, Liberazione, eccetera) a semplici comprimari subordinati del coro dell’antiberlusconismo estetico-pecoreccio (che figura ci facciamo all’estero, eccetera). Questo è l’aspetto più noto, ma devo dire che per me è sempre stato anche il meno interessante. Doversi occupare del contenzioso personale finanziario della coppia Scalfari-De Benedetti contro il grande puttaniere di Arcore è proprio un affare di chi ha tempo da perdere.

Immensamente più interessante, almeno per me, è studiare i processi trasformisti dei gruppi intellettuali padroni delle “chiavi” di accesso ai media di massa. La “Repubblica” è stata la sede principale (non l’unica, certamente) del riciclaggio culturale del vecchio ceto pseudo-crociano dell’orribile e subalterno ceto intellettuale “organico” al PCI nel nuovo ceto di fiancheggiamento e di legittimazione dell’azione dell’impero Usa, della Nato, e della distruzione “europea” della sovranità degli Stati nazionali, ancora presente, al di là della corruzione, ai tempi di Fanfani, Andreotti e Craxi.

La “Repubblica” è piena di ex-comunisti “disincantati”, che in gioventù hanno creduto alle fole storicistico-progressistiche (scambiate per il pensiero originale di Marx, a loro rimasto sempre più ignoto dello stesso alfabeto Maya) e che poi, fra il 1956 ed il 1989, si sono riciclati in disincantati weberiani. Si tratta di una specifica feccia intellettuale, una delle più orribili mai esistite nella storia umana vista con ottica comparativa. Shakespeare scrisse che “i gigli marciti puzzano più delle erbacce” (veramente, non ricordo bene se fu lui o un altro poeta elisabettiano, ma il lettore anglista spero sia indulgente), ed io personalmente, all’età di 68 anni e con una certa conoscenza del mondo, non mai conosciuto feccia più disprezzabile dell’ex-comunista riciclato in sostenitore della globalizzazione capitalistica. Si tratta di una figura già ben descritta da Nietzsche nell’Ultimo Uomo. Costui sa che Dio è morto, e da questo deduce che tutto è possibile. Il vecchio ateismo positivistico, prima praticato come immagine scientifica e non antropomorfica del mondo (alla Geymonat, per capirci) viene riciclato in completo relativismo ed integrale nichilismo ontologico. Ma qui andiamo purtroppo sul difficile, e devo a malincuore tornare a cose più “semplici”.

Il giornalista di “Repubblica” Mario Pirani fa parte di questa fauna spaventosa. Si legga una sua nota in “Repubblica”, 21-11-2011. Pirani è preoccupato dalle parole d’ordine dei cosiddetti “indignati” e trova anche espressioni pittoresche: “Torna al proscenio la mala pianta di un’idea generale che spieghi passato, il presente ed il futuro dell’umanità, fornendo altresì la ricetta salvifica per il prossimo avvenire che ad esso si contrapponga”. Si tratta di un “sogno drogato da coltivare”. Si tratta del “populismo degli utopisti che predicano la Città del Sole” (e qui Pirani cita il suo signore e padrone Scalfari). E poi: “ciò che fino a ieri veniva chiamato “libera economia di mercato” ora ricomincia ad essere chiamato “capitalismo” e viene portato sul banco degli accusati”. Ma veniamo al dunque: “ma il segno più clamoroso dello smarrimento della realtà, che caratterizza tutti questi movimenti di protesta, pur fruitori di tante simpatie, è la loro rivendicazione di un’alternativa di sistema come se da essa non fossimo usciti poco più di venti anni fa or sono. È stato il più grande esperimento sociale e politico che l’uomo abbia tentato in tutta la sua storia. Si chiamava comunismo o socialismo reale, dominava da Cuba a Valdivostok, durò più di 70 anni, fallì dovunque con eguali caratteristiche: dittatura poliziesca e depressione economica. È inutile che i contestatori lo rimuovano. La sua memoria è incancellabile”.

