Intervento di Ennio Abate alla presentazione di «Calpestare l’oblio» allo Spazio Tadini
apr 7th, 2011 | Di Redazione | Categoria: Cultura e societàPubblichiamo con piacere questo notevole intervento di Ennio Abate alla presentazione di «Calpestare l’oblio» allo SPAZIO TADINI di Milano – in Via Jommelli 24 -, organizzato da Adam Vaccaro di MILANOCOSA. Si è trattato di un incontro per discutere di “Calpestare l’oblio”, un’antologia – così recita l’annuncio pubblicato sulla stampa nazionale – di “Cento poeti italiani contro la minaccia incostituzionale, per la resistenza della memoria repubblicana”, curata da Valerio Cuccaroni, Davide Nota e Fabio Orecchini. L’incontro si è tenuto il 5 aprile scorso.
Gentili autori e organizzatori di CALPESTARE L’OBLIO,
sono del ’41. Da vecchio, dunque, scrittore quasi clandestino e militante in proprio fuori da qualsiasi partito, ragionando sulla base della storia del Novecento e di quella italiana del dopoguerra (in particolare degli anni Settanta), mi permetto di porvi due domande:
- quale oblio ha da essere oggi calpestato?
- lo si può calpestare solo in poesia, soltanto con la poesia?
Vi anticipo, in attesa di vostre risposte, le mie:
- in questo Paese l’oblio non è caduto soltanto o soprattutto sulla Resistenza e la Costituzione, come sostenete nell’introduzione del libro e in vari testi antologizzati, ma sulla lezione profonda di Marx e sulla storia del comunismo novecentesco – terribile sì, ma non cancellabile o surrogabile dall’apologia, quasi sempre in piatto “americanese”, della democrazia;
- ad obliare non sono stati solo i poeti o i leader politici e intellettuali viventi (della sinistra in primis), ma anche quella parte della popolazione che una volta poteva ancora a buon diritto essere chiamata ‘popolo’ o ‘di sinistra’;
- se l’oblio è tanto diffuso e generale, non si può semplicemente “calpestarlo”, ma si dovrà capirne tutti insieme (e non solo i poeti) le ragioni e intervenire – se possibile – sulle cause che l’hanno prodotto: non può esserci nuova “poesia civile” se, come a me sembra, è venuta meno ogni forma di polis e, quindi, sono venuti meno quegli attori sociali una volta – oggi non più – indicati coi nomi di ‘citoyens’, ‘popolo’ o ‘società civile.
Pur riconoscendovi, dunque, il merito – non trascurabile in un periodo di coma della cultura – di aver raccolto il grido di dolore di tanti poeti (da Roversi ai giovani esordienti) e costruito un libro – dico io – di “quasi poesia civile”, non vi nascondo la mia disapprovazione per l’operazione di mero assemblaggio. Non posso qui argomentare a fondo il mio severo giudizio. Mi limito ad alcuni accenni:
1. Riunendo (non so se una tantum o in modo più continuativo) voci disparate attorno a un discorso di vago antiberlusconismo, individuando un ostacolo indefinito, che voi chiamate «ideologia della separazione, anche culturale», agitando l’ideale di una mai esistita «officina culturale italiana, fatta di continuo scambio tra libero giornalismo, libero movimento intellettuale e artistico, libero mondo dello studio, della ricerca, dell’università», siete stati e sarete coccolati e applauditi. Oggi essere confusamente antiberlusconiani, plurali o pluralistici, anti-ideologici è quasi d’obbligo. Questi i login giusti per accedere ai giornali “di sinistra”. Questo l’unico dissenso che i sacerdoti della nostra disfatta Cultura tollerano e, dunque, concedono.
2. Come non vedere, però, nella vostra scelta la rinuncia a pensare quali debbano essere le condizioni per la nascita di una vera, non ornamentale e tutta da ridefinire “poesia civile”?
Io la vedo. Altri – anziani quanto o più di me – tacciono in nome del “largo ai giovani”. Eppure sanno che la poesia (o una possibile “poesia civile”) non si fonda su ragioni contingenti né può limitarsi a dire un NO, del resto più moralistico che politico, unicamente al personaggio-mostro-maschera, che in Italia porta il nome del signor B.
