Breve manifesto personale sul Comunismo e sul Comunitarismo

feb 17th, 2010 | Di | Categoria: Teoria e critica

di Costanzo Preve

1 – Sebbene io abbia già scritto molto sul comunismo, sul comunitarismo, e soprattutto sul rapporto fra i due ( sul quale rapporto pochissimi hanno scritto, mentre innumerevoli sono quelli che li hanno esaminati separatamente, spesso per marcarne istericamente e settariamente la differenza e la presunta ed inesistente incompatibilità), gli equivoci sono tali che conviene sempre ritornarcisi sopra. Ed è quello che farò in questo breve manifesto.

2 – Avendo compiuto recentemente 66 anni, età più che sufficiente per poter fare un bilancio umano, personale, filosofico e politico del mio percorso, non ho difficoltà a dichiararmi insieme comunista e comunitarista, ed anzi comunista perché comunitarista, e comunitarista perché comunista, spero che questa diade ( comunismo-comunitarismo) sia ben compresa, in modo che non ci siano penosi equivoci.

E tuttavia, questa autodichiarazione soggettivamente sincera e veridica, e cioè quella di essere insieme comunista e comunitarista ( ed insieme, perché se cancelliamo i due “ismi” di coerentizzazione e sistematizzazione teorica e concettuale, resta il termine comune, che è unico per tutti e due), non vale pressoché nulla, perché è una semplice autocertificazione personale. In filosofia, ma anche in politica, le autocertificazioni personali non valgono assolutamente nulla. Il grande Hegel, che insieme a Aristotele e Marx è il mio principale punto di riferimento, scrisse una riga memorabile, che qui riproduco: “ Quel che nei miei libri c’è di me come persona, è falso” (cfr. Hegel, Detti memorabili di un filosofo, Editori Riuniti, Roma 1986, p.186). Ed ancora: “Nello studio, la via regia ultima è pensare da se stessi” (idem, p.74).

Ora, ho molti difetti, ma ho sempre cercato di pensare da me stesso, ignorando sia il chiacchiericcio pettegolo sia il gossip diffamatorio di pulci, pidocchi e scorpioni. E soprattutto, ripeto che tutto ciò che in una riflessione filosofica c’è di personale, è automaticamente falso, inutile ed irrilevante.

E quindi, di conseguenza, il fatto che io mi autocertifichi comunista e comunitarista è del tutto irrilevante ( “falso”, nel linguaggio di Hegel), puro oggetto di gossip per perditempo. La sola cosa che conta, ma proprio la sola solissima, è il modo in cui argomento il mio essere comunista e comunitarista.

Il resto, direbbe Marx, possiamo lasciarlo alla critica roditrice dei topi.

3 – In estrema sintesi, due sono le difficoltà del dichiararsi pubblicamente comunista e comunitarista, una difficoltà esterna ed una difficoltà interna.

Esaminiamole separatamente.


4 – La difficoltà esterna consiste in ciò, che a causa di una stratificazione secolare di ideologie il termine COMUNISMO è pubblicamente percepito come di estrema sinistra, mentre il termine COMUNITARISMO è pubblicamente percepito come di estrema destra. E dal momento che l’immaginario simbolico conflittuale dei militanti politici (in particolare in Italia) vede schierati gli uni contro gli altri, spesso armati di bastoni (per fortuna raramente di coltelli), dei “fascisti di sinistra” (quasi sempre autodefinitisi comunitaristi) e degli antifascisti maniacali in assenza completa di fascismo (quasi sempre autodefinitisi comunisti), ne sorge un vero e proprio sgradevole TEATRO DELL’ASSURDO, che fa sprecare il novantacinque percento del tempo che potrebbe essere utilmente impiegato per altro nello spiegare che l’autodefinirsi comunisti e comunitaristi non è un trucco(a), non è una raffinata tattica di infiltrazione nel sacro recinto della sinistra(b), non è frutto di confusionarismo eclettico(c), non è una manovra dei servizi segreti(d), non deve essere inteso come l’ennesima piattaforma di una eresia comunista fra le tante(e), eccetera, eccetera.

Che fare contro questa odiosa e dannosa diffamazione continua ed ossessiva, di cui io stesso sono stato a lungo (e sono tuttora) vittima del tutto innocente? In breve, ritengo che non ci sia praticamente nulla da fare, per un insieme di ragioni che qui cercherò di compendiare brevemente.

