Rendita e conflitto
mar 28th, 2011 | Di Eugenio Orso | Categoria: ContributiGuerra di Libia con tutti i rischi annessi e connessi, credit crunch bancario, indici capitalistici che languono, a partire dal PIL, aumenti continui dei prezzi e delle tariffe, impoverimento generale del paese e vistosa incapacità della politica di intervenire positivamente non sono questioni separate che affliggono l’Italia, e non soltanto l’Italia, l’una indipendente dall’altra.
Non si tratta di eventi negativi che si sono concentrati tutti in questi ultimi anni per avversa sorte, per un puro caso che non ci ha di certo favoriti potendo la storia prendere una direzione completamente diversa, e meno distruttiva, ma si tratta, viste le premesse e l’affermazione del neoliberismo globalista “mutante”, di effetti inevitabili e trasformativi dovuti alla prevalenza ed alla diffusione di un nuovo modo di produzione sociale: il Nuovo Capitalismo del terzo millennio.
Lo stesso attacco occidentale alla Libia, che mette in pericolo l’Italia non soltanto dal punto di vista della continuazione della partnership con Tripoli e degli indispensabili rifornimenti energetici, e la nube tossica giapponese arrivata anche sulle nostre teste, sono i frutti avvelenati del dispiegarsi delle logiche del capitalismo contemporaneo.
E’ in queste logiche che si inserisce, a pieno titolo, il discorso della Rendita elitistica, di cui beneficia la nuova classe dominante globale, parallelamente al discorso del conflitto fra l’ampia base della piramide sociale che subisce il potere ed un vertice numericamente inconsistente, che lo esprime.
Sappiamo che è un discorso antico, potendo dispiegarsi storicamente dalla rendita feudale alla rendita capitalistica di Marx ed oltre, ma è oggi che la questione ridiventa cruciale, e si complica, perché il modo di produzione che si sta affermando comporta, per certi versi, il ritorno in grande stile della rendita, od anche il ritorno della rendita al potere.
In generale ed in sintesi, si possono individuare tre forme, o tre “figure” specifiche, che la rendita capitalistico-elitista assume nel nostro presente:
1) Rendita Fondiaria.
Il suolo e gli ecosistemi, le risorse non rinnovabili, fra le quali quelle energetiche, e la stessa acqua sono oggetto della rendita fondiaria, espressione della “grande proprietà privata” che si sta spartendo il pianeta in reciproca rivalità, dal sottosuolo ai cinque strati dell’atmosfera terrestre.
Lo stesso Marx ha dedicato molte pagine alla rendita nel Libro Terzo de Il Capitale, trattando della rendita fondiaria, capitalistica e non feudale, della quale ha riconosciuto l’importanza, nella tripartizione del reddito fra il profitto, il salario e, appunto, la rendita.
Ma la vecchia rendita fondiario-capitalistica dei tempi di Marx, derivata dall’esproprio delle terre comuni, delle piccole proprietà ed in parte minore delle proprietà feudali nell’epoca dell’accumulazione originaria, è qualitativamente diversa dalla rendita di cui si tratta in questa sede, almeno quanto il capitalismo dell’epoca è profondamente diverso da questo.
Monopolio e scarsità della terra non sono oggi i soli effetti dell’imposizione della rendita capitalistico-fondiaria, poiché l’intero pianeta e pressoché tutti gli ecosistemi, gli elementi fondamentali per lo sviluppo della vita tendono ad essere coinvolti nella sua produzione.
Volendo esemplificare senza troppo approfondire, per ragioni di spazio, rendita fondiaria è quella degli Al Saud che controllano il suolo, nella penisola arabica, per controllare i preziosi giacimenti di greggio, e rendita fondiaria è quella che si assicurano i cinesi attraverso la “compra” in Africa – Madagascar, e probabile distruzione del suo originale ecosistema, Sudan, eccetera – interessati ad espropriare il suolo poiché interessati a materie prime ed acqua.
Dal canto loro le elite globaliste cinesi, pur avendo mandato al macero il maoismo ed obliato in fretta ogni velleità socialistico-comunista, hanno mantenuto la proprietà pubblica del suolo per mettersi al riparo, nei loro stessi feudi di origine, da sgradite sorprese.
La rendita fondiaria del capitalismo contemporaneo sfrutta in modo diretto Gaia, in ogni suo aspetto, ed assume il significato di esproprio capitalistico integrale dell’ambiente e degli stessi elementi fondamentali per la vita, umana e non umana, sulla terra, ben oltre i limiti della “vecchia” rendita di Marx, di Ricardo, di Smith.