3. I veri nemici o i falsi amici della poesia (o di una possibile “poesia civile”) non sono mai solo i “nemici della cultura”, non sono mai solo televisivi e soltanto “mostri”. Gestiscono affabili e seri, da destra e da sinistra, al livello locale e globale, un sistema che opprime milioni di persone. Li individuereste, se nel vostro lessico quotidiano (e, perché no, nei ragionamenti e poi nei versi) agissero parole-concetti per dire la realtà: come ‘capitale’, ‘capitalismo’, ‘rapporti sociali capitalistici’, non a caso termini epurati anche dal lessico dell’attuale sinistra che vi ha sponsorizzati.
4. Ignorando o rinunciando invece agli interrogativi più ardui, le vostre poesie oscillano per lo più – questa l’impressione ricevuta leggendole – e oscilleranno tra un intimismo dell’io apolitico e una retorica indignazione mutuata dall’antifascismo di nonni e padri resistenziali, purtroppo diventato mito inerte e scheletro nell’armadio della cultura italiana, come già denunciò nel lontano 1965 Franco Fortini in «Verifica dei poteri».
5. Con tale mito in testa è fin troppo agevole – come si può vedere – scorgere reincarnazioni di fascismo e di Hitler, dove c’è forse tutt’altro. Un “tutt’altro” su cui dovremmo interrogarci seriamente, senza paraocchi. E che invece gli USA, l’Occidente e l’attuale cultura italiana non vogliono vedere né permetterci di vedere, preferendo seppellirlo in anticipo sotto le bombe “umanitarie” della “democrazia”.
Con tale mito in testa e l’avallo dei grandi nomi della cultura e della politica – ieri di Norberto Bobbio, oggi addirittura del presidente della repubblica Napolitano – non si ripara lo sfascio dell’Italia, ma lo si prolunga, condannandola a partecipare – in subordine e paradossalmente in nome di una Costituzione che ripudia la guerra – a guerre non chiamate più con questo nome: dalla prima del Golfo del 1991, a quella per spartirsi la Jugoslavia e ora all’ultima in corso in Libia.
6. Date tali premesse – esplicite o implicite – del vostro calpestare l’oblio, nessuno dei vostri versi, nessun bello slogan (come quello che dà il titolo alla vostra antologia), nessun «osservatorio sulla questione culturale, scolastica, artistica, giornalistica», pur da voi auspicato, vi permetterà di osservare, fosse pure dalla condizione di testimoni secondari (Cesare Cases), l’orrore del presente – questo, sì, ideologizzato, spettacolarizzato e obliato, ancor più di quello del passato. Per responsabilità – ripeto – non solo delle élite culturali e politiche, ma dei milioni di io/noi atomizzati dalle nuova divisione mondiale del lavoro e che si spappolano ulteriormente tutte le sere davanti alle TV.
Concludo. Vi ho detto qual è per me l’oblio (di oggi e di ieri) da combattere, per riempire di nuovi significati e non di belle parole il vuoto lasciato dal Conflitto Sconfitto. Quelli che hanno tuttora qualche suo ricordo, ripartano almeno da alcune delle «nostre verità», come le chiamò Fortini. Gli altri si cerchino altri padri, diversi da quelli democratici. Recuperino o imparino ad ascoltare voci chiaramente anticapitaliste e anticolonialiste. Ad esempio, rileggano o leggano per la prima volta, l’intervento di un B. Brecht al Congresso internazionale degli scrittori del 1935.
Il poeta tedesco, distanziandosi da un antifascismo anche allora miope sulle questioni essenziali e preoccupato soltanto della “difesa della cultura”, scriveva: «Si abbia pietà della cultura ma prima di tutto si abbia pietà degli uomini! La cultura è salva quando gli uomini sono salvi. […] Compagni, pensiamo alla radice del male!».
