Guardare dal ponte e guardare dall’alto
gen 26th, 2011 | Di Piero Pagliani | Categoria: Recensionidi Piero Pagliani
Prima di guardare dall’alto in basso gli immigrati extraeuropei che raccolgono pomodori, bisognerebbe ricordarsi che noi Italiani facevamo gli scaricatori di porto in America.
Un invito spesso ripetuto, a volte senza nemmeno crederci ma per semplice conformismo buonista, che però diventa un’urgenza dopo la visione dell’opera “Uno sguardo dal ponte” del compositore statunitense William Bolcom, tratto dall’omonimo dramma di Arthur Miller, il drammaturgo autore di un altro indimenticabile lavoro teatrale, “Il crogiuolo”, sui processi per stregoneria a Salem.
Andata in scena per la prima volta a Chicago nel 1999, l’opera di Bolcom ha avuto in questi giorni il suo battesimo europeo proprio a Roma, al Teatro Costanzi.
E’ un bel lavoro dove i cantanti recitano a tutto campo e lo svolgersi del dramma dove si intrecciano inammissibili pulsioni sessuali forse inconsapevoli e nascoste da nobili intenzioni, il duro lavoro al porto, la miseria, la fame, l’emigrazione, la clandestinità, la solidarietà e il tradimento dettato dalla disperazione colpevole, dove lo svolgersi dell’intreccio di tutti questi ingredienti contraddittori è accompagnato da una musica coinvolgente che passa agilmente da stilemi musical, a quelli classici, a quelli dello sprechgesang, a volte fondendoli insieme.
Gli evidenti punti di riferimento sono Porgy and Bess di George Gershwin e West Side Story di Leonard Bernstein. Non a caso due “melodrammi veristi”, così come lo sguardo che il lavoro di Bolcom-Miller getta su questo quartiere di operai italiani immigrati, questo piccolo mondo di vite segnate da tutto ciò che è l’opposto del privilegio.
Un lavoro molto riuscito e molto americano al quale vale la pena di assistere. Se non altro aiuterà a disfarsi di quella puzza sotto il naso di certi intellettuali che soprattutto si affollano a sinistra e che incapaci di distinguere per snobistico antiamericanismo culturale ciò che di buono viene fatto dagli Stati Uniti da ciò che essi fanno di pessimo, finiscono solitamente per appoggiare il pessimo e disdegnare il buono.
Occorre tornare a capire le cose come sono.
“In Italia c’è bellezza e lusso,” dice l’immigrato clandestino Rodolfo alla sua amata Catherine, immigrata di seconda generazione. “Quel che manca è il miracolo del lavoro”.
Si era nel 1955. Brooklyn, New York, Stati Uniti d’America.
Pensiamo a questo prima di parlare oggi in Italia di immigrati extracomunitari e clandestini. Forse non servirà a trovare una soluzione, ma eviterà di aggravare i problemi.