Oltre al petrolio e al gas naturale, che alimentano le produzioni di tutto il sistema, acquistano centralità il cibo e l’acqua, appropriati con il duplice scopo di alimentare la rendita e di controllare le popolazioni.
La particolare gravità di questi aspetti non può sfuggire, poiché sono cruciali per le nostre stesse possibilità di sopravvivenza in quanto specie, ed infatti la cosa non è sfuggita a Serge Latouche, il quale nella recente opera Pour sortir de la società de consummation scrive della “catastrofe produttivista”, sostenendo che se si assume il criterio geometrico si nota come il modo di vita dell’uomo – indotto dal capitalismo, è bene aggiungere – comporta il degrado del suo stesso ecosistema secondo curve esponenziali, una cosa ovvia e provata dall’estendersi dell’effetto serra, dalla progressiva scomparsa delle fonti di energia fossili, dagli avvelenamenti ambientali e dalla scomparsa quotidiana di decine di specie viventi.
Se le battaglie per l’acqua pubblica, o comunque non controllata e mercificata dai “privati”, sono già in corso nel mondo, anche la stessa aria, dove ancora è pulita e respirabile, potrà rientrare negli appetiti elitistici ed essere fonte di rendita.
La rendita fondiaria così intesa non è certo estranea all’intervento militare occidentale nella crisi libica – al di là delle conclamate ragioni umanitarie e di tutte le giustificazioni ufficiali – in una regione dell’Africa, quella mediterranea e settentrionale, non ancora investita dagli interessi e dal colonialismo cinese, ma contesa fra gli occidentali, con la Francia interventista e protettrice degli insorti che sogna di espellere le aziende italiane dalla Libia, sostituendo gli italiani nella stipula di contratti, mettendo le mani sulle risorse energetiche del paese e guidando il business della ricostruzione/ modernizzazione, dalle ferrovie alle raffinerie.
Nell’attuale “clima” di dismisura capitalistica [secondo un’espressione dal vago sapore latoucheano], in cui la globalizzazione neoliberista ha fatto saltare tutti i freni inibitori che in passato ancora agivano, l’ambiente naturale diventa una semplice risorsa a disposizione senza limitazioni di sorta, esattamente come il “capitale umano”, salvo poi scoprire la sostanziale ingestibilità dell’atomo, com’è accaduto in Giappone con la centrale di Fukushima, o gli effetti concreti della progressiva scomparsa delle foreste e del degrado del suolo.
La nuova rendita fondiaria drammatizza innanzitutto la questione ecologico-ambientale.
2) Rendita Finanziaria.
Finanziarizzazione, autonomizzazione e prevalenza della sfera finanziaria su quella produttiva sono indubbiamente caratteristiche del Nuovo Capitalismo del terzo millennio.
La finanza nasce come astrazione esterna alla produzione ed è un’autentica “arma” nelle mani dei nuovi dominanti per intercettare ed appropriare il prodotto sociale.
In tal senso, pur non condividendo la visione biopolitico-moltitudinaria negriana, si deve ammettere che Toni Negri focalizzi abbastanza correttamente [anche se non del tutto] questo specifico punto in Comune, l’ultimo libro della trilogia dedicata ad impero e moltitudini.
Se la rendita finanziaria, a differenza del profitto, non nasce all’interno dei processi produttivi ma rappresenta un modo esterno di estrarre ricchezza ed è frutto di un’astrazione, non si può però affermare che le strategie finanziarie non hanno alcun riflesso diretto sulle reti produttive, sovrastandole e intercettando la ricchezza prodotta esclusivamente in uscita, come afferma Negri, perché le ragioni sovrane della rendita finanziaria e della sua moltiplicazione incidono sugli stessi processi di produzione, frammentano, ristrutturano e delocalizzano le unità produttive, incidono sulle decisioni manageriali imponendo alti tassi dei profitti nel breve, e quindi orientano la produzione e le strategie produttive di beni e servizi.
Si ristruttura, si frammenta, si delocalizza o si rilocalizza per rendere fin dall’inizio “appetibile”, da un punto di vista della creazione del valore finanziario, gli stabilimenti, potendoli vendere nel breve, dopo la ristrutturazione, incrementando così le quotazioni di borsa, ottenendo dividendi ma soprattutto capital gains, e giocando con le molte possibilità offerte da una finanza derivata fin troppo “creativa”.