Ecco, in questi giorni che stanno sconvolgendo il Maghreb e la Libia, l’invito è a interrogarsi, fosse pure balbettando, sulla «radice del male».
Tentiamo di nominare ciò che oggi manca: a noi poeti, a quelli che vivono in Italia e a quanti – schiuma di storie a noi sconosciute - arrivano fino a Lampedusa.
Ennio Abate
Redazione di POLISCRITTURE (www.poliscritture.it )
Condivido tutto: una rinascita della poesia non può prescindere dal risveglio della coscienza civile. Se oggi non esistono più grandi poeti, né grandi intellettuali, né grandi cantautori (per “grandi” intendo visibili alla gente, capaci di influenzare nella direzione giusta il pensiero comune), è per motivi strutturali, non certo risolvibili con un vago incitamento al rinnovamento. Voglio dire, di cosa vogliamo cantare se non ci sono più grandi ideali di trasformazione della società, se si dà per morta ogni speranza di razionalizzazione della società, ogni possibilità di definire un “bene comune”, se il massimo della protesta è una richiesta di legalità e di generici “diritti umani”?
Per fare un esempio, in base a quello che è il pensiero di sinistra diffuso oggi (e per sinistra non intendo solo Pd, ma anche e soprattutto quella radicale), invece delle tante voci, più o meno ingenue, contro la guerra in Vietnam, avremmo un bell’inno al vento di “libertà” e “democrazia” portato da Obama. Insomma, per dirla in termini spicci, è normale che la poesia civile sia passata in secondo piano, visto che gli intellettuali stessi sono convinti che questo sia il migliore dei mondi possibili.
La “poesia” e la “cultura” di cui si auspica il ritorno al centro dell’attenzione, non essendo legate alla consapevolezza del vero male di fondo, non avendo saputo adattare la lezione di Marx ai cambiamenti storici, non possono che sfociare in autocompiacimento ed esaltazione della raffinatezza della tecnica, o, nei casi migliori, nell’intimismo e nell’esistenzialismo (che può diventare nichilismo o filosofia dei piaceri frugali e fuggenti), ma mai potranno assurgere a “poesia civile”. E quelle opere che si ammantano di critica sociale, senza un’analisi coerente e storicizzata del capitalismo, non andranno mai oltre la denuncia del singolo misfatto o della singola situazione drammatica, e per questo un film sulle atrocità commesse dalla CIA, ad esempio, verrà sempre messo sullo stesso piano di uno sulle limitazioni della libertà individuale in Iran, entrambi considerati come crimini contro uomini. Il che sarà pur vero, ma osservando ogni fatto singolarmente non si riesce a distinguere l’agenzia segreta del paese che di fatto domina il mondo dal governo di un paese accerchiato dall’imperialismo.
E’ inoltre emblematico il fatto che la critica viene fatta solamente alla cultura italiana, come se appunto un \mostro\ avesse ottenebrato il nostro paese (identificato in Berlusconi, ma da molti ormai allargato a tutta la classe politica), mentre all’estero ci fosse un’attività intellettuale fiorente, una \poesia civile\ capace di dare un’interpretazione alla società attuale e quindi di farsi carico della responsabilità di guida del popolo; invece gli intellettuali stranieri, come si è visto nel caso dell’aggressione alla Libia o anche nella campagna mediatica anti-iraniana, sono i primi a cadere nella logica ipocrita dei diritti umani e dell’esportazione della democrazia, e quindi a diventare la principale fonte di propaganda dell’imperialismo americano (altro che guida del popolo!).
Voglio dire che contestare la decadenza della cultura italiana in contrapposizione al fiorire di quella straniera (lo stesso discorso vale per l’istruzione e la ricerca – e taglio subito perché mi dilungherei troppo), è sintomo della limitatezza e insufficienza di questo tipo di iniziative, che scorgono sì una mancanza ma non sanno ricondurla alla causa originaria: non sanno cioè riconoscere il vero oblio, quello che è alla radice del disorientamento culturale e ideologico della classe intellettuale e di conseguenza della maggioranza della popolazione occidentale (come si spiega benissimo in quest’articolo).
