Non esistono profughi economici
apr 11th, 2011 | Di Eugenio Orso | Categoria: Contributi
di Eugenio Orso
L’evento che fa notizia in Italia, da un paio di giorni, è quello delle dimissioni di Cesare Geronzi, da un anno ai vertici di Generali dopo la militanza in Mediobanca, e da tempo un VIP del potere finanziario locale.
Rimane però al suo posto, in qualità di vicepresidente delle Generali, il finanziare-imprenditore bretone con origini “televisive” Vincent Bolloré, uno dei simboli della penetrazione transalpina nella penisola e della colonizzazione francese dell’Italia.
Il brillante Bolloré, il suo ammiratore-consulente e nipote di Buorguiba Tarak Ben Ammar, Lactalis [alimentare], BNP Paribas [banche], Lvmh [moda e non solo moda], e via di seguito, sono altrettanti attori di questa colonizzazione, che non pare destinata a fermarsi nonostante la recente levata di scudi italiana [Tremonti] a difesa di Parmalat, minacciata da Lactalis.
Con l’uscita di scena di Geronzi, dimissionario in seguito ad una mozione di sfiducia, lo stesso scompare anche dai patti di sindacato, perché le partecipazioni della primaria compagnia assicurativa sono regolate da tali patti, e la lista è significativa, strategica, per gli assetti del potere economico-finanziario nella penisola, comprendendo RCS, Mediobanca, Pirelli, Gemina, Telecom.
L’esclusione di Geronzi innescherà qualche “effetto domino”? Peggiorerà o migliorerà la situazione finanziaria ed economica nazionale?
Domande che resteranno senza una sicura risposta, almeno per un po’, ma ci sono altri fatti, oltre a questa vicenda molto “gettonata” dai media, che dovrebbero suscitare interesse ed indurre ad una seria riflessione, che supera i confini italiani e le “miserie” economico-finanziarie nazionali.
Pur essendo rilevanti e di una certa portata nella crisi italiana le dimissioni di Geronzi, non è questa la notizia che ha attirato la mia attenzione, perché l’evento che più mi ha colpito, per il suo contenuto drammatico e per il suo valore simbolico, non riguarda le strategie, le tattiche e le trame ordite nel mondo finanziario, i patti di sindacato, le cariche, l’avvicendarsi di VIP ai vertici e la loro ascesa e caduta, in quel basso impero da colonizzare che è oggi l’Italia, ma riguarda degli sconosciuti, che non sono neppure italiani, dei poveri migranti che troppo spesso si abbandonano alla completa balia delle onde del mare e delle correnti della storia.
Il numero di vittime del rovesciamento di un barcone di “clandestini”, durante le operazioni di soccorso al largo delle isole Pelagie, può essere superiore alle trecento, visto che il barcone era stracarico [fino a 350 o 370 a bordo, secondo alcune fonti] e i superstiti dovrebbero essere poco più di una cinquantina, ma questo non è che un caso fra i tanti casi simili, già verificatisi e che sicuramente si verificheranno in futuro.
In questa tragica circostanza, sono state le profondità marine ad accogliere gli anonimi corpi di coloro che fuggono dalla guerra, ma in altri casi potrebbe essere il deserto africano a nasconderli, oppure, se giunti a destinazione e morti improvvisamente sul lavoro, in nero e senza alcuna garanzia, qualche terreno agricolo o le fondazioni di un edificio in costruzione.
L’ipocrisia leghista a sfondo elettoralistico, frutto della miopia e dell’ostilità nei confronti dei più deboli, in primo luogo nei confronti di tutti i migranti ed in particolare dei non-bianchi, se si affermasse completamente imporrebbe la ferrea e strumentale distinzione fra profughi provenienti da teatri di guerra, che dovrebbero essere accolti temporaneamente “per ragioni umanitarie”, seppur a malincuore, ed i cosiddetti profughi economici, che non rischierebbero la vita e che dovrebbero essere perciò respinti, ma soprattutto la contestuale dicotomia fra regolari e “clandestini”, intendendo che i profughi economici dei barconi sono tutti dei clandestini da respingere, con le buone o con le cattive.
La clandestinità, se diventa un reato, è esattamente la negazione di quei diritti umani – o ancor meglio, visto che l’espressione “diritti umani” è screditata, dei diritti naturali che devono essere riconosciuti a ciascuno – che l’occidente capitalistico dichiara di riconoscere e millanta di voler difendere.
Alla fine i leghisti che fanno il bello e il brutto tempo nell’indebolito esecutivo berlusconiano, vista l’eccezionalità della situazione mediterranea aggravata dalla guerra civile libica, hanno dovuto ammettere la concessione ai “profughi economici-presunti clandestini” di un permesso temporaneo di soggiorno, sperando, o meglio illudendosi, che se ne andranno Fora di Ball [credo che si scriva così, ma non conosco bene l’agglutinata lingua bossiana] al più tardi dopo sei mesi o un anno e il più lontano possibile dalla sacra “padania”.