Marchionne non è un manager industriale al vertice di un grande gruppo automobilistico, che si occupa unicamente della produzione concreta di automobili, della commercializzazione del prodotto, dei rapporti conflittuali con le maestranze italiane o di altri paesi, ma è un emissario della classe globale al servizio dei percettori della rendita finanziaria, ed è proprio in base alle sue capacità di contribuire alla produzione [non di automobili ma] di questa rendita che rimane dove si trova ed è principescamente remunerato.
I “top manager” come Marchionne, nella realtà, hanno poco a che vedere con i vecchi capitani d’industria e i vecchi manager, con gli Henry Ford, i Beneduce ed i Valletta, essendo partner a tutti gli effetti dei percettori della rendita finanziaria ed impostando, in relazione all’industria, fin dall’inizio strategie e tattiche che hanno diretti riflessi nel mondo della finanza e della borsa, in quanto il suo vero target è finanziario e non produttivo.
Cosa ancor più grave, questo discorso non riguarda soltanto la produzione di macchine, o di apparecchiature elettroniche, ma direttamente la produzione di cibo e quella di energia.
Che in tale caso può valere il motto “intercettare in uscita per espropriare” la ricchezza è fuor di dubbio, ma l’invasività della rendita finanziaria, così come si può osservare oggi, è tale da incidere direttamente su processi, prodotti, stabilimenti, ubicazione degli impianti, tecnologie applicate, decisioni manageriali, spremendo come limoni in uno spremiagrumi, per creare valore finanziario, azionario e borsistico, le fabbriche e tutti coloro che ci lavorano.
Chi beneficia della rendita finanziaria non si comporta come il signore medioevale, o l’ecclesiastico, che generalmente non entravano nel merito delle produzioni agricole, affidandole interamente alle comunità di villaggio, ai servi, ai semiliberi ed ai subordinati, ma purtroppo entra nel merito della produzione, della sua organizzazione, delle stesse dimensioni dell’occupazione, perché è da lì che parte che parte la creazione finanziaria del valore.
Warren Buffet, globalista spietato, ma abbastanza loquace e qualche volta senza peli sulla lingua, ha definito i prodotti finanziari derivati, per la centralità che hanno acquisito nell’alimentare la nuova rendita finanziaria capitalistica, armi di distruzione di massa.
Non è un caso se è proprio l’uso “spregiudicato” di questi prodotti che ha dato una grossa mano nell’innesco della recente crisi globale, nelle previsioni più sensate destinata a durare, con fasi alterne, almeno una decina d’anni.
Queste armi finanziare di distruzione di massa, o di “annientamento di area”, come sta accadendo in vaste aree del mondo non esclusa parte dell’Europa, hanno raggiunto una dimensione quantitativa pre-crisi pari a circa dieci o dodici volte la produzione, misurata dal PIL mondiale, ed alla prova dei fatti sono state giudicate più efficaci e “paganti”, dal punto di vista elitistico-globalista, del tradizionale strumento bellico, che non per questo è stato, però, archiviato, come dimostrano i casi dell’Afghanistan e dell’Iraq.
L’espressione “paganti” è virgolettata nel testo, non semplicemente per fare un po’ d’ironia, ma perché le masse di derivati – giustamente definite tossiche, da alcuni analisti e giornalisti – hanno consentito di incamerare nel breve e nel brevissimo laute commissioni, di moltiplicare i guadagni esponenzialmente scaricando il rischio su altri, ma anche di vincere le resistenze all’esproprio capitalistico che avviene attraverso la finanza, al di là della pura accumulazione di ricchezza.
L’aspetto della rendita finanziaria è sembrato a molti determinante, se non l’unico, in seguito alla prima crisi globale del [2007/]2008, ma nella realtà e al di là delle contingenze si tratta di una via importante, cruciale per la riproducibilità capitalistica, non però l’unica strada praticata per consentire ai dominanti di mettere le mani sul prodotto del lavoro sociale.
La creazione del valore finanziaria, azionaria e borsistica subordina la stessa estorsione marxiana del plusvalore, inglobandola nelle sue logiche, e costituisce un pilastro strutturale del Nuovo Capitalismo.
Si drammatizza , per questa via, la questione sociale e del lavoro.
3) Rendita monetaria.
Ultima in ordine di elencazione, ma non ultima per importanza è la rendita monetaria, che si collega ai controversi temi del signoraggio monetario, praticato dalle élite attraverso le banche centrali d’emissione private, e del signoraggio bancario, o secondario, che prevede la creazione di moneta contabile da parte del sistema bancario.
