Gli intrighi di palazzo e le sorti dell’Italia
nov 19th, 2010 | Di Lorenzo Dorato | Categoria: Primo PianoPochi giorni fa il gruppo Fli (Futuro e Libertà per l’Italia) ha ufficialmente dichiarato che lascerà il governo una volta approvata la manovra finanziaria. La crisi politica è esplicitamente aperta. Il 14 Dicembre Berlusconi chiederà la fiducia alle camere, atto formale per sancire (salvo colpi di scena) la mancanza di numeri per governare con l’attuale compagine uscita dalle elezioni del 2008. Dopo due anni di campagne mediatiche scandalistiche, smarcamenti opportunistici e costruzione laboriosa di un gruppo “dissidente” interno, Fini e i suoi hanno realizzato l’intento (di cui non sono null’altro che gli esecutori) di mettere fuori gioco, salvo colpi di scena, Berlusconi e il suo attuale governo. Fin dall’inizio della legislatura Fini ha condotto un’esplicita azione di costruzione d’immagine, fabbricando il personaggio della destra “pulita”, istituzionale, europea, alla Aznar e Sarkozy (come recitano le parole della fondazione Fare Futuro). Di questa costruzione si è poi servito abilmente sia per giustificare (in termini di presunta coerenza morale) il suo distacco formale da Berlusconi, sia per lanciare una formazione elettorale autonoma post-berlusconiana (con altrettanto probabili alleanze centriste).
Ma cerchiamo di capire cosa realmente sta avvenendo consapevoli della difficoltà di un’analisi di questo tipo in una fase di rapidissimi e complessi cambiamenti. Anzitutto è giusto premettere che sarebbe sbagliato analizzare i fatti attribuendo ruoli certi ai singoli personaggi o gruppi di potere implicati. I ruoli cambiano, si alternano e poi ricambiano, secondo logiche e velocità spesso sfuggenti e difficilissime da determinare. Tuttavia alcuni movimenti di fondo possono essere colti e, in ogni caso, ciò che più importa ai fini di quanto scrivo, è comprendere la natura strumentale di alcuni epifenomeni di superficie che nascondono fenomeni guidati da logiche diverse da quelle apparenti.
Comprendere esattamente le ragioni per cui il governo è stato messo da tempo sotto ricatto tramite continue pressioni sul presidente del consiglio di certo non è cosa semplice. L’unica certezza (punto di partenza per ogni ragionamento non viziato alla base) é che, contrariamente a quanto si vorrebbe far credere, l’attuale instabilità politica non è affatto riducibile a scelte soggettive dettate da divergenze di punti di vista o valori (se così fosse stato gli odierni dissidenti avrebbero avuto mille altre ragioni in passato per smarcarsi dal premier), ma è legata all’esistenza di determinati interessi economico-finanziari interni e internazionali a loro volta legati a rappresentanze politiche che di volta in volta costituiscono fronti, alleanze e ordiscono tradimenti per conto terzi. E’ senza dubbio difficile orientarsi in questo marasma di interessi incrociati. Alcune osservazioni, tuttavia, possono essere fatte, ripercorrendo molto velocemente alcune fasi della recente storia italiana.
Berlusconi ha avuto fin dall’inizio della sua discesa in campo, avvenuta in un pauroso vuoto di potere conseguente alla fine della prima repubblica, importanti nemici interni “non ideologici”, legati al capitalismo italiano delle grandi famiglie storicamente dominanti. Precise vicende lo hanno visto in contrasto con magnati del calibro di De Benedetti (vicenda SME e Mondadori); ma più in generale si può dire che, in quanto politico, sia sempre stato sorvegliato con occhio vigile dagli ambienti imprenditoriali di peso in quanto parvenu troppo intraprendente e orientato a fare affari per proprio conto diretto evidentemente non del tutto compatibili con determinate posizioni di potere consolidate.