Credo che l’intero articolo di Pirani dovrebbe essere messo in rete ed evidenziato da tutti coloro che credono ancora nell’esame ideologico della storia delle concezioni del mondo (o delle immagini del mondo, per dirla alla Heidegger). Pirani rivela, in forma giornalisticamente sintetica, la base strategica dell’ideologia delle oligarchie che dominano il pianeta e, con il sistema del ricatto del debito, influenzano anche le nostre vite. Ma cerchiamo di vedere meglio.

C’è, prima di tutto, un fatto generazionale. L’orribile generazione intellettuale degli Scalfari e dei Pirani ha in effetti preso atto di un fatto difficilmente rimovibile, il fallimento globale dell’esperimento del comunismo storico realmente esistito (nulla a che fare con il modello utopico-scientifico di Marx, in cui l’ossimoro è del tutto volontario), e ne ha dedotto che da oggi, per sempre ed in saecula saeculorum, nessuna alternativa di sistema sarà mai possibile. È il vero e proprio “paradosso di Popper”: il capitalismo, unico argine della società aperta contro i suoi nemici (nell’ordine Platone, Hegel e Marx- e quest’immondizia è stata presa sul serio!), per poterlo essere deve però “chiudersi”, e rendere impossibile ed impensabile ogni modello di alternativo di società.

Ma l’aspetto generazionale di costoro è in fondo il meno importante, in quanto tutti costoro in genere viaggiano oltre gli ottanta anni, e si porteranno dietro le loro ossessioni di ex-comunisti riciclati in post-comunisti disincantati. Si tratta di una forma di “weberismo mortuario” di scarsa protezione futurologica. Dal momento che io personalmente, e la mia fallimentare generazione, abbiamo smesso di credere nella possibilità di un’alternativa di sistema, allora tutti i nostri discendenti, fino al lontano spegnimento del sistema solare, dovranno tenersi il capitalismo come fine della storia.

Conta invece maggiormente l’aspetto di sociologia degli intellettuali (ripeto, il clero secolare dei giornalisti e del clero regolare dei professori universitari di economia e scienze sociali). Quanti sono i “cloni” di Scalfari-Pirani oggi insediati negli apparati mediatici ed universitari? Tutti capiscono che qui, e solo qui, sta il problema. Gli Scalfari ed i Pirani passano, ma i loro “cloni” si riproducono.

Non ho la sfera di cristallo, quindi non posso saperlo. Il movimento degli “indignati”, infatti, pur essendo già molto migliore di quelle simulazioni precedenti dei movimenti pacifisti ed altermondialisti, è ancora mio avviso di fatto filosoficamente quasi analfabeta. Vorrebbe un’alternativa di sistema, ma dal momento che non ha metabolizzato teoricamente le cause profonde del fallimento del comunismo storico novecentesco oscilla fra la rimozione e la sua demonizzazione rituale cui spinge inesorabilmente il Politicamente Corretto. Questo è quindi il problema, che è rovesciato rispetto a come lo pone Pirani. Ci vuole un salto di qualità nella rivendicazione di un’alternativa di sistema. I precedenti figuranti del pacifismo ostensivo e belante non potevano porlo, perché invocavano la pace unita ai diritti umani, equivalente all’evocazione di un’autopompa che cosparge di benzina gli incendi. I precedenti confusionari del movimento altermondialista non potevano porlo, perché non volevano una decisa deglobalizzazione, ma una globalizzazione alternativa, equivalente a disintossicare un drogato con sniffate “alternative” di cocaina. Qui, almeno, si è cominciato a individuare nelle oligarchie finanziarie un nemico. È già qualcosa. Ma chi lo fa si porta generalmente dietro la zavorra del pensiero progressista modernizzatore di “sinistra”.

Bisogna quindi rovesciare Pirani. Bisogna non solo chiedere un’alternativa di sistema, ma costruire finalmente la cultura filosofica, politica, economica, giuridica ed estetica che la possa concretizzare. E finalmente capire che il nemico principale non è, e non è mai stato, il maniaco sessuale Berlusconi e le sue squinzie, ma è sempre stata la cultura alla Scalfari e Pirani. So benissimo che ne siamo ancora molto lontani. Per ora siamo a livello di gettare un sasso nello stagno. Ma è quello che sto facendo.