Volgendo lo sguardo al passato, nel Libro Terzo de Il Capitale riguardante il processo produttivo capitalistico, Marx ha indagato l’epoca precapitalistica ed ha concluso che accanto al capitale commerciale esistesse in tutte le formazioni sociali pregresse il capitale usurario, cioè produttivo di interessi, la cui presenza non richiede se non che la trasformazione dei beni in merci sia avvenuta almeno parzialmente e che si siano sviluppate le funzioni del denaro.
Sia il capitale usurario di Marx sia il fenomeno del signoraggio, nel suo duplice aspetto monetario e bancario, implicano l’esistenza e la diffusione del denaro, nonché quella del credito, e di conseguenza dell’indebitamento diffuso, oltre l’originaria dimensione degli scambi rappresentata dal baratto.
Per quanto riguarda il fenomeno del signoraggio in tutte le sue sfaccettature, l’opera italiana più completa è Euroschiavi di Marco Della Luna e Antonio Miclavez, in cui gli autori sostengono che attraverso la vendita di moneta avente corso legale agli stati, e attraverso la moneta creata “dal nulla” dal sistema bancario, i Nuovi Signori ottengono un doppio risultato: sostengono costi bassissimi e nel contempo intascano lucrosi interessi, alimentando il debito pubblico, moltiplicando il credito concesso rispetto ai depositi incamerati e creando nuovo valore per se stessi.
Emettendo cartamoneta, la banca centrale d’emissione, riceve in cambio dallo titoli di stato che producono interesse e costiuiscono, per l’istituto di emissione, una posta dell’attivo patrimoniale, mentre, nella realtà, la moneta emessa non costituisce una vera posta del passivo di bilancio, anche se in questo formalmente appare, poiché non vi è più l’obbligo di convertire in oro, su richiesta del portatore, le banconote.
L’escamotage della vendita di denaro allo stato, da parte di una banca centrale privata, la conseguente sottrazione di sovranità monetaria, gli accorgimenti contabili adottati, nascondono un grande esproprio di risorse, a danno dei popoli e delle nazioni, destinato a finire in mani elitiste, nella sapiente triangolazione fra i bilanci falsi per legge [secondo Della Luna e Miclavez], la compensazione finanziaria ed interbancaria consentita dal sistema di clearing e l’intangibilità dei “paradisi fiscali” esistenti nel mondo.
L’unico costo che sostiene la banca emittente, per altro limitato, è quello relativo alla stampa di cartamoneta, mentre incamera gli interessi e beneficia dei titoli di stato, che potrà cedere a terzi o dei quali potrà attendere il rimborso del valore capitale.
Essendo gli istituti d’emissione occidentali delle entità private legate ad un sistema bancario anche lui privato, a partire dal gruppo della Federal Riserve americana fino ad arrivare alla Banca Centrale Europea, partecipata dalle banche centrali private dei paesi membri, è chiaro chi beneficia dell’operazione di emissione della moneta.
Per quanto riguarda il signoraggio secondario, non legato all’emissione della moneta avente corso legale, ma espresso dall’intero sistema bancario, è bene precisare che si fonda non sulla moneta ma sul credito, poiché le banche sono in grado di concedere crediti, e di incassare i relativi interessi, nella misura di circa cinquanta contro uno rispetto ai depositi incamerati [50 unità monetarie di crediti contro ciascuna unità di deposito], tenendo conto che la riserva frazionaria è una percentuale molto piccola dei depositi.
Questa forma di signoraggio, che passa attraverso gli sportelli e le scritture contabili di tutte le banche del sistema, genera i nove decimi dei mezzi di pagamento in circolazione.
Lo scenario, già di per sé preoccupante, diventa ancora più cupo con la diffusione del denaro in forma elettronica, in sostituzione del denaro “vero”, rappresentato da banconote e monete.
La diffusione del denaro elettronico, voluta dai decisori, rimpiazzando progressivamente i contanti nelle transazioni quotidiane e prevalendo, quindi, sul denaro “vero”, ha la funzione di consentire un più capillare controllo del credito ed un controllo politico-sociale sulla popolazione, fino ad arrivare al monitoraggio delle abitudini di spesa e di consumo, degli spostamenti fisici e delle stesse preferenze politiche del singolo.
