Nord Africa, Europa e immigrazione
apr 16th, 2011 | Di Franco Roman | Categoria: Politica interna
di Franco Romanò
(Dal CORRIERE DELLA SERA del 3 aprile)
“ La Tunisia ha fatto fronte all’afflusso di oltre 150 mila profughi in arrivo dalla Libia, accolti malgrado la difficile situazione del Paese”. Sottinteso: perché non può farlo anche l’Italia?”
Già, una domanda bruciante che merita di essere presa sul serio dopo più di una settimana di guerra libica che sta provocando una serie di effetti a catena ( ma qualcuno ci aveva pensato davvero prima di scatenare il contro-inferno che reagisce all’inferno gheddafiano?). E’ così difficile riconoscere negli sbarchi a Lampedusa l’inizio di una onda lunga che non può essere fermata con respingimenti speciali. Altro che fora di ball..
Stanno per saltare le distinzioni semplici tra profughi, rifugiati e clandestini e tutti gli strumenti tipo CIE si rivelano ancor più drammaticamente inadeguati di un tempo, come si fa a essere così stupidi da pensare a tendopoli e accampamenti?
Idealismo? Estremismo? Ma perché non prendere in serissima considerazione DA SUBITO strutture come le caserme vuote, le chiese, i centri di accoglienza, perfino gli stadi e i musei al limite? Non è una boutade o una provocazione, 100 caserme. 100 parrocchie, 100 Comuni, tanto più che – come insegna la stessa Toscana di questi ultimi giorni come sia possibile distribuire il contingente degli stranieri in piccoli gruppi anziché allestire tendopoli o concentrare tutti in un unico luogo.
Il testo dice cose ovvie e di buon senso e l’11 aprile scorso, un altro articolo di Giulio Sapelli ritorna molto lucidamente sull’argomento. Nel mezzo fra questi due articoli, si collocano le riflessioni di Tarek Alì, di Essam Hamalawi e di Rossana Rossanda sul Manifesto, l’intervista a Noam Chomsky sullo stesso quotidiano e il 12 aprile un altro intervento di Mazzadra sui rapporti fra Italia ed Europa. Ci sono stati altri interventi successivi a quelli che ho citato, ma penso che siano sufficienti questi per avviare un ragionamento.
Partiamo dal Governo tunisino. Esso in una prima fase, ha messo il dito nella piaga in un duplice senso: prima smentendo Frattini sul fatto che esistesse un accordo fra Italia e Tunisia e costringendo il suddetto ad ammettere che in effetti si trattava di un accordo verbale (deliziosa frase che dovrebbe da sola causarne l’immediata rimozione). Che un accordo poi si sia raggiunto, fra Italia, Francia e Tunisia (e che razza di accordo!), non fa venir meno la figuraccia e anche l’arroganza di averlo millantato quando non c’era, forse sperando nell’acquiescenza tunisina, che invece non ha abbozzato.
La seconda ragione, però, è quella sostanziale: come può un paese ricco come l’Italia, che è pur sempre la settima potenza industriale (basta con il vittimismo), lamentarsi per l’arrivo di alcune migliaia di profughi, molti di quali poi se ne vogliono andare altrove?
La risposta a questa domanda è assai complessa perché chiama in causa l’Europa, non nel senso dei piagnucolii anti europei di Maroni ma nel senso che l’Europa, una volta di più, ha rivelato e fin dall’inizio, tutta la sua impotenza e inesistenza, raggiungendo un punto assai prossimo al non ritorno; parlo solo da un punto di vista politico, perché sullo sfondo ci sono poi tutte le questioni che riguardano la tenuta dell’euro, l’elezione del futuro governatore della BCE e tutta un’altra serie di scadenze economiche sia a livello europeo, sia statunitense che rischiano di dare ulteriori picconate al disastrato edificio dall’Unione.
Partiamo dal piccolo per arrivare al grande. Il primo errore che compie tutto, o quasi, lo schieramento politico italiano parlamentare, e in parte anche non, è l’insistenza sulla parola ‘emergenza’.
Alle argomentazioni razziste della Lega, e a Berlusconi che parla di tsunami umano, si sarebbe almeno dovuto rispondere che in Italia ogni anno entrano per vie legali molte migliaia di migranti in più dei 27.000 su cui si sta facendo questa pressione mediatica per pure questioni propagandistiche. In secondo luogo si potrebbe dire che tali migranti vengono per essere assunti molto spesso nelle “fabbrichette” degli imprenditori del Nord, oppure nelle campagne mantovane (molti indiani di religione sik, per esempio), molti di quali leghisti, che se ne servono per tenere bassi i salari precario il lavoro, oppure degli agrari del Sud che li fanno lavorare in condizioni schiaviste nelle campagne calabresi e pugliesi. Questi argomenti non vengono usati per una ragione molto semplice: che il cretinismo elettorale della sinistra è arrivato a tal punto che tutto ciò che esiste al di fuori del mercato del voto, non conta nulla, salvo poi emettere peana buonisti sugli immigrati che sono esseri umani, che vanno accolti ecc. ecc. ecc. . Tutto questo impedisce a questo ceto politico persino di allargare le contraddizioni dell’avversario. In questo momento la Lega Nord è in difficoltà con il suo elettorato perché, come tutti coloro che seminano vento, sta raccogliendo tempesta, nel senso che a un elettorato così persino i permessi temporanei di soggiorno sembrano troppo: quello che la Lega chiede e che fra un po’ farà di suo, sarà di sparare direttamente sugli immigrati!
