Il ritorno del rimosso
gen 21st, 2011 | Di Franco Roman | Categoria: ContributiOspitiamo con piacere questo articolo inviatoci da Franco Romanò. Per chi non lo conoscesse, Romanò è condirettore della rivista di narrativa, critica letteraria e cultura “Il cavallo di Cavalcanti”. Ha pubblicato “Le radici immaginarie” per l’editore Campanotto (1995) e un libro di racconti dal titolo “Figure”, per Il gatto dell’ulivo (1996). È presente nella terza e quarta edizione dell’Annuario di Poesia Crocetti 2000 e 2002, a cura di Guido Oldani. Nel 2003 ha pubblicato il romanzo “Lenti a distacco” per le edizioni Excogita, segnalato nell’edizione 2004 del Premio Sulle tracce di Ada Negri. Nel 2005 ha pubblicato il romanzo “Sguardo di transito” con la casa editrice Azimut di Roma. Suoi saggi sono presenti nella rivista “Costruzioni psicanalitiche”, nel libro collettivo “Forme attuali del totalitarismo”, Bollati Boringhieri e “Pinocchio in volo, fra immagini e letterature”, Bruno Mondadori editore. Suoi testi poetici sono stati su riviste italiane e straniere: di prossima pubblicazione il poemetto “Il ritorno”, sulla rivista Smerilliana. E’ anche membro della “Società di psicoanalisi critica” e ha tenuto recentemente seminari su “Il denaro e l’ideologia del denaro” per la Libera Università Popolare, organizzati dal Punto Rosso di Milano.
La Redazione
di Franco Romanò
La crisi che sconvolge da mesi i mercati finanziari e l’intera economia capitalistica impone che si parta proprio da ciò che è presente e attuale: non tanto perché quanto accade sia sorprendente per chi non ha mai abbandonato la filosofia della prassi come mezzo imprescindibile di analisi della società contemporanea, ma perché è proprio la filosofia della prassi stessa a imporre un approccio realistico e concreto anche alla teoria: è sempre dalla concretezza di ciò che avviene nell’attualità che occorre partire per poi naturalmente andare a scandagliare lo sfondo e la profondità cui tale superficie rimanda.
Quella cui stiamo assistendo non è una semplice crisi ciclica, ma una nuova crisi strutturale, che chiude una fase storica ventennale, successiva alla fine dell’Unione Sovietica, definita con il termine di neoliberismo, associato spesso a un’altra parola chiave di questi anni e cioè globalizzazione.
Questi due termini sono stati usati largamente anche nella pubblicistica di sinistra. Entrambi sono da sottoporre a una critica serrata, anche se il termine globalizzazione una sua valenza la conserva, come si vedrà nel prosieguo di questa proposta di analisi.
In prima istanza, tuttavia, penso sia utile soffermarsi su alcune questioni elementari, che la propaganda degli apologeti del capitalismo cerca di occultare in ogni modo, rispolverando vecchi ronzini di battaglia. Il più famoso di questi ronzini è la distinzione fra economia cosiddetta produttiva sana e finanza malata, cattiva e dedita alla speculazione. Che la crisi strutturale abbia le sue manifestazione più spettacolari (e quindi a particolarmente adatte alla non cultura dell’apparenza che ci appesta), sempre o quasi nel dominio finanziario è vero, ma che abbia in quello la propria origine profonda è un altro discorso; ancor meno è vero affermare che l’economia cosiddetta produttiva sarebbe sana e l’altra malata come se non vi fosse alcuna rapporto fra le due. Anche questa crisi si è manifestata nell’economia reale e da lì sarà bene partire per considerare successivamente la relativa autonomia della sfera finanziaria dall’insieme dell’economia capitalistica, il ruolo che le tecniche d’ingegneria finanziaria hanno nel posticipare nel tempo le crisi, ma non di evitarle; anzi, rendendole persino più acute una volta che scoppiano.
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