L’inondazione del Nilo
feb 4th, 2011 | Di Franco Roman | Categoria: Politica InternazionaleIl direttore della rivista on-line “Overleft”, Franco Romanò, ha inviato questa risposta all’articolo di Piero Pagliani, che volentieri pubblichiamo. (La Redazione)
di Franco Romanò
Pur non essendo nemmeno io un esperto di cose egiziane e del mondo arabo questa insurrezione di cui non tutti i contorni sono chiari, non mi ha colto di sorpresa. Lasciamo stare gli esperti cosiddetti che nella maggioranza dei casi rispondono a logiche di pura e semplice propaganda, ma togliamoci anche l’illusione di poter determinare con esattezza il momento in cui una certa situazione entra in uno stato di rottura degli equilibri. Se posso usare una metafora che prendo in prestito dalla fisica delle particelle: è possibile conoscere lo stato di un sistema e le sue contraddizioni, ma non è possibile dire con esattezza quando queste scoppieranno. Ieri sera hanno intervistato a Radio Popolare di Milano un sindacalista egiziano della Cgil che ha mantenuto contatti con parenti amici e anche militanti politici e lui diceva più o meno questo: che era da tempo che si aspettavano tutti una sollevazione del genere che poteva potenzialmente riguardare tutta l’area. In sostanza i tempi erano maturi da un po’ ma che poi avvenga proprio ora e non prima o dopo può dipendere anche da fattori contingenti. Cerco allora di fare un’analisi in base a quello che so e che mi sembra di capire.
Ci sono, come del resto individui anche tu, cause lontane di carattere economico e sociale. Nel mio saggio che è stato appena pubblicato su “Comunismo e Comunità”, mettevo in evidenza alcuni dati vistosi sulla crisi che noi occidentali continuiamo a definire soltanto finanziaria, ma che per altre aree del mondo ha investito da subito la cosiddetta economia reale. Questo ora succede sempre di più anche da noi e si sarà sempre più grave ma di questo non vorrei scrivere adesso, semmai in altra occasione.
Torniamo all’Egitto. Il problema non è solo che molti egiziani vivono con due dollari, ma è che la situazione si è aggravata dopo un periodo di relativi miglioramenti. Non solo la distruzione del welfare nasseriano, ma a partire dal 2000 o poco più l’aumento vertiginoso di tutte le materie prime alimentari nevralgiche per paesi come l’Egitto: la farina per esempio. Soltanto questo, nel giro di dieci anni, ha creato un milione in più di egiziani che vivono al di sotto del minimo di sussistenza. Non che prima stessero bene, intendiamoci, ma sono sempre i peggioramenti rispetto a una situazione che era leggermente migliorata, a scatenare un malcontento potenzialmente più forte che non il rimanere in una situazione statica senza alcuna possibilità di conoscerne un’altra diversa. Probabilmente il caso tunisino è leggermente diverso, ma non troppo. L’accumularsi di impoverimento costante, venir meno di minime garanzie sociali, corruzione e arricchimento della casta sono gli elementi che hanno spinto strati crescenti di popolazione in una situazione insostenibile; diciamo che questa è la parte che tu definisci spontanea del movimento e che ha una sua parte importante, niente affatto trascurabile secondo me.
Secondo dato e riflessione. I regimi corrotti filo occidentali dell’area sono tutti in grave crisi e non funziona più la propaganda che mette la sordina al fatto che sono regimi dittatoriali feroci, ma che per carità di patria imperiale vengono fatti passare quasi per democratici. La presidenza Usa ha tentato probabilmente un cambio preventivo, spaventato dalla eventualità di una ribellione che mettesse in discussione la seconda cintura di sicurezza degli interessi imperiali in Medio Oriente (la prima è costituita dallo stato di Israele ed è ovviamente l’alleanza strategica più forte), ma è ovvio che la seconda cintura è essa stessa assai importante e ha tre pilastri fondamentali: Egitto Siria e Giordania: più complessa la questione Arabia Saudita. Questo cambio preventivo non è visibilmente riuscito, le insurrezioni di questi giorni lo hanno già spazzato via, perché sia che la ribellione rientri a causa di livelli feroci di repressione, sia che continui, comunque la transizione eventuale non sarà affatto morbida e credo che leader come El Baradei rischiano di nascere già morti.
Terzo dato e riflessione. I Fratelli Musulmani e le forze marxiste sono certamente le più organizzate ma la prudenza dei primi dimostra quanto meno un fatto e cioè che non sono stati loro a mettere in moto l’insurrezione, se mai cercano ora in qualche modo di darle uno sbocco politico, ma la loro presa strategica sulle masse arabe è in netto calo e la ragione è molto semplice: il cosiddetto fondamentalismo islamico non ha risolto un solo problema e non è in grado di offrire una alternativa credibile alla disperazione delle masse arabe.
Rimane il problema dell’esercito. Neppure io credo che non faccia parte organicamente del sistema di potere egiziano e certamente non è un esercito di capitani portoghesi del ’74, ma gli stati maggiori militari sanno anche, più del governo, che questa crisi non si potrà risolvere con la repressione per quanto feroce perché quei governi hanno perso del tutto la loro credibilità. La scelta di mandare avanti i mazzieri sta a indicare questo: se non basteranno interverrà l’esercito? Non è detto e bisogna vedere in che modo. Non dobbiamo pensare agli eserciti di questi paesi come a forze armate e basta, spesso sono una specie di superpartito che svolge una funzione istituzionale anche superiore a quella delle istituzioni civili, un po’ come avviene in Turchia. Nel caso dell’Egitto la loro posizione è molto delicata perché se è tollerabile un periodo di anarchia in Tunisia certamente non lo è in Egitto che confina con un Israele pronta a colpire come sempre fa nei momenti di crisi.
L’insieme di questi fattori io li giudico tutti positivamente: il fatto che un altro pezzo della cintura periferica imperiale stia cedendo, è un fatto positivo.
Come esser vicini a loro se si può? E’ chiaro che occorrerebbe quello che sappiamo benissimo che non c’è: una sinistra comunista che offra loro una sponda di analisi ma anche di solidarietà attiva da questa parte del Mediterraneo. L’appello a non fermarsi a Mubarak è ovviamente condivisibile, ma bisognerebbe conoscere meglio la situazione reale di quelle forze di sinistra egiziane anche nasseriane. E’ possibile che un’alleanza di questo genere possa costituire una alternativa, magari non nell’immediato ma con un disegno strategico? Credo che dovremmo cercare, chi può farlo, di prendere contatti.