L’aldilà scabro ed essenziale di Clint Eastwood
gen 21st, 2011 | Di Piero Pagliani | Categoria: Recensionidi Piero Pagliani
Lo statunitense Clint Eastwood è un regista “scabro ed essenziale”, per utilizzare una bellissima figura di Eugenio Montale.
Lo ha dimostrato in tutti i suoi film e lo dimostra anche nel recente “Hereafter”.
Iniziamo notando che la nostra distribuzione, pensando ancora che l’ammerrecano porti a buoni rendimenti, ha deciso di tenere il pubblico italiano all’oscuro del significato del titolo, invece chiarissimo: “Aldilà”.
Infatti nel film proprio di aldilà si parla e lo si capisce dalla prima scena.
Una giornalista che sperimenta l’aldilà, un sensitivo che con l’aldilà entra in contatto, un bambino che con l’aldilà vuole parlare e una donna che il contatto lo ha cercato ma che riapre una ferita non rimarginabile.
Storie che si incrociano, ma senza quella convergenza catartica che abbiamo visto in molti film, dove tutto alla fine trova un posto e noi usciamo dalla visione sapendo che dopotutto un qualche benedetto ordine nella vita c’è pure.
No, ci dice Eastwood, la vita è un disordine. Forse c’è ordine nell’aldilà ma nonostante le esperienze eccezionali raccontate è impossibile esserne sicuri, perché l’aldilà comunque lo percepiamo attraverso il disordine delle nostre esistenze.
E sono esistenze dolorose. Dolori personali immersi in dolori collettivi, come la scena iniziale dello tsunami subito ci avverte.
Il tema dell’aldilà serve a Eastwood per dipingere quadri dell’esistenza: il mondo del successo e del tradimento opportunistico (ancora più ignobile perché compiuto da chi si paluda di progressismo), il mondo operaio della fabbrica e dei licenziamenti goffamente presentati come “opportunità”, il mondo del disagio sociale in cui non mancano amore e tenerezza struggenti. E il mondo del trauma intimo, inconfessabile e inguaribile.
E che dipinti! Non una sbavatura, non un colore carico, non un tratto superfluo. Scabri ed essenziali.
La convergenza delle storie sembra avvicinarsi e si allontana; si riavvicina e si allontana di nuovo. Sembra quasi di sentire il famoso “accordo del Tristano” di Wagner, quello sconvolgente accordo la cui risoluzione sulla dominante della tonalità è rimandata per tutta l’opera. Il mondo, sembra dirci con questo andamento, è fatto di amore che non può essere corrisposto, di occasioni mancate e le sue storie sono essenzialmente storie di solitudini: ognuno, infine, se la deve cavare da solo senza nemmeno l’aiuto dell’aldilà. Solo in quel caso c’è, forse, una via d’uscita.
Clint Eastwood, agnostico ma cresciuto in ambiente protestante, ha forse presente la risposta di Dio alla richiesta di Mosè di vedere il suo viso: “Tu non puoi vedere il mio volto, perché l’uomo non può vedermi e vivere” (Esodo, 33, 20). E’ uno dei capisaldi della teologica protestante, ebraica e anche musulmana del “Non farti immagine alcuna”.
Ma che cos’è la conoscenza dell’aldilà se non proprio il vedere il volto di Dio, per un credente, o l’entrare in possesso della verità assoluta dell’Universo per un agnostico.
In ogni caso è impossibile sopravvivere. E infatti per il sensitivo il suo dono è nient’altro che una condanna mortale: solo perdendolo potrà iniziare a vivere.
C’è qui implicita la condanna del feticismo delle merci (tutto sommato cosa c’è di più “sensibilmente soprasensibile” nel mondo dell’al-di-qua se non la merce?) e del complementare feticismo del potere. Se qualcuno potesse vedere Dio o conoscere la verità universale avrebbe in mano un potere negoziale assoluto. E’ quanto pretendono gli imbroglioni di piccolo cabotaggio dei quali Eastwood ci offre una rapidissima e fantastica carrellata. Ma, per fortuna, a quella conoscenza nessuno può attingere (e Eastwood nel suo film sta ben attento a non farsi immagini dell’aldilà: solo un flash di pochissimi secondi per segnalarci che il contatto c’è stato).
E tanto meno essa è riflessa nelle nostre esistenze dove invece i chiaroscuri sovrastano le divisioni nette: impossibile nei film di Eastwood distinguere con sicurezza il bene dal male. Si capisce che entrambi ci sono, ma uno può nascondere o far germogliare l’altro.
Lo sguardo di Eastwood sul mondo può dunque apparire cinico ma in realtà è uno sguardo di compassione e d’amore.
Bravo! Eastwood è un regista “essenziale”. I suoi film, cosi come tutti le vere opere d’arte, mostrano la verità, sebbene l’artista non lo sa, o lo sa confusamente.