In primo luogo, perché il movimento operaio nel passato, quando ancora contava qualcosa (oggi non conta praticamente più niente), ha dovuto effettivamente fare i conti con provocazioni organizzate che usavano il suo lessico di mobilitazione. Di qui è derivata una specifica paranoia, giustificata all’inizio, che ora però sopravvive solo come inerzia di bestioni in malafede. Quando si è ridotti a “nascondersi” dietro ad un concerto rock il primo maggio mi chiedo quale “provocazione” può essere maggiore di un palese svuotamento.

In secondo luogo, perché è effettivamente vero storicamente che i movimenti fascisti hanno usato il paravento di un comunitarismo interclassista e manipolato contro il comunismo storico novecentesco (non quello di Marx, che era una forma di comunitarismo, vedi in proposito la valutazione corretta di Eric Hobsbawm).

In terzo luogo, perché la cultura dei centri sociali è inesistente, trattandosi di ghetti consentiti e foraggiati dalla Sinistra Politicamente Corretta (SPC), che li può sempre usare come potenziale guardia plebea antiberlusconiana a buon mercato. Costoro, composti di semianalfabeti intontiti dalla musica che ascoltano abitualmente ad altissimo volume (ed un Adorno capirebbe al volo la correlazione fra lo stordimento e la bestialità politica ma oggi di Adorno non ce ne sono più), hanno una cultura della mobilitazione, dello scontro e della paranoia del fascismo esterno sempre attuale, ed è del tutto inutile porsi in un razionale atteggiamento dialogico, che pure potrebbe teoricamente chiarire moltissimi equivoci. Ma il paranoico non è un interlocutore, perché ascolterebbe qualunque argomento come un furbesco tentativo di infiltrazione.

In quarto luogo, perché la cultura azionista antifascista, maggioritaria presso i cosiddetti “intellettuali” italiani, si basa su di un presupposto moralistico di superiorità morale, assolutamente inesistente anche se per ora del tutto inestirpabile. Costoro sentono il bisogno di sentirsi superiori, intellettualmente e soprattutto moralmente, e quindi non possono abbandonare questa comodissima “rendita di posizione”. In assenza completa di fascismo, essi hanno bisogno dell’antifascismo, perché il loro essere soltanto anti è un alibi permanente alla loro vuotezza integrale di identità e di proposte.

In quinto luogo, infine, la stessa amministrazione sistemica della dicotomia manipolata Sinistra/Destra (oggi derubricata a Centrosinistra/Centro-destra) ha bisogno di un coefficiente di demonizzazione permanente. Ogni tentativo di coniugazione di comunismo e di comunitarismo, basato sull’elemento comune al di là degli ismi, è insopportabile per l’odierna postdemocrazia oligarchica (il termine è del politologo Crouch), in quanto ne infrange i tre dogmi religiosi portanti (identità occidentalistica dell’individualismo, teologia dei diritti umani ad esportazione con bombardamento USA, religione olocaustica dell’unicità imparagonabile di Auschwitz).

In definitiva, abbiamo di fronte le oligarchie capitalistiche, il ceto politico, il circo mediatico, ed infine la guardia plebea subalterna dei centri sociali urlanti, senza contare la puzza al naso del clero universitario politicamente corretto. Tutti costoro non hanno e non avranno pietà. E se fossi al loro posto, neppure io avrei pietà, di fronte ad una proposta politico-culturale che effettivamente infrange il loro monopolio stratificato a cinque stadi piramidali, che qui risintetizzo:

  1. Oligarchie capitalistiche

  2. Circo mediatico di manipolazione e di simulazione

  3. Clero universitario di legittimazione culturale

  4. Ceto politico postfascista e postcomunista, relativista, storicista, nichilista e composto di “ultimi uomini” nicciani, che sanno che ormai Dio è morto e quindi tutto è possibile.

  5. Guardia plebea urlante dei centri sociali ad altissimo volume.

Bisognerà quindi rinunciare alla speranza che questo teatro dell’assurdo finisca. Non è un teatro dell’assurdo. E’ il modo articolato con cui questo sistema difende se stesso. La diffamazione internettara non è che l’ultimo stadio di una catena molto robusta e forte.

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