Il principale merito di Della Luna e Miclavez sta nell’aver analizzato, spiegato e cercato di denunciare questa grande truffa, che oggi sta avendo effetti drammatici fin nel quotidiano di ciascuno di noi.
L’effetto moltiplicatore insito nell’imposizione e nell’estensione della rendita monetaria e del signoraggio, monetario e bancario, che provoca l’estensione del debito degli stati e dei privati, rendendoli ricattabili e ponendoli in posizione di subordinazione, dovrebbe essere ormai evidente per chiunque, ed in Europa lo è sicuramente dopo l’esperienza del caso greco, alla cui base ci sono proprio il debito pubblico e l’euro.
La moneta – quale che sia la forma che può assumere: metallica, cartacea o elettronica – deve perciò essere vista, per coglierne la vera funzione e l’importanza, quale strumento irrinunciabile di dominazione capitalistica e di esproprio dei subordinati.
Volendo essere estremi, ma non troppo, si tratta di una riproposizione su vasta scala, in forme sofisticate e “non visibili”, della schiavitù per debiti che ha caratterizzato il mondo antico e la sua economia a base schiavista.
Nel nostro caso, schiavi diventano gli stati, i popoli e le nazioni, senza neppure accorgersene.
E’ certo che la questione del signoraggio nasce prima dello stesso capitalismo, ma è nella nostra epoca che assume un peso rilevante, e diventa insopportabile per le comunità umane.
Si pone con forza la questione della sovranità popolare, politica e monetaria, e del ruolo dello stato.
Spesso si critica chi cerca di analizzare e di “dividere”, perché si afferma che ciò farebbe il gioco del potere, e favorirebbe il nascondimento dei dominanti, non consentendo di cogliere l’insieme, ossia la totalità sistemica.
Non è questo il caso, perché chi scrive è perfettamente cosciente che le tre forme assunte dalla rendita corrispondono ad altrettanti espropri che procedono parallelamente, assicurando maggiori risorse e maggior potere ai dominanti.
Questi espropri riguardano l’ambiente, il suolo, l’atmosfera e gli elementi fondali della vita [aspetto “fondiario”], la ricchezza socialmente prodotta [aspetto “finanziario”], l’autonomia e la sovranità degli stati [aspetto “monetario”], e devono essere visti in modo unitario, poiché sono il frutto dell’azione in qualche misura coordinata di un unico Nemico Principale, che può permettersi di “osservare dall’alto”, senza essere visto, sia l’ambiente, sia gli uomini, sia gli stati.
E’ bene iniziare a classificare ed analizzare gli espropri capitalistici in atto, in quanto gli ambienti accademici ufficiali tacciono, in proposito, mentre quelli mediatico-giornalistici utilizzano espressioni come Autorità Monetarie, Mercati, Investitori – nella diffusione capillare e istupidente di un’efficace neolingua sistemica – come se rappresentassero un nuovo “mistero della fede” postmedioevale e postmetafisico, e quindi qualcosa di intangibile e incontrollabile, evitando accuratamente di spiegare che cosa nella realtà si nasconde dietro queste parole.
Per questa via, al timore di Dio si sostituisce il timore nei confronti delle suddette entità, alle quali possiamo aggiungere tutti gli organi sopranazionali della mondializzazione economica, che sono altrettanti strumenti nelle mani dei veri decisori.
Evitare accuratamente le analisi utili alla comprensione della realtà politica, sociale ed ambientale, diffondere la neolingua e consentire il nascondimento del nemico principale non sono che altrettanti compiti prioritari, assegnati dalla classe globale del nostro tempo, agli accademici ed ai giornalisti.
Le tre rendite elitistiche fondamentali che interessano il nostro presente, nella forma fondiaria, in quella finanziaria e in quella monetaria, rappresentano non soltanto le fonti principali della ricchezza e del potere, ma altrettante “armi” utilizzate con spregiudicatezza dalla classe dominante globale, nel conflitto reciproco e nello stesso conflitto verticale con i subordinati, per espropriare il resto delle società umane riducendole in una condizione di assoluta impotenza e subalternità.
Controllare la moneta per controllare lo stato, neutralizzando il controllo di popolo e le forme autentiche di democrazia, controllare il capitale finanziario per intercettare il prodotto, influendo direttamente sulla sua stessa qualità e sulle sue dimensioni, controllare l’ambiente per controllare la stessa vita, in tutta la varietà delle sue forme, equivale a marciare separati per colpire uniti.
E quelli da colpire siamo tutti noi.