3. La deglobalizzazione contro l’altermondialismo. Il fallimento del liberalismo nelle sue versioni di destra e di sinistra.

Il lettore medio, sicuramente pio e politicamente corretto (i politicamente scorretti in genere oggi leggono solo la pagina sportiva), avrà trovato eccessivo il mio giudizio negativo sul movimento pacifista, movimento ossessivo e manipolato di belanti pecoroni. Eppure non posso modificare il mio giudizio sulla base della cosiddetta “buona fede”, in generale alibi di recidivi imbecilli. Costoro sono in genere per la pace (1), per i diritti umani (2) e contro i dittatori violatori dei diritti umani (3), con il risultato aritmetico per cui 1+2+3=0.

Una piccola parentesi. Fra i miei amici del bar c’è un pensionato-PD, peraltro degnissima persona, oggi entusiasta di Monti (finalmente una persona seria!), la cui priorità politica è sempre stata quella dell’arresto in flagrante di Berlusconi in camera da letto con una minorenne e la sua consegna immediata ad una corte composta dalla Boccassini, Travaglio, Santoro e Bersani. Politica estera: zero interesse, zero tituli, come direbbe Mourinho. Una volta che mi ha sorpreso con la guardia “scoperta”, e cioè che trovavo ignobile l’aggressione Nato a Gheddafi fortemente voluta dal suo idolo costituzionale Napolitano, si è stupito, e mi ha detto: “Ma come, tu sei pacifista, dovresti essere contro i dittatori”. Chi conosce il concetto gramsciano di egemonia, noterà a che punto è arrivata l’egemonia neoliberale, che se arriva dagli intellettuali fino ai pensionati nel bar ha veramente vinto.

Personalmente, non sono affatto pacifista, ma sarei un accanito “guerrista”, ed avrei auspicato che Gheddafi, Assad, Ahmadinejad, eccetera, avessero la forza militare per inseguire il criminale Sarkozy e la strega Clinton fino ai gabinetti dell’Eliseo e della Casa Bianca. Ma purtroppo questo è impossibile.

A proposito degli altermondialisti, siamo di fronte alla stessa buffonata ideologica. Costoro sono contro gli effetti della globalizzazione, e nello stesso tempo sono contro la sovranità economica dello Stato nazionale, vista come anticamera del populismo, del nazionalismo e del fascismo. Ora, non bisogna essere un raffinato economista per capire che se si è contro la globalizzazione, non si può essere anche contro il comunitarismo, lo Stato nazionale, le aree geopolitiche di controllo politico e persino forme di protezionismo economico, se necessario. Qui la stupidità giunge a livelli tali da far sospettare effettivamente il tradimento.

Chi ha capito come stanno le cose non chiede l’altermondialismo o la retorica no-global (non importa se nella forma petizionistico-pecoresca dei riti deambulatori o nella forma della bruciatura di cassonetti), ma chiede la de-globalizzazione, ovviamente politicamente controllata. Non ha nessuna importanza se questo proviene da “sinistra” (cfr.  F. Lordon, Le Monde Diplomatique, juin 2011), oppure se proviene da una lunga e lontana esperienza di “nuova destra” (cfr. Alain de Benoist, Au bord du gouffre, Krisi 2011). Importante non è da dove si viene, ma dove si va. Quando il saggio mostra la luna con il dito, solo lo stolto guarda il dito.

