Prime riflessioni per una resistenza culturale
mag 28th, 2011 | Di Rodolfo Monacelli | Categoria: Cultura e societàdi Rodolfo Monacelli
Ai giorni nostri l’aspetto nuovo è l’appiattirsi dell’antagonismo tra cultura e realtà sociale, tramite la distruzione dei nuclei d’opposizione, di trascendenza, di estraneità contenuti nell’alta cultura, in virtù dei quali essa costituiva un’altra dimensione della realtà. Codesta liquidazione della cultura a due dimensioni non ha luogo mediante la negazione ed il rigetto dei valori culturali, bensì mediante il loro inserimento in massa nell’ordine stabilito, mediante la loro riproduzione ed esposizione su scala massiccia. (L’uomo a una dimensione – Herbert Marcuse)
Un movimento politico che aspiri ad essere un movimento comunista o anche solo rivoluzionario non può non occuparsi di cultura e del
dibattito culturale. A questo proposito bisogna, innanzitutto, superare una vetusta posizione marxista per il quale la cultura non sarebbe altro che “sovrastruttura” e, dunque, in diretta e deterministica dipendenza dai fattori economici e dai rapporti sociali. Bisogna essere molto chiari su questo punto affermando che questa è stata, e purtroppo è ancora, una posizione di una parte del marxismo derivante da una cattiva interpretazione del pensiero di Marx.
Marx mai disse o scrisse che la sovrastruttura è in maniera automatica alle dipendenze della struttura. Marx afferma qualcosa di profondamente diverso. Marx fa un’analisi storica della società capitalistica e di quelle che l’hanno preceduta e, perciò, afferma che storicamente questo dato si è realizzato. Del resto non soltanto Marx, ma lo stesso Engels, in una lettera del 21 settembre 1890 a Joseph Bloch scrisse:
«[…] secondo la concezione materialistica della storia la produzione e riproduzione della vita reale è nella storia il momento in ultima istanza determinante. Di più né io né Marx abbiamo mai affermato. Se ora qualcuno distorce quell’affermazione in modo che il momento economico risulti essere l’ unico determinante, trasforma quel principio in una frase fatta insignificante, astratta e assurda. La situazione economica è la base, ma i diversi momenti della sovrastruttura – le forme politiche della lotta di classe e i risultati di questa – costituzioni stabilite dalla classe vittoriosa dopo una battaglia vinta, ecc. – le forme giuridiche, anzi persino i riflessi di tutte queste lotte reali nel cervello di coloro che vi prendono parte, le teorie politiche, giuridiche, filosofiche, le visioni religiose ed il loro successivo sviluppo in sistemi dogmatici, esercitano altresì la loro influenza sul decorso delle lotte storiche e in molti casi ne determinano in modo preponderante la forma. È un’azione reciproca di tutti questi momenti, in cui alla fine il movimento economico si impone come fattore necessario attraverso un’enorme quantità di fatti casuali….In caso contrario, applicare la teoria a un qualsiasi periodo storico sarebbe certo più facile che risolvere una semplice equazione di primo grado. Ci facciamo da noi la nostra storia, ma, innanzitutto, a presupposti e condizioni assai precisi. Tra di essi quelli economici sono in fin dei conti decisivi. Ma anche quelli politici, ecc., anzi addirittura la tradizione che vive nelle teste degli uomini ha la sua importanza, anche se non decisiva….