P.S.: dove posso trovare il discorso di Brecht?
Per confronto, ecco questo fantastico intervento di Vendola a sostegno dell’iniziativa \Calpestare l’oblio\ (per chi riuscisse ad arrivare oltre i trenta secondi): http://www.youtube.com/watch?v=nDaVg6FChb8
Condivido assolutamente l’articolo e il commento seguente. Il discorso tra l’altro vale per intero la cosiddetta cultura e non soltanto la poesia. L’arte, la cultura, la letteratura, quella che una volta veniva definita “sovrastruttura” (e che io non considero tale in maniera così deterministica, ma questo è un discorso da affrontare in un altro articolo) doveva esprimere una visione del mondo, essere dei “partigiani” come bene scrisse Lukacs, oppure rappresentare la realtà per come era. Per questo scrittori come Balzac o il nostro Verga, pur essendo politicamente reazionari, espressero nelle loro opere una visione “rivoluzionaria”. Perché questo non succede più? Perché la cultura borghese, da non confondere con la classe borghese, non riesce più ad esprimere una visione alternativa all’esistente? Colpa soltanto di Berlusconi e delle sue televisioni? Non credo perché, come bene scrive Gianmarco, la questione è la stessa anche all’estero. La colpa, è questo quello che credo, da una parte della cosiddetta sinistra che, al di là delle apparenze, ha smesso di occuparsi di cultura. Perché cultura non è certo organizzare questo o quel festival del cinema o premio letterario per favorire l’assessore di un paese misconosciuto. Dall’altra parte vi è,oggi, però anche la fine di uno “spirito civile” (presente in Italia soprattutto durante il dopoguerra) che permetteva di unire impegno culturale e politico. Senza impegno politico e civile la cultura non ha ragione di esistere e dunque non esiste più come movimento collettivo e comunitario, salvo la presenza di pochi intellettuali e artisti di valore che però rimane un attività isolata ed individuale senza la presenza di un movimento unitario e collettivo.
L’intervento di Brecht non si trova su Internet o, perlomeno, è nascosto nei meandri nascosti di Google.
Se l’argomento ti interessa ti consiglio di leggere questo, pubblicato proprio sul sito di Ennio: http://www.ospiteingrato.org/Sezioni/Scrittura_Lettura/Brecht_Fortini.html
Molto bello questo intervento,in effetti di oblii ce ne sono stati diversi nelle fila di chi si era preso l’arduo compito di cambiare davvero l’ordine delle realta’ esistenti.Secondo me il primo oblio da calpestare e’ la rimozione dell’analisi scientifica di Marx e Lenin sulla reata’ della nostra societa’,si possono apportare miglioramenti e attualizzazioni ma non si puo’ prescindere dalla scientificita’ del marxismo, pena pagare questo oblio con giudizi politici distorti sulla natura dello stato,sulla guerra ,sulla esaltazione della democrazia parlamentare.Assistiamo oggi alla grottesca realta’ di forze che si professavano eredi della trdizione comunista e con successivi salti e piroette oggi sono i paladini,ad uso di interessi elettorali,di uno dei pilastri dello stato borghese,ovvero la magistratura,di cui sui giornali della sinistra liberale si parla come una volta si parlava della classe operaia.Tanto per fare un esmpio di come si puo andare a finire se non si ha la bussola marxista,si finisce cioe’ a rimorchio dell’imperialismo e del nemico di classe
Mirco Panizzi
@ Gianmarco
Il testo di Brecht si legge nella copia in mio possesso di VERIFICA DEI POTERI di Franco Fortini edita da Il Saggiatore, Milano 1965 alle pagg. 172-176.
Credo che tale libro sia stato ristampato varie volte, ma non so se in anni recenti quando Fortini è “passato di moda”.
Se ci fossero difficoltà nel reperirlo, posso scannerizzare le pagine e inviarle alla redazione di questo sito.
No Ennio,
purtroppo non è più disponibile, almeno nelle librerie online.
Ti ringrazio anticipatamente se ce lo inviassi.
Rodolfo