L’Italia in guerra contro la Libia, 100 anni dopo
mar 21st, 2011 | Di Piero Pagliani | Categoria: Politica Internazionaledi Piero Pagliani – (pubblicato anche su Megachip).
1. È forse il caso di discutere qualche punto sulla situazione che ruota attorno alla crisi libica.
Partiamo dal dato acquisito che l’operazione “Odissea all’Alba” non è un intervento umanitario, come ancora ripete il capo delle nostre forze armate, cioè il presidente Napolitano, refrain in cui gli ex comunisti sembrano addirittura più specializzati della destra (come questo intervento sia stato discusso in Consiglio di Sicurezza – e quindi il suo grado di legittimità – lo spiega bene Giulietto Chiesa all’inizio dell’intervista di Lilli Gruber a “Otto e Mezzo”).
Se non è chiaro che invece proprio di guerra si tratta e per giunta di guerra con caratteristiche mondiali perché è parte non di una crisi locale ma di una crisi sistemica, se questo non è ancora chiaro si prega di ripassare dal VIA senza ritirare le ventimila. Altrimenti proseguiamo.
2. Uno dei ruoli da chiarire è quello delle compagnie petrolifere.
Come già ai tempi dell’Iraq, il petrolio c’entra, ovviamente, ma non in modo immediato. In gioco c’è innanzitutto il controllo politico e militare delle fonti energetiche e solo dopo il loro sfruttamento diretto, che a sua volta può essere funzionale tanto al rialzo del prezzo del greggio tanto alla sua diminuzione in dipendenza della convenienza prima geostrategica, poi di mercato.
Il prezzo del petrolio è sempre stato intrecciato all’apertura e alla gestione delle crisi mediorientali, come hanno dimostrato in modo impressionante Shimshon Bichler e Jonathan Nitzan nel loro libro “The Global Political Economy of Israel” (Pluto Press, Londra, 2002). Come proseguimento di quanto detto da questi autori, incredibilmente del tutto ignorati in Italia, mi sento di affermare che con il conclamarsi della crisi sistemica questo “gioco” è stato avocato a sé dagli strateghi USA, sottraendolo in parte alle grandi compagnie petrolifere e in subordine alle industrie degli armamenti (la “Weapondollar-Petrodollar Coalition” descritta da Bichler e Nitzan).
Per quanto riguarda in specifico la Libia, è un fatto che le compagnie petrolifere francesi e inglesi (Total e BP) non vedano l’ora di prendere il posto di ENI nel cuore di un governo libico amico e compradore. Ma il loro desiderio è comunque subordinato ai piani USA, mi sembra ovvio. E i piani USA sono globali: non potrebbe essere altrimenti perché i governanti statunitensi, democratici o repubblicani che siano, hanno il compito di frenare e se possibile ribaltare la decadenza del loro “stato nazione continente” come centro imperiale mondiale, come Giulietto Chiesa ha cercato di spiegare nell’ultima parte dell’intervista citata, ai suoi interlocutori. E le politiche globali statunitensi hanno certamente a che vedere con le fonti energetiche, ma solo indirettamente con lo sfruttamento dei pozzi.
3. In secondo luogo, la necessità “economica” delle continue guerre esiste veramente.
È ovvio che ogni guerra fa felici i costruttori di armi. Ma, ancora una volta, la loro felicità è subordinata a strategie di potenza più generali. Inoltre c’è una più alta necessità “economica”, quella di equilibrare il deficit pubblico americano col surplus mondiale che viene convertito in bond del Tesoro USA. Per dirla in estrema sintesi, il deficit pubblico statunitense dal 1971 ha sostituito il dollaro convertibile in oro come standard monetario internazionale e quindi tale deficit (in cui storicamente le spese militari hanno un enorme peso) deve esistere ed essere coerente con la sua “acquistabilità” da parte dei Paesi in surplus. Ma tale acquistabilità a sua volta dipende dalla credibilità della potenza USA. Le guerre servono anche ad alimentare questo pernicioso sistema ed è ovvio che allora il sistema stesso può sembrare funzionale alle industrie degli armamenti. E lo è, ma in seconda battuta. In una situazione di crisi sistemica conclamata le guerre devono essere fatte con chiari obiettivi geostrategici, non possono più essere le guerre a Grenada, a Panama o ai narcos colombiani.