Per Marx ed Engels, la letteratura, l’arte, il diritto (tutti gli elementi sovrastrutturali, insomma) sono una parte del processo storico totale della società, pur non negando ad ogni campo specifico la sua piena autonomia; un’autonomia, però, che esiste soltanto come momento del rapporto storico, dell’evoluzione storica. Tutto ciò si collega perciò, a pieno titolo, con il materialismo storico contro il materialismo “volgare” (o dialettico). Grazie al materialismo storico, infatti, Engels e soprattutto Marx bene compresero l’essenzialità della cultura e di tutte le componenti strutturali per un’analisi storica della società capitalistica, analizzandone le loro leggi di sviluppo, i loro diversi indirizzi, la loro ascesa e declino entro il processo di insieme, ecc. Distinguere tra struttura e sovrastruttura, dunque, per Marx ed Engels, non vuol dire affermare che esista tra di esse una conseguenza meccanica e deterministica in base a cui esista soltanto un rapporto di causa ed effetto. Questo viene evidenziato anche dal fatto che, per il pensiero di Marx, lo sviluppo della cultura non necessariamente va di pari passo con lo sviluppo della società, non è cioè automatico che una società più progredita di un’altra da un punto di vista sociale lo sia anche da un punto di vista sovrastrutturale. Lasciamo, in questo caso, la parola a Marx che bene spiega questo punto essenziale per comprendere come il determinismo sia uno dei principali nemici contro cui combattere:
Per l’arte è noto che determinati suoi periodi di fioritura non stanno assolutamente in rapporto con lo sviluppo generale della società, né quindi con la base materiale, con l’ossatura per così dire della sua organizzazione. Per esempio, i greci paragonati con i moderni o anche con Shakespeare. Per certe forme dell’arte, per esempio per l’epica, si riconosce addirittura che esse non possono più prodursi nella forma classica, nella forma che fa epoca, quando fa la sua comparsa la produzione artistica come tale; e che, quindi, nella sfera stessa dell’arte, certe sue importanti manifestazioni sono possibili in uno stadio non sviluppato dell’evoluzione artistica. Se questo è vero per il rapporto dei diversi generi artistici nell’ambito dell’arte stessa, sarà tanto meno sorprendente che ciò accada nel rapporto tra l’intero dominio dell’arte e lo sviluppo generale della società. (K. Marx, Per la critica dell’economia politica, Roma, Editori Riuniti, pp. 196-197).
Questa lunga premessa era necessaria e fondamentale per ribadire un concetto: la sovrastruttura, nel pensiero marxiano, non è un accessorio inutile, ma il fondamento (ovviamente assieme alla struttura anche se, in alcune circostanze storiche, è addirittura più importante). Quello che un movimento comunista, oggi, si deve chiedere è: in quale epoca storica stiamo vivendo? È oggi più importante la struttura o la sovrastruttura? Una prospettiva rivoluzionaria può essere realizzata in campo strutturale o sovrastrutturale? Proprio perché sovrastruttura e struttura non necessariamente coincidono quale è il campo oggi più proficuo per noi? Sembra invece, da parte dei comunisti di ogni colore, che si sia abbandonata ogni velleità di fare “egemonia”. Il campo culturale è ormai lasciato totalmente (anche inconsapevolmente) all’avversario e l’immaginario su cui si formano le coscienze è ormai totalmente vicino all’ideologia americana, imperialista e capitalista. Sembra che i comunisti nostrani, al di là del conflitto capitale-lavoro e delle rivendicazioni sindacaliste, non sappiano andare. Mai come oggi, invece, è proprio quello il piano su cui si deve entrare e su cui la battaglia si fonda. A questo proposito aveva perfettamente ragione Herbert Marcuse quando vedeva nelle avanguardie artistiche e culturali un pericolo per una cultura che fosse anche “critica”. Cosa ha fatto, infatti, questa cultura? Ha eliminato la cultura borghese. E cos’era la cultura borghese se non Freud, Dostoevskij, Tolstoj, Picasso, lo stesso Marx? La cultura borghese non era la borghesia, ma proprio l’alienazione consapevole di una parte della borghesia che ad essa si ribellava. Insomma, more solite, la cultura di sinistra non ha fatto altro che abbattere tutto ciò che si potesse ribellare al capitalismo travestendolo da “rivolta contro l’autoritarismo culturale”. E oggi cosa abbiamo di fronte? Da una parte la cultura ufficiale, legata a doppia mandata con il potere economico, statale e culturale, e dall’altro una cultura minoritaria, senza nessuna valenza, e che non ha la minima possibilità di incidere sul reale. I comunisti però, poveri stolti!, ritengono che la cultura ormai non conti nulla e dunque sia inutile occuparsene. Peccato che, in realtà, proprio nel campo culturale si legittimano e si fanno accettare alla maggior parte delle persone le invasioni imperialistiche travestendole da guerre umanitarie, l’eliminazione dei diritti sociali e sindacali, le riforme della scuola e dell’università, il legalismo autoritario travestito in rispetto per le regole (vero Roberto Saviano?) e, più in generale, il dominio del capitalismo e dei dominanti.