Il gioco di identificare i cosiddetti profughi economici con i clandestini, in presenza del reato formale che deriva dall’essere semplicemente privo di documenti, non può funzionare nel lungo periodo e non può arrestare i flussi migratori verso il nord [del mondo intendo. Chissenefrega dell’immaginaria “padania”, patria delle sole e delle sparate bossiane].
Dall’altra parte ci sono gruppi di imprenditori italiani, destinanti a diventare sempre più sparuti con l’avanzare della crisi e l’estendersi della moria d’industrie, i quali accolgono favorevolmente gli arrivi stabili – più che i transiti verso la Francia e la Germania – per poter disporre di schiavi ancor più schiavi, ad un costo più basso rispetto ai precari locali.
Non parliamo poi dell’economia formalmente criminale, espressione di un certo potere finanziario che per convenzione ancora chiamiamo Mafia, Camorra, ‘ndrangheta – ma che è semplicemente élite, Global class mascherata – la quale necessita di manovalanza per il crimine, di braccia per il lavoro in nero ed anche di lavoratori, docili, di poche pretese e facilmente gestibili, nelle attività legali ed emerse che controlla.
Il ricatto della fame e della guerra, i continui shock utilizzati per imporre gli espropri capitalistici e le controriforme, liberano “fattori della produzione umani” a bassissimo costo, in apparenza più facilmente gestibili dei lavoratori autoctoni minimamente tutelati, che sono a completa disposizione della creazione del valore e completamente soggetti al peggior sfruttamento schiavista.
Certo, i flussi migratori verso il nord che attraversano il Mediterraneo si sono improvvisamente ingrossati a causa dell’instabilità tunisina e come conseguenza della guerra civile libica, ma è da tempo che quelle “Cassandre” che sono i demografi avvertono che ci si deve attendere, per il futuro, masse crescenti di migranti provenienti, in particolare, dall’Africa subsahariana, in cui l’ancora elevato numero di figli per donna, in certi casi superiore a quattro, nonostante l’elevata mortalità infantile alimenta le “eccedenze umane”, costringendo una popolazione giovane e senza alcuna prospettiva a cercare possibilità di sopravvivenza altrove.
Nel lungo periodo, avvertono i demografi con uno sguardo dall’alto che abbraccia tutto il pianeta, il fenomeno migratorio non pesa quanto la vulgata è portata a credere, ma semplicemente può “ripopolare” aree del mondo [nel nostro caso la parte nord-occidentale] in cui già si manifesta e si manifesterà nei prossimi decenni un significativo calo demografico, riequilibrando così le sorti – demografiche, in primo luogo, ma anche economiche – di queste aree ed arrestandone lo spopolamento.
Ma nel breve e nel medio periodo si scatenano inevitabilmente forti tensioni all’interno delle società di destinazione dei flussi migratori, ed in subordine in quelle di transito, da un lato, e si inizia a percepire un ulteriore e più grave impoverimento nelle società di partenza, dall’altro lato, perché private della parte più giovane e vigorosa della forza lavoro.
E’ nel breve e nel medio periodo, quindi, che appare in piena luce il duplice svantaggio dei flussi migratori imposti da questo capitalismo, ben oltre la relativa “asetticità” di studi demografici che possono avere un orizzonte temporale di trenta o di cinquanta anni.
Se il nuovo modo storico di produzione, che drammatizza ed accelera impoverimento di massa e fenomeni migratori per poter estendere la sua presa sul mondo, potrà riprodursi fino alla metà di questo secolo senza incontrare ostacoli rilevanti, l’esito non potrà essere che un aggravarsi dell’impoverimento di massa, nel sud ed anche nel nord del mondo, e una continuità, al ritmo di circa due o tre milioni l’anno, dei flussi migratori verso i paesi “sviluppati”, come previsto dai demografi.
In tal caso, il Nuovo Capitalismo e i suoi agenti globali avranno vinto per tutto il secolo, e si verificherà una progressiva ed inevitabile sostituzione delle originarie popolazioni nord-occidentali con quelle provenienti dalle aree più malconce del pianeta [Africa subsahariana, certi paesi dell’America Indio-Latina, vaste regioni dell’Asia], pur in presenza di un graduale e già oggi prevedibile calo demografico, fino ad avvicinarsi alla fatidica soglia “di sostituzione” dei due [o meglio, 2,1] figli per donna, persino nella ventina di paesi più poveri del mondo, in gran parte africani.
Quindi è perfettamente inutile che Bossi & C. si agitino sputando veleno contro i migranti, cercando di criminalizzarli e di imbonire le loro “tribù padane” minacciate dall’intrusione aliena, ed è illusorio, per quanto riguarda gli imprenditori italiani piccoli e medi non ancora “delocalizzati”, o espulsi tout court dal mercato, sperare di poter approssimare almeno un po’ i fasti del passato – se sono stati veramente tali – o addirittura di poter tornare ad una condizione di status quo ante, sfruttando nuove ondate di lavoro schiavo.