A questa particolare posizione interna si sono aggiunte frizioni internazionali a partire dalla legislatura 2001-2006. Campagne di attacchi sono state guidate da riviste come l’Economist, settimanale della finanza anglosassone seguito in breve tempo da giornali come il “New York Times” statunitense “El pais” e “El Mundo” spagnoli e diversi giornali tedeschi. Il tenore delle critiche mosse concernevano inizialmente le incompatibilità del profilo penale di Berlusconi (pluriprocessato) e imprenditoriale (padrone di un impero economico) con il suo ruolo di premier e poi (nell’ultima legisaltura e in forma ossessiva) le sue abituidini sessuali e mondane libertine (oltre che i comportamenti istituzionali poco consoni al proprio ruolo). Sembra difficile immaginare che una così concentrata e ripetuta sequela di attacchi unidirezionali sia esclusivamente frutto di divergenza di opinioni politiche e sincera preoccupazione per le sorti italiane. Almeno in buona parte essi non possono che spiegarsi con l’esistenza di conflitti di interesse materiali e di potere. Berlusconi, infatti, pur identificandosi nella strategia nord-americana bushiana della guerra permanente già dal 2001, assieme agli accoliti Blair e Aznar (con tanto di infame partecipazione alla carneficina irachena nel 2003) ha iniziato ad intessere rapporti, spesso per cointeressanza diretta, con realtà geo-politiche ostili al padrone d’oltreatlantico (in particolare asse nord-africano e Russia). Fu in quella fase che allo storico conflitto intercapitalistico interno (Berlusconi contro parte della vecchia guardia del capitalismo italiano) si aggiunge un conflitto di potere che concerne la scarsa affidabilità di Berlusconi nel gestire senza contraddizioni e imprevedibili salti in avanti gli interessi delle oligarchie capitalistiche europee e nord-americane da sempre capaci di influenzare pesantemente la politica italiana in ordine ai propri voleri. L’instabilità e la scarsa affidabilità di Berlusconi in questo senso, naturalmente, non implicano affatto che egli sia, per contrasto, un difensore degli interessi italiani, quand’anche capitalistici nazionali e che abbia quindi una supposta strategia politica coerente in questa direzione. Berlusconi si muove semplicemente con scarsa predisposizione alla disciplina dettata da determinati centri di potere alternando fasi di integrale sottomissione ad essi a momenti di diversione. Una diversione che, chiaramente, mai ha assunto i tratti di una politica di carattere quanto meno populista, nel senso letterale di “vicina a pur minime istanze popolari”, né si è mai tinta di attitudini realmente critiche verso quelle autorità (quali l’UE) che tengono gli Stati sotto scacco nella loro possibilità di implementare politiche sociali e fiscali realmente autonome. Una diversione, dunque, esclusivamente limitata a temporanee e blande scelte di campo nei confliggenti interessi capitalistici in termini geopolitici (terreno senz’altro importante che comunque non ha visto Berlusconi schierarsi con determinazione in particolari direzioni innovative). Sarebbe quindi un grosso errore vedere in Berlusconi un improbabile campione antiegemonico schierato contro le forze imperialiste occidentali più invasive. Tutt’altro! Il premier italiano è pienamente integrato nella sfera d’influenza occidentale a guida nord-americana e pienamente impegnato nei piani di politica-economica di carattere neo-liberista. Semplicemente svolge il proprio ruolo in maniera troppo ballerina ed eccentrica!
Oggi, un insieme di forze esterne e forze interne (a loro volta influenzate da quelle esterne) non semplici da determinare con esattezza, ma delineabili con approssimazione, hanno deciso che i tempi sono maturi per un cambio di rotta; che Berlusconi, pur avendo servizievolmente favorito i loro interessi a lungo, ha da tempo intrapreso strade non del tutto affidabili e che è ora di sostituirlo con un potere più consono ai propri obiettivi. Questi obiettivi, evidentemente, sono l’accelerazi0ne di processi di svendita del paese in una direzione che vada a favorire determinate cordate economico-finanziarie (e non altre).
Gli eventi correnti, dunque, si configurano come un vero e proprio intrigo di palazzo eterodiretto dagli esiti incerti, così come lo fu con ogni probabilità la caduta del governo Prodi nel 2008, anch’esso probabilmente reo di non aver seguito con alacrità e pienissima dedizione direzioni determinate (vuoi per la presenza di partiti meno allineati che rallentavano il processo, vuoi per iniziali e timide scelte geopolitiche analoghe a quelle in cui si è impantanato Berlusconi).
Simili dinamiche hanno segnato, d’altro canto, l’intera storia repubblicana. E’ noto il fatto che l’Italia é tra i paesi europei più fragili in termini di autonomia politica ed ha subito la pesantissima ingerenza di forze straniere, in primis gli Stati Uniti (che occupano il territorio nazionale con 113 basi militari) e in seconda battuta i paesi europei più influenti. Dalla fine della prima repubblica il restringimento degli spazi di autonomia è andato crescendo simultaneamente alla crescita dell’unipolarismo USA e al processo di integrazione del mercato europeo e la classe politica italiana, spazzata via la corrotta (e sul piano politico infinitamente migliore) classe facente capo alla prima repubblica, tanto nel blocco di potere di centrodestra che in quello di centrosinsitra si è totalmente allineata ai diktat nord-americani mediati quasi sempre dalle tecnocratiche istituzioni centrali europee.
Spesso, tuttavia, tale cieco allineamento cede di alcuni centrimetri, ed è lì che suona l’allarme e i cani da guardia pronti con dossier, scandali, cospirazioni e quant’altro vengono sguinzagliati in libertà, fortificati ovviamente dall’esistenza di concomitanti conflitti di potere interni e conseguenti parti politiche mandatarie cui appoggiarsi.