Il primo modo di accoglierli, da parte di una forza di sinistra (tanto più se addirittura pretende di essere comunista), sarebbe quello di aiutarli a respingere le condizioni che sono costretti a subire, facendo così emergere il peso reale del loro contributo al PIL, sommerso come quello del lavoro domestico e di cura (spesso nel caso dei migranti le due cose sono connesse); questo significa avviare un ciclo di lotte sociali e non di manifestazioni shopping del sabato pomeriggio, o di chiamate alla piazza sulla scorta delle azioni della magistratura; ma anche creare forme di solidarietà e di comunità che fanno parte della storia e della tradizione del movimento operaio.
LEGA, ITALIA, EUROPA.
La risposta dell’Europa alle richieste italiane è ovvia e dovuta, visto che i nostri ministri non conoscono nemmeno le leggi e i regolamenti, oppure che fingono di ignorarli perché agiscono solo per ragioni di propaganda. Il governo italiano ha sbagliato tutto o ha voluto sbagliare tutto (tornerò su questo) e non poteva che avere questa risposta: la Germania accolse 250.000 profughi fra polacchi ed ex Jugoslavi, dopo la caduta del muro di Berlino, senza chiedere nulla a nessuno, la Francia è la nazione con il più altro numero di cittadini di religione islamica in Europa: ha molti problemi ma non fa piagnistei, magari reprime e non va bene, ma i piagnistei sono anche peggio.
Tutta la politica italiana su immigrazione, federalismo fiscale e altro, è ostaggio della Lega nord e del suo anti europeismo ideologico e sostanzialmente inconcludente sul piano effettivo, ma pericoloso perché sollecita sempre più l’attitudine sovversiva dei ceti più retrivi della società settentrionale, con pericolose ricadute anche sulla tenuta unitaria del paese. Ora Maroni cerca di fare marcia indietro accreditando la fine dell’emergenza, ma questo non fa che sottolineare una seconda volta, l’errore di analisi che sottostà all’uso di tale termine. La bassezza di questa politica che cerca di nascondere i problemi veri dell’unità europea, rispetto allo scenario nordafricano e oltre, non incontra nessuna vera proposta e risposta alternativa se non prese posizioni del tutto formali.
Giulio Sapelli, questi temi li affronta con grande lucidità analitica nell’articolo dell’11 aprile scorso. Scrive infatti:
“…è l’intera idea di Europa che si infrange sui flutti del Mediterraneo,…incagliata nell’incapacità culturale e quindi economica di consentire la circolazione delle persone… Ho già ricordato sul Corriere che il dramma libico altro non è che la punta di un processo che si dipana a partire dal cuore stesso dell’Africa sub sahariana, come dimostra lo stesso intervento francese e inglese in Libia, che ha come fine il controllo delle risorse della Costa d’Avorio, del Gabon e della Nigeria e poi inevitabilmente dell’ex Congo Belga. Il disegno neo imperiale francese e inglese ha di mira la difesa degli interessi occidentali a fronte del tentativo di dominio cinese dell’Africa, secondo una strategia che è diversa da quella europea. In cambio delle risorse naturali che estrae, l’Impero di Mezzo lascia infrastrutture di ogni genere… a differenza del modello francese che spartisce con i capi tribali locali le risorse. …Ma tutto ciò provoca immensi spostamenti di forza lavoro e crea un esercito industriale di riserva… Nel bel mezzo della guerra le navi cinesi incrociano nel mediterraneo per evacuare 36.000 cinesi che lavorano in Libia… lo hanno fatto in una settimana… oggi sono i tunisini a ospitare 125.000 libici, ivi rifugiatisi per sfuggire alla guerra…. Credere che tutto questo immenso processo possa essere ostacolato, compresso, deviato solo sulla base di …interessi nazionali è illusorio….. Solo un patto fra Europa e Africa …potrà lentamente creare un ordine… Un compito difficile e immenso…. Se non faremo così la democrazia diventerà incompatibile con lo sviluppo sociale ed economico e lo spettro della dittatura si affaccerà anche in Europa…. Nessuno è un’isola: la campana suona per tutti.”