Questo è impossibile per la cultura del “sinistro medio”. Provenendo da una lontana adesione al fondamentalismo illuministico del mito del progresso, dagli stolti confuso con il socialismo e il comunismo, lo stolto ha interamente metabolizzato il concetto di progresso nel concetto di “modernizzazione”, per cui aderisce alla sovra-struttura liberale-libertaria del moderno capitalismo post-borghese e post-proletario, senza capire che essa è soltanto la sovrastruttura di una struttura sottostante, quella dell’accumulazione illimitata del capitale e della generalizzazione illimitata della forma di merce. Il mondialismo ha quindi due maschere, che porta l’una durante il giorno nel business, e l’altra la sera nel ballo in maschera: l’una ha il viso di Soros, Draghi, Monti, eccetera, e l’altra ha il viso di Negri, Hardt, Zizek, Badiou, eccetera.

Come si vede, la situazione è ancora peggiore di quella che molti pensano, in quanto l’opposizione ufficiale al sistema (pacifismo ed altermondialismo) è in pieno gioco delle parti con le oligarchie dominanti. Si può però sperare (a mio avviso, non a breve termine) in una modificazione della situazione. Piccolissime tracce lo fanno sperare. Mi ha colpito molto il fatto che in una delle trasmissioni-manipolazioni di Gad Lerner una studentessa non si è fatta manipolare da Lerner, il quale sosteneva che chi contesta Monti fa la stessa cosa dei berlusconiani, riconducendola così al gioco delle parti B- Anti B, ma ha proseguito il suo ragionamento contro la strategia neoliberale. Una rondine farà primavera? Forse. Mi ha colpito il fatto che mentre il concerto OA in SPE (operaisti-azionisti in servizio permanente effettivo), tipo la triade subalpina Revelli-De Luna-D’Orsi ha alzato i prevedibili urli tribali di gioia per la caduta di Berlusconi, esponente delle tare storiche del popolo italiano, la gioventù è stata in gran parte estranea al tripudio tribale delle dimissioni di Berlusconi. È certamente un inizio promettente. Ma non si creda che una cultura anti-liberale e anti-liberista della de-globalizzazione possa passare in presenza delle cornacchie della dicotomia Destra/ Sinistra e della Minaccia del Populismo.

La strada è purtroppo ancora molto lunga.

4. La vergogna incancellabile di aver votato i crediti di guerra di un’occupazione imperialistica.

Ho già fatto notare in precedenza che il parossismo anti-berlusconiano ha fatto dimenticare nell’ultimo ventennio la crucialità della politica estera. L’Italia è dal 1945 un paese occupato da basi nucleari straniere, e questo fatto, che è il novanta per cento del problema, diventa il due per cento nella percezione comune della “sinistra” politicamente corretto. Ne farò ora semplice esempio.

È stata recentemente pubblicata la seconda edizione riveduta e corretta del notevole studio di Cristina Corradi (cfr. Storia dei marxismi in Italia, Manifestolibri, Roma 2011). C’è un’interessante prefazione dell’italianista anglosassone Peter Thomas, assente nella prima edizione, e meritevole essa sola di una segnalazione. Thomas fa notare (p. 7) che “coloro che si definivano rifondatori delle tradizioni di un secolo di sinistra marxista italiana avevano contribuito in misura non piccola al loro ostracismo. I voti a favore di un’occupazione imperialistica da parte di un partito che si autodichiarava per la non-violenza hanno funzionato come le incisioni dei nomi sui cocci delle terracotte antiche”.

Thomas fa riferimento allo scandalo mondiale provocato in tutti gli ambienti militanti di sinistra non solo dal voto positivo di Rifondazione Comunista per la guerra in Afghanistan (pura guerra geopolitica americana di occupazione preventiva dell’Asia centrale contro la Russia e la Cina), ma dalla successiva espulsione del deputato Turigliatto per aver votato contro i crediti di guerra. Personalmente, non sono un ammiratore politico di Turigliatto e del gruppo di femministe romane chiamate “sinistra critica”, che si è distinto nel 2011 per aver inneggiato alla guerra Usa-Nato-Sarkozy contro la Libia. Si tratta di nostalgici che continuano ad ispirarsi ad un signore con barbetta chiamato Trotzky, la cui attualità è forse leggermente superiore a quella di Bonifacio VIII, ma certamente inferiore a quella di Carlo V. Resta il fatto storicamente acclarato che Turigliatto ha fatto l’atto più glorioso nella ventennale ingloriosa storia del partito di Cossutta e Bertinotti. In occasione del voto di Turigliatto avevo raccolto alcuni ritagli di commenti. Il più kafkiano era quello di un notabile meridionale chiamato Russo Spena, il quale sostenne che Turigliatto, votando contro i crediti di guerra, aveva commesso un atto di “violenza” contro la sua comunità di partito. Devo ammettere che certe volte la realtà supera ogni immaginazione.

