Nuovi rapporti dialettici all’interno del separatismo curdo in Turchia?
nov 20th, 2010 | Di Matteo Brumini | Categoria: Politica InternazionaleIl 31 Ottobre scorso un attentatore suicida si fa esplodere mentre avanza verso un pullman carico di agenti di polizia. Sul selciato rimane l’attentatore, ucciso dall’esplosivo, e rimangono feriti diciassette poliziotti e quindici civili. Poco più in là, nella stessa piazza, le forze di polizia rinvengono un altro ordigno, più potente, che avrebbe potuto causare una strage.
Non siamo a Baghdad o a Kabul, ma in piazza Taksim, nel cuore della parte occidentale di Istambul, Turchia.
Chiaramente nell’immediato si pensa al PKK, ma appare subito una modalità di attacco anomala per il partito armato di Ocalan che privilegia obiettivi militari e raramente ha fatto uso nella sua storia politico-militare di attentatori suicidi. Il comunicato di smentita di ogni coinvolgimento del PKK arriva due giorni dopo: “”Per noi non è possibile compiere un atto simile nel momento in cui il nostro movimento ha deciso di prolungare la tregua. Non siamo in alcun modo implicati in questo attentato”. Prolungare la tregua, questo è il senso della decisione presa da Murat Karayilan, ritenuto il leader del Pkk dopo l’arresto di Abdullah Ocalan, avvenuto nel 1999. Karayilan, in un intervista al quotidiano laico turco Radikal, ha annunciato che la tregua viene estesa fino alle prossime elezioni politiche nel Paese, previste per giugno 2011.
A confermare queste dichiarazioni vi è anche la cautela della magistratura turca, di solito pronta a dare la colpa al Pkk. Vale la pena di soffermarsi su questa inedita prudenza della magistratura turca perché è utile per inserire nel ragionamento una notizia di fine agosto che è praticamente passata sotto silenzio da noi.
Il 26 agosto scorso un rappresentante del governo turco ha dichiarato che funzionari statali hanno avuto contatti in carcere con Abdullah Ocalan; a stretto giro di ruota il ministro della Giustizia, Sadullah Ergin, afferma al quotidiano laico Vatan, che i servizi segreti parlano con Ocalan ogni qualvolta la lotta al terrorismo richieda tali contatti. Non ci si rende bene conto qui da noi della portata enorme di queste dichiarazioni. La Turchia dal 1978, anno della nascita del PKK, ha sempre rifiutato categoricamente ogni dialogo e contatto con il partito armato curdo ed ha sempre vigorosamente smentito ogni voce a riguardo.
Verrebbe da chiedersi cosa sia cambiato ora. Forse potrebbe essere utile ricordare a questo punto che tali dichiarazioni del governo turco arrivano tre settimane prima del 12 settembre scorso, giorno del referendum costituzionale voluto dal premier Erdogan e dal suo partito Giustizia e Sviluppo volto a ridimensionare il ruolo ed il potere dei militari nel paese non solo sottoponendo questi ultimi alla giustizia civile ma anche aumentando il numero dei componenti della Corte costituzionale e del Consiglio superiore della magistratura, che saranno nominati non soltanto dai giudici ma anche dal Parlamento e dal presidente della Repubblica.
Il 12 settembre il referendum passa con il 58% dei “sì”, una grande vittoria per Erdogan e una grave sconfitta per i militari. La domanda legittima che sorge analizzando i fatti è se il governo turco abbia cercato di attirare a sé l’elettorato curdo con quelle dichiarazioni in vista di questo referendum, e conseguentemente se abbia chiesto in tal senso anche l’aiuto del PKK.
A questo punto ritorniamo all’attentato di piazza Taksim. Il 4 novembre arriva la rivendicazione del TAK (Teyrênbazên Azadîya Kurdistan) ovvero i Falconi della Libertà, un gruppo armato separatista curdo. L’attentatore si chiama Vedat Acar, 24 anni, nome in codice Derweş. Adesso, per il Tak, è un martire della causa curda. Nella rivendicazione il Tak precisa che Acar avrebbe agito su iniziativa personale, ma ad ogni modo l’organizzazione ne condivide l’azione: il giovane “non fa parte di una diversa organizzazione, è nostro membro”. Acar si è unito al gruppo estremista nel 2005. Il Tak dichiara di non ritenere veritieri gli sforzi del governo di risolvere la questione curda, e pertanto di “non prenderli sul serio”.
“Non siamo soddisfatti delle lotte del Kongra-Gel (Il parlamento del popolo curdo) e dell’Hpg (Forze di difesa Popolare) che sono state portate avanti considerando gli equilibri politici”. Il Tak ha iniziato le sue lotte con il Pkk, con il quale condivideva gli obiettivi, oltre al leader indiscusso Abdullah Öcalan . Da un anno e mezzo però il gruppo ha deciso la secessione, rifiutando la via della mediazione e optando per una via decisamente violenta: “Non possiamo rispondere con metodi di lotta passiva. D’ora in poi i nostri attacchi continueranno e diventeranno più violenti” E ancora “Ognuno dei nostri militanti è pronto a sacrificare la propria vita in questa lotta”. Nel comunicato trasmesso su internet il gruppo ci tiene a rimarcare la propria indipendenza, ammettendo di non essere “connessi a nessuno, dipendenti di nessuno”. Il loro target principale sono “la burocrazia militare, l’economia e il turismo”. A questo proposito tutti i turisti stranieri e locali sono invitati a non recarsi nelle tradizionali mete turistiche “perché la Turchia è un Paese in guerra”, pertanto ognuno è da ritenersi in pericolo.
Tirando le somme alla luce di quanto detto sembra che all’interno del separatismo curdo in Turchia i rapporti dialettici stiano cambiando; mentre un PKK tuttora egemone per storia e numeri si sta sempre più apertamente spostando verso una linea di dialogo ancora difficile da interpretare e mentre altri gruppi storici come il PDK/Bakur o il Partiya Şoreşa Kürdistan sembrano rimanere in una linea di basso profilo colpiti dalla repressione dello stato turco, nuove formazioni nascono sotto un profilo strettamente militare ed abbandonano l’egida del gruppo armato di Ocalan e l’atteggiamento politico-militare che strutturalmente ha sempre accompagnato la lotta separatista curda in Turchia; e non va dimenticato in questo contesto l’attuale crisi politica e diplomatica sempre più accentuata nei rapporti fra la Tuchia di Edogan ed Israele se si considerano i mai chiariti rapporti fra quest’ultimo e i curdi accusati spesso (soprattutto dopo l’invasione imperialista dell’Iraq) di essere strumenti più o meno consapevoli della politica di egemonizzazione regionale israeliana nel Medio Oriente.
Matteo Brumini
Interessante la parte finale interlocutoria. In effetti il sorgere di una violenza contro i civili in un momento di potenziale tregua produttiva può far venire dei sospetti in ordine ai fini reali di questo gruppo.