Il Nuovo Capitalismo, dilagando anche da noi grazie alla globalizzazione neoliberista, ha fatto sì che in Italia coesistano tre mercati del lavoro, fin tanto che non si completeranno la distruzione del lavoro stabile e garantito e la mattanza dei ceti medi:
1) Un mercato tradizionale, riguardante i “vecchi contratti” ancora in essere e portatori di ampie garanzie per il lavoratore, che tende progressivamente a restringersi riguardando, ormai in maggioranza, lavoratori di mezza età o anziani. Le garanzie, giudicate troppo ampie, sono in fase di superamento attraverso la pratica degli accordi separati con i sindacati compiacenti, delle conseguenti deroghe sulle materie del contratto nazionale e grazie ai blitz come quelli di Marchionne, che implicano la rinuncia ai diritti contro il mantenimento, a condizioni peggiori di prima, del posto di lavoro.
2) Un mercato del lavoro precario, dominato dai nuovi contratti stabiliti in violazione dei principi costituzionali ed aggirando lo stesso Statuto dei Lavoratori, ancora in vigore, che oggi si vuole “riformare” in fretta e furia e ridurre ad uno statuto dei lavori. La spersonalizzazione – dovuta all’uso dell’espressione lavori, anziché quella di Lavoratori – non è casuale, ma sancisce la separazione della persona, come centro di diritti inalienabili non soggetti al mercato, dal servizio lavorativo del quale è portatrice, che si intende assoggettare interamente alle leggi di mercato. Si diffonde la forma di alienazione contemporanea che ho definito in altre sedi “Neoschiavismo precario”.
3) Un vasto mercato nero del lavoro, in cui non vale alcuna garanzia ed in cui si realizza un ulteriore e maggiore risparmio in termini di “costo della produzione” identificato con quello del lavoro. Questo mercato è alimentato, in parte significativa, dal lavoro migrante, clandestino e non clandestino, e rappresenta un terreno fertile per l’economia capitalistica mafiosa, formalmente criminale, nonché per gli imprenditori senza scrupoli, posto che esistono veramente, in numero non insignificante, imprenditori “etici”, non privi di coscienza. Qui sono osservabili forme di alienazione antiche, o forme contemporanee a loro molto simili, che riportano allo “Schiavismo classico precapitalistico”.
Infine, la massima ipocrisia si raggiunge separando i profughi di guerra, per i quali l’accoglienza è un atto dovuto [seppure a malincuore, come ho scritto in precedenza] da quelli che scappano per ragioni economiche, ampiamente e strumentalmente identificati con i clandestini, i quali commettono reato per il semplice motivo che non hanno, o non hanno più, i documenti.
Per quanto mi riguarda, i profughi sono tutti, indistintamente profughi di guerra, persone che fuggono da un conflitto nella speranza di approdare in terre pacifiche o pacificate, fidando che queste possano garantirgli i mezzi di sostentamento in cambio dell’unica cosa che hanno da offrire: il loro lavoro.
La lotta di classe non è mai stata feroce come in questi anni, scavando crateri –seppure invisibili – più profondi di quelli che producono le bombe, anche se i media, i giornalisti, gli intellettuali e molti accademici la negano, come se ormai fosse storicamente, socialmente e culturalmente superata.
La lotta di classe, per piegare le resistenze dei subordinati e dei popoli ribelli, la conducono oggi i membri della classe globale [ e li chiamino pure oligarchi, élite, dominanti: la sostanza non cambia] con ogni mezzo, dalla guerra finanziaria a quella commerciale, dalla guerra energetica a quella tradizionale, che si fa ancora con bombardamenti e che provoca distruzioni di strutture, morti e feriti.
Che differenza c’è fra un bombardamento “umanitario”, mirato alle sole strutture militari, politiche e produttive, condotto con precisione chirurgica e l’uso di bombe intelligenti, come ad esempio quello dei “volenterosi” prima e della NATO dopo in Libia, ed un bombardamento finanziario, dell’intensità di quello che ha colpito molti paesi, fra i quali l’Italia, provocando la prima crisi economica globale del 2007/ 2008?
Certo, nel primo caso e nell’immediato vi possono essere morti e feriti, ma in ambedue i casi l’azione ostile e classista dei dominanti provoca inevitabilmente ondate di profughi, che cercano riparo ed accoglienza in aree del mondo credute sicure e pacifiche, confidando in un’altrui umanità non sempre provata.
Se gli africani arrivano in Italia, speranzosi di restarvi o più spesso di raggiungere la Francia, la Germania, il nord dell’Europa, gli italiani colpiti da impoverimento e de-emancipazione, in maggioranza giovani e acculturati, tentano sempre più spesso la fortuna all’estero, e sperano, in molti casi inconsciamente, che la guerra elitista non li raggiunga, un giorno, anche là …
Non esistono profughi economici, quindi, ma tutti i profughi, tutti i migranti per forza maggiore devono essere considerati profughi di guerra, perché il conflitto scatenato dagli elitisti è generale, multiforme, senza esclusione di colpi e senza tregue, così capillare che arriva ovunque, tanto che nel mondo vi saranno sempre meno luoghi sicuri, in cui fuggire.
Ben scritto Eugenio!