Affermare che siamo oggi di fronte ad un’infida manovra di palazzo per conto terzi, del tutto estranea a qualsiasi istanza espressa dal popolo sovrano è dunque semplice buon senso (che purtoppo anche le sparute forze politiche sedicenti anticapitalistiche non sanno o non vogliono usare).
Al momento non é chiaro quale sarà con esattezza l’evoluzione degli eventi. I poteri che hanno concorso al rovesciamento di Berlusconi, dapprima con pressioni continue ed ora con un ormai quasi certo rovesciamento, puntano ad un governo tecnico. Le elezioni infatti rischierebbero di riprodurre (anche se non è affatto certo) una situazione identica a quella attuale, o comunque di non configurare un governo “ideale” ai fini dei poteri di cui sopra, vanificando così il piano di sabotaggio. Un governo tecnico potrebbe invece avere un preciso mandato: attuare ulteriori riforme antipopolari favorevoli al grande capitale soprattutto tramite il completamento di alcune privatizzazioni di aziende strategiche in cui lo Stato mantiene ancora residuali posizioni di azionariato e controllo (come ENI, ENEL e FINMECCANICA) e -o liberalizzazioni di diversi comparti economici ancora minimamente protetti per consentire la penetrazione del grande capitale italiano ed estero. Vi è poi un ulteriore margine per il disfacimento del sistema pensionistico pubblico (eleminazione della pensione di anzianità) o della sanità, nonché ulteriori attacchi al diritto del lavoro. Infine in politica estera e commerciale, punto probabilmente importante nella vicenda, si tratterebbe di raddrizzare il bastone verso aperte ed esplicite posizioni estreme atlantiste, chiudendo ogni spiraglio ad accordi economici (in cui ad esempio sono coinvolte ENI e FINMECCANICA) alternativi e (chissà) partecipando a nuove avventure belliche o rafforzando quelle in essere (che recentemente forze come la lega hanno iniziato a trattare con insofferenza, seppur in maniera del tutto innocua). Un governo di questo tipo potrebbe naturalmente assumere diverse forme: presumibilmente potrebbe trattarsi di un centrodestra finiano senza Berlusconi riconfigurato e allargato al centro (UDC, API) e che riceva poi l’appoggio del PD nelle scelte fondamentali. Confindustria, Cisl, Fli, Udc, e Pd sono stati espliciti nel ritenere non auspicabile la soluzione elettorale. Tuttavia l’esito finale della crisi politica non è affatto certo. Non è del tutto escluso infatti che i fedeli berlusconiani e la lega riescano ad imporre, assieme a forze dichiaratesi ambiguamente a favore di questa soluzione (come l’IDV) lo svolgimento di nuove elezioni politiche.
L’unica certezza è che si sta giocando una partita importante e che pertanto interpretare il tutto come una tardiva presa di coscienza da parte dei finiani dell’orrore politico e morale berlusconiano è non soltanto assolutamente riduttivo, ma del tutto sbagliato e carico di gravide conseguenze. Non siamo infatti di fronte a semplice coincidenza tra una presunta volontà soggettiva autentica e una sovrapposta eterodirezione interessata da parte di poteri alieni. Siamo di fronte a un vile e meditato tradimento politico per conto terzi e per scopi completamente antipopolari (tanto antipopolari quanto, e forse più, di quanto sia già antipopolare nei fatti la politica di Berlusconi). Nascondere questo fango dietro l’antiberlusconismo militante è semplicemente indecente, o per lo meno incredibilmente ingenuo.
D’altra parte, una posizione inequivocabilmente contraria all’attuale governo (in primis per le sue scelte politiche in ogni campo ed in seconda battuta per i suoi effetti culturali devastanti) é del tutto compatibile con l’aperta denuncia della “rivolta” delle elites cui stiamo assitendo. Una posizione che sappia smarcarsi dalla presunta necessità di tifare (un tifo che infesta il paese da ormai 15 lunghi anni) tra berlusconismo e antiberlusconismo, tra centro-destra e centro-sinistra. Che sappia comprendere la sostanziale omogeneità politica nelle scelte fondamentali tra Berlusconi e i suoi oppositori. La stragrande maggioranza delle leggi votate dall’attuale governo in termini di politica economica, federalismo fiscale, politica estera (missioni all’estero) sono state apertamente appoggiate dalle opposizioni in parlamento. E queste stesse opposizioni sono le stesse che in una sola legislatura e mezzo (1996-2001), (2006-2008) sono riuscite ad attuare incredibili mutamenti dell’assetto economico-sociale della nazione, privatizzando (a prezzi di svendita spesso) la stragrande maggioranza delle imprese pubbliche, attaccando a più riprese lo Stato sociale, il contratto di lavoro subordinato