4. Infine, vorrei far notare che se si guarda la vicenda dal di fuori – momento indispensabile di ogni analisi – la posizione del governo italiano appare incredibile. Così incredibile da rendere credibili le ciniche obiezioni della Lega: avremo immigrati e non avremo più petrolio. Obiezioni alle quali ieri al TG un irresponsabile Gasparri è riuscito a rispondere: «La Lega si deve rassicurare: è chiaro che in questa vicenda non ci sarà chi si prende tutto il petrolio e chi si prende tutti gli immigrati».
Ma come? Non era una guerra umanitaria? E qui si dice: ti lascio un pozzo se ti prendi sul gobbo quattro barconi di immigrati?
Dato che il 30% del nostro petrolio e il 10% del nostro gas viene dalla Libia e dato che l’ENI, come ci informa Il Sole 24 Ore, «è il primo operatore internazionale di idrocarburi con una produzione giornaliera tra liquidi e gassosi … di 522 mila barili/olio/equivalenti (Boe)…», l’atteggiamento italiano sembra un rebus. Ma in realtà scioglie molti rebus.
Come ha sottolineato Pino Cabras, si inizia ad esempio a capire il movimento di andirivieni dal PDL al FLI e ritorno. Ma si capisce anche come mai Giuliano Ferrara, fiduciario degli USA, sia ritornato improvvisamente alla corte di re Travicello Berlusconi, così improvvisamente che lo stesso Ferrara diceva sornione di non saperne il motivo. Ed ecco, forse, perché Paolo Guzzanti un mese prima degli inizi dei bombardamenti sulla Libia avesse deciso «di aderire come indipendente liberale ad Iniziativa responsabile, un gruppo eterogeneo che fornisce sostegno sufficiente al governo per evitare elezioni anticipate».
Insomma, bisognava sostenere il governo Berlusconi, ma controllandolo a vista.
Qui si vede tutta la debolezza del Cavaliere, la scelleratezza di uno pseudo-politico che non ha mai capito la differenza tra i suoi interessi personali e quelli della nazione, ingarbugliandoli e privandoli così di un piano complessivo, finendo per esporli agli attacchi fino al punto di convincerci (ovviamente col ricatto) che dovevamo tagliarci gli attributi da soli.
E se è vero che sono interessi capitalistici, è pur vero che il loro controllo da parte di poteri al di fuori della nazione non li fa sparire dalla scena bensì rende molto più difficile ogni percorso di cambiamento, innanzitutto proprio da parte delle classi subalterne (la vicenda Marchionne dovrebbe averlo insegnato).
Allora ci si chiederà: ma era proprio indispensabile convincerci?
La risposta è “Sì”. Innanzitutto ricordiamoci che la nostra penisola è la più grande portaerei nel Mediterraneo. In secondo luogo che fosse indispensabile convincerci lo si è visto con l’astensione della Germania. Immaginatevi cosa succedeva se Germania e Italia (che rimane pur sempre la settima potenza mondiale) facevano fronte comune: la Francia doveva starsene buona e così gli altri Paesi dell’euro. Gli USA sarebbero rimasti soli con il Regno Unito come al solito e con buona probabilità a quel punto l’astensione di Russia e Cina si sarebbe tramutata in veto.
Non è andata così, e quindi è solo uno scenario ipotetico. Ma credo plausibile.
Non convincerci significava dunque rischiare di aprire un quadro totalmente inedito di disubbidienza agli ordini imperiali.
Non è andata così. E ora siamo in guerra: “E’ scattato stasera il primo raid degli aerei da guerra italiani” (Reuters, 20 marzo 2011, 23:29).