Sapelli non avrebbe potuto scrivere meglio; la cosa interessante da notare è che questo articolo è comparso sul Corriere della Sera. Le sue argomentazioni toccano due diversi problemi. Il secondo, riguardante l’immigrazione è il più importante e per questo lo lascio per ultimo: prima alcune note sulle sue osservazioni di geopolitica, che sono molto consonanti con quelle di Noam Chomsky rilasciate al Manifesto. Riporto poche cose perché il titolo stesso è più che sufficiente: il filosofo e linguista statunitense parla di “intervento neo imperiale” e afferma in un passaggio che il “controllo delle risorse petrolifere dell’area rimane il primo obiettivo delle potenze occidentali.” Sono espressioni analoghe a quelle di Sapelli. La differenza è che Chomsky, puntigliosamente indica tutte le violazioni della risoluzione Onu 1973, da parte della triplice alleanza.
Un’ultima notazione che riguarda una toccante intervista di ieri 14 aprile a Radio Popolare da parte di un eritreo scampato all’annegamento con altri diciannove fortunati compagni: sul barcone affondato erano in 72. A un certo punto l’intervistatore chiede come mai nessuno li abbia visti, dato che la deriva del barcone rimasto senza benzina è durata parecchi ore. Cito a memoria la risposta dell’eritreo: certo che ci hanno visto, molte navi, navi militari, erano navi della Nato, ma hanno fatto finta di non vederci. Ma toh, guarda! Ma la Nato non è lì per proteggere la popolazione civile?
Tutti sembrano capire molto bene cosa stia accadendo in Libia e non solo: tranne Rossanda Rossanda, Pietro Ingrao e altri.
L’argomentazione forte e inoppugnabile di Sapelli è tuttavia un’altra: che i flussi migratori non sono affatto un’emergenza, ma il connotato di un’epoca che è iniziata ventitre anni fa con la caduta del muro di Berlino e che ci accompagnerà per un lungo periodo. Gli immensi spostamenti di mano d’opera e la creazione incessante di eserciti di riserva saranno nei prossimi anni uno degli effetti congiunti di rivolte popolari più o meno radicate e più o meno spontanee a seconda dei casi e delle risposte prevedibilmente di guerra che aumenteranno a loro volta il numero di profughi. Tali flussi sono inarrestabili, non lo saranno neppure con le cannonate perché chi si muove non ha nulla da perdere, ha l’energia della sopravvivenza e la forza dei popoli giovani.
Rispetto a questo dato, la politica europea è semplicemente inesistente, le differenze fra un paese e l’altro sono di tono ma non di sostanza, tutte fondate sul piccolo cabotaggio il corto respiro.
Quello che propone Sapelli, pur nella sua genericità, è ciò che ci vorrebbe, ma ovviamente Sapelli non porta il discorso fino alle conseguenze necessarie. Perché esista un patto fra Europa e continente africano, bisognerebbe prima di tutto che l’Europa non fosse quello che invece è: un’unione monetaria e basta e per di più sempre più a rischio.
L’Europa è veramente a un bivio e ci sono molti segnali di scollamento. La stessa politica neo imperiale franco-inglese il parallelo disimpegno della Germania un po’ su tutti i fronti, potrebbero essere segnali di distacco, una politica delle mani libere che prelude a cambiamenti radicali: a questo punto è l’economia a entrare in gioco e su questo non occorrerà attendere molto per capire alcune intenzioni.
Franco Romanò.
Ps. Anche se non in tema con quanto detto in precedenza, non posso fare a meno di commentare le pirotecniche dichiarazioni del tristissimo (da sempre) ed esimio professor Alberto Asor Rosa, che invita il Presidente della Repubblica – chi altri se non lui – a intraprendere un’iniziativa istituzionale forte per salvare la democrazia e la costituzione, in accordo nientemeno che con l’arma dei carabinieri. Certo che ad Asor Rosa va riconosciuto un merito: credo che sia la prima volta che una richiesta di colpo di stato venga formulata come petizione via stampa, così come se si trattasse di una proposta qualunque. Il suo ragionamento, però, è ancora più sottile e stupefacente: dal momento che non si riesce a cacciare Berlusconi dal basso perché non provarci dall’alto? Accidenti, ma è l’uovo di Colombo, come è potuto accadere che nessuno ci abbia pensato prima! Di certo Asor Rosa non può essere accusato di mancare di esprit de gèometrie!
In questa brutta e tragicomica deriva di una intellighentia di sinistra senza testa, prima che senza idee, è ancor più avvilente che tutto questo sia comparso sul Manifesto e ancora più grottesche sono le prese di distanza del direttore di Repubblica, giornale che ha probabilmente sponsorizzato cautamente la trovata, anche per saggiare il terreno senza comparire direttamente. Un solo dubbio: nipotini di Stalin o dei fratelli De Rege?