Un altro aspetto che riguarda sempre la sovrastruttura e sui cui i comunisti sembrano non voler più dire la loro in maniera sensata è la comunicazione o, meglio, il rapporto con i mezzi di comunicazione. Anche qui, invece di esprimere una propria posizione in rapporto ad un tema fondamentale nella società attuale, i comunisti (o, meglio ciò che resta di loro), preferiscono dividersi tra “integrati” (facendo magari professione di antiberlusconismo militante) e “complottisti”. Lasciamo stare la figura dell’integrato, data la sua miseria storica, umana e culturale e affrontiamo invece i “complottisti”. Secondo i “complottisti” il sistema di comunicazione di massa, essendo destinato ad un consumo indifferenziato, creerebbe una qualità media per uno spettatore medio omogeneizzando «sotto un comune denominatore la diversità dei contenuti» (Morin, 1962). Questo spiegherebbe il rilievo, ogni giorno più crescente, che assumono i fatti di cronaca come conseguenza del rapporto tra standardizzazione ed innovazione, tra sincretismo e la contaminazione tra reale e realistico. Tale sistema si collegherebbe, in maniera automatica e deterministica, al sistema dei consumi, creando un nuovo pubblico interclassista che entrerebbe in comunicazione soltanto grazie alla legge del mercato e le sue dinamiche. Al di là dell’eccessivo determinismo alla base di questo approccio, non ci si pone neanche alcune domande che sono alla base di un’analisi scientifica e razionale dell’esistente (e non di ciò che vorremmo fosse l’esistente). Il fatto, ad esempio, che ogni mezzo di comunicazione ritaglia entro la massa degli insiemi specifici e dei pubblici mutevoli, non si considera che (in rapporto ad una scarsa fiducia nella natura dell’uomo) il messaggio massmediatico (e oggi multimediale) non ha sempre, ed automaticamente, la capacità di sconfiggere le difese (intellettuali, culturali, etiche o morali che siano) di ogni destinatario e che, nella realtà, non esiste un padrone occulto che impone esplicitamente ciò che i media devono dire o non dire. La comunicazione dei mass media, così come tutti gli elementi sovrastrutturali della società, è infatti il prodotto di particolari condizioni storiche e sociali e come tale va trattata.
Le soluzioni in questi campi, così come in altri, ovviamente non vi sono ancora. Un passo avanti sarebbe però cominciare a porsi la questione e iniziare ad elaborare un diverso approccio critico, che superi definitivamente un orientamento dogmatico, deterministico ed economicistico. Il che, tra le altre cose, vorrebbe dire riavvicinarsi a Marx e non allontanarsene. Questo dovrebbe portare ad affrontare il problema culturale come un elemento fondamentale per sviluppare una teoria che si contrapponga al sistema capitalistico della produzione (una produzione non soltanto materiale ma anche dell’immaginario). Da questo punto di vista – come ben rilevarono, già negli anni ’50, riprendendo la lezione di Antonio Gramsci, i Cultural Studies – la cultura non dovrebbe essere più vista come un patrimonio fisso ed immutabile riservato ad intellettuali prezzolati e da scienziati, ma un insieme delle interrelazioni tra le pratiche sociali e tra i processi socialmente e storicamente situati attraverso cui dare un significato alla realtà. In questo senso l’affermazione di una cultura, e più in generale tutte le forme sovrastrutturali della società contemporanea, va vista come un lungo processo di «negoziazione e di conflitto» nel corso del quale le classi dominanti esercitano il potere, ma in cui anche le classi subalterne e i dominati potrebbero avere la possibilità di rifiutare, modificare o rielaborare ciò che viene loro proposto. Bisogna cercare, insomma, di evitare l’integrazione ma anche il complottismo ma analizzare scientificamente il sistema dei media come parte dell’attuale produzione culturale rappresentando, come bene scrisse Raymond Williams, «il flusso dei significati e dei valori di una specifica cultura».
Comprendere questo vuol dire comprendere come il prossimo terreno di scontro tra capitalismo e anticapitalismo, tra imperialismo ed antimperialismo, tra dominati e dominanti, sarà (che lo si voglia o no) quello della cultura e della comunicazione e, in conseguenza di questo, dobbiamo iniziare ad entrare in possesso degli strumenti per combattere questa battaglia.