Se ne accorse Thomas, che stava all’estero. In Italia non se ne accorse quasi nessuno. Ricordo alcune volgarità della comica di regime Littizzetto, spalla di Fabio Fazio, idolo del sinistro televisivo medio, contro il povero Turigliatto. Ma la scena è occupata dalle gesticolazioni scomposte del narcisista Bertinotti e dal suo connotare Prodi come un “poeta morente”, dove almeno Prodi continuava ad avere un futuro, sia pure di modesto economista neoliberale, mentre il burattino era destinato alla vergogna, a lasciare in pezzi un partitino in cui era stato insediato dall’alto dal duo nichilista Magri-Cossutta ed a “tirare la volata” a Vendola, personaggio della post-moderna commedia dell’arte.

C’è infatti voluto uno straniero, in questo caso Thomas, per far notare che il votare per i crediti di guerra ed espellere il deputato dissenziente era il massimo dell’abominio, il segnale del fallimento di qualunque operazione di “rifondazione del comunismo”. In Italia non se ne accorse praticamente nessuno, con tutti quanti in preda al ballo di San Vito dell’antiberlusconismo.

Il recupero della critica all’imperialismo è infatti una questione di vita o di morte per un punto di vista anticapitalistico. Ho già fatto notare, e qui non mi ripeto, che questo non può essere fatto sulla base del pacifismo e dell’altermondialismo. Ma la critica al nuovo imperialismo non può avvenire sulla base di alcuni equivoci, che definirò brevemente come nostalgismo “campista”, il miserabilismo  degli ultimi della terra come nuovo soggetto sostitutivo dei “deludenti” operai di fabbrica, ed infine il sollevazionismo mimetico.

Il nostalgismo “campista” rifiuta di fare un bilancio dialettico delle cause profonde del fallimento sistemico del progetto del comunismo storico novecentesco. Fa bene a difenderne l’eredità storica (Losurdo, Catone, eccetera), ma giustifica storicisticamente tutto quanto è avvenuto, ed in questo modo il superamento-conservazione (Aufhebung, in linguaggio hegeliano) non avverrà mai, perché ci sarà solo conservazione, e nessun superamento.

Il miserabilismo terzomondista prende atto del fatto ovvio che la classe operaia, salariata e proletaria non può più essere (ammesso che lo sia mai stata) il soggetto principale del superamento del capitalismo, ma poi pervicacemente non abbandona il punto di vista della centralità sociologica, e crede che lo siano le masse di poveracci del terzo mondo. Ma esse sono un soggetto “modale” ancora meno realistico di quello precedente operaio e proletario.

Il sollevazionismo consiste nel pensare che in paesi come l’Italia si possano ripetere processi simili a quelli avvenuti in Tunisia o in Egitto, semplicemente anticapitalistici e non solo democratico-religiosi. Ovviamente, nulla può essere escluso a priori, e quindi non si può neppure escludere a priori una sollevazione popolare. Ma il problema non è un’eventuale ed improbabile sollevazione popolare. Il problema è quello di poter aggregare una formazione politica, anche elettorale e che accetti il terreno elettorale, fondata su rivendicazioni sovraniste (fuori dalla Nato, sovranità monetaria nazionale, ristabilimento del primato del pubblico sul privato), al di fuori però dell’asfissiante retorica di estrema sinistra contro la piccola borghesia, la religione, con il culto monoteistico della Fiom e della cultura degenerativa del Manifesto, eccetera.

Un sentiero stretto, forse troppo stretto. Ma non c’è alternativa per questa cultura politica. Avremo contro Benigni, la Rossanda, Monti, Bersani, Diliberto e Ferrero. Ma forse avremo a favore le persone normali non ideologizzate formalisticamente saturi dell’attuale situazione sociale e politica.

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6 commenti
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  1. benissimo, avevo letto l’articolo di Pirani e mi aveva dato un fastidio epidermico incredibile, ma il tempo è sovranno, e purtroppo preso da mille altre questioni avanti sono dovuto andare. Ringrazio, quindi, di chi ha potuto soffermarsi, e con strumenti certamente più efficace dei miei ha potuto prendere atto della mistificazione culturale del Pirani, certamente si riposizionato su posizioni comode.
    Per il resto dell’articolo ancora deve finirlo di leggerlo, farò sapere.
    saluti.

  2. ” i gigli marciti puzzano più delle erbacce” è la traduzione dell’ultimo verso del sonetto 94 di Shakespeare. Interessante anche il penultimo:
    [...]
    For sweetest things turn sourest by their deeds;
    Lilies that fester smell far worse than weeds.

  3. “la gioventù è stata in gran parte estranea al tripudio tribale delle dimissioni di Berlusconi. È certamente un inizio promettente…”
    E sai perché (te lo dice un esponente del clero universitario reduce dalla correzione di 2000 – dicasi duecento – compiti scritti di sociologia)? Perché non hanno la minima idea, nominalismi a parte, di chi sia il suddetto. Naturalmente sanno che ama le ragazze, che possiede qualche canale televisivo e che è simpatico, ma generalmente lo confondono col presidente della repubblica (“ma lo chiamano presidente, prof…”); il nome “Napolitano” lo hanno sentito ma non sanno bene chi sia costui.
    Per il resto, se gli racconti che Giulio Cesare è il nipote di Costantino (quello del IV secolo) o di Mubarak, o che Galileo ha inventato il motore a scoppio nel 1200, non fanno una piega. In effetti Giulio Cesare o Togliatti fa lo stesso: giacciono entrambi, insieme a Galileo e a Sisto V, nel fondo oscuro di un tempo che neppure un vescovo del clero universitario è ormai in grado di illuminare. Quanto al motore a scoppio, non capiscono perché debba scoppiare.
    Alcune perle (testuali): Marx ha introdotto il capitalismo, Weber il protestantesimo, la società moderna è anonima (sarebbe l’anomia durkheimiana, a quanto ho capito), la specializzazione professionale ha inizio ai primi del Novecento (prima la divisione del lavoro non c’era)…
    In compenso compitano sui telefonini a velocità supersonica, sanno tutto di Belen e di Totti, giostrano fra i pod, ipad e ammennicoli vari come se ne avessero ingurgitato i manuali col latte materno. Potrà non piacerti Nietzsche (a tal proposito ho anch’io parecchio da ridire), ma su una cosa ha avuto pienamente ragione: l’ultimo uomo ha visto finalmente la luce, e ha le fattezze dello studente/ssa universitario/a medio/a (cui alla fine siamo costretti a mollare un 18 perché si tolga dalle scatole). Curiosità, zero; interessi culturali, zero; capacità logiche, zero… se si esclude, naturalmente, qualche eccezione (diciamo il cinque per cento? Sempre ottimista, la mia eminenza…).
    Per carità, non ce l’ho con loro, povere, tenere creature. Sono semplicemente il prodotto della inarrestabile decadenza dell’Occidente (ah… Spengler!), il frutto ultimo (o non ancora?) dell’economia di mercato, il cui mondo si riduce a mamma, papà, la mia ciccia (o il mio ciccio), la discoteca e l’ultima compilation di Vasco. Ciò significa che il clero universitario (e anche il basso clero delle elementari e delle secondarie) conta ormai, almeno in termini di capacità di formazione e di trasmissione del sapere e della memoria storica, meno del due di picche. Rassicurati: a gestire questi poveri figliuoli (sono i nostri, un vero dramma) non serve alcun clero, bastando mamma TV o, ancora meglio, Facebook e Twitter.
    E allora (torno al quesito), in che senso la loro estraneità alle dimissioni di Berlusconi sarebbe “promettente”? Ti rendi conto che se mai mettessero le mani sul più semplice dei tuoi saggi lo abbandonerebbero, frastornati e stanchi, al massimo dopo quindici righe?
    Perché mi soffermo su di una singola osservazione a proposito di un testo che contiene parecchie considerazioni interessanti e a volte controverse? Perché del genocidio culturale che si viene commettendo da almeno trent’anni (alla fine ne siamo complici anche noi) non parla mai nessuno. Altro che Scalfari e Pirani… Che ne pensi?

  4. Al prof. Salamone: Ma, scusi, se sono così ignoranti perchè gli date 18? E se cominciaste a bocciarli tutti? non sarà risolutivo, ma magari una sveglia può servire, non le pare? Magari si incavolano, si chiedono di chi è la colpa, e qualche ragionamento iniziano a farlo.
    A me è capitato (sono scrittore di teatro) di trovarmi davanti, ai provini, dei ragazzi che dopo essere usciti a pieni voti da rinomate scuole come quella diretta da Luca Ronconi, in scena non sanno dove mettere le mani. Un tempo, al tempo del teatro dei capocomici da noi – quand’eravamo giovani – tanto criticati, era la primissima cosa che si insegnava, l’equivalente dei primi rudimenti di analisi grammaticale. Secondo me chi li ha fatti uscire dalla sua scuola in quelle condizioni è un delinquente e un imbroglione; e quando mi capita di incontrare un responsabile, glielo dico anche, magari in forma più cortese ma glielo dico.

  5. Leggendo il suo intervento mi sono tornate alla mente le parole di Weber:
    “crede di poter tollerare di vedersi passare avanti, di anno in anno, una mediocrità dietro l’altra, senza amareggiarsi o corrompersi interiormente?”
    Si dedichi a quel cinque per cento, che forse non attende altro che un professore come lei, capace di risvegliare, o di suscitare, spirito critico e passione.

  6. A SAlamone “Ti rendi conto che se mai mettessero le mani sul più semplice dei tuoi saggi lo abbandonerebbero, frastornati e stanchi, al massimo dopo quindici righe”
    Bè io ho visto docenti universitari (non facciamo nomi per carità) frastornati davanti ai progetti di giovani ricercatori, impegnati a mettere in scena un triste e quotidiano spettacolo di arbitrio e potere, al servizio del barone di turno. Docenti universitari che non si aggiornano, ignorano la letteratura internazionale, che ripetono sempre la stessa e stanca, usurata lezione(ossia i pochi testi di cui il loro curriculum si compone). li ho visti allearsi e far fronte comune per rispondere alle richieste del barone di turno, umiliare studenti brillanti ed elogiare “ruffiani e mezze calze”, chiudersi nei loro ufficietti finchè morte non li separi (sia mai che vadano in pensione!) per giocare ogni giorno i loro piccoli e sporchi giochi di potere, insulso e meschino d’accordo ma pur sempre potere. i giovani, che sanno perfettamente chi sia berlusconi, e che combattono tutti i giorni con le derive democratiche ed ETICHE che la vostra generazione, imbevuta di studi classici almeno quanto di corruzione e disonestà, ha creato sono distanti anni luce dal ritratto che salamone propone. e che invece, per una sorta di ironico e grottesco destino, riflette molto meglio il clero universitario che ogni giorno si riproduce premiando i ricercatori, i dottorandi e gli studenti mediocri, ma ossequiosi. se dunque l’ignoranza dei giovani studenti potrà sempre essere colmata, la vostra cieca sottomissione a meccanismi clientelari, la vostra arroganza e disonestà, perdoni l’ingenuità, quella no non potrà essere colmata. ed essa segna inequivocabilmente il declino di una classe intellettuale, cheha così abdicato alla sua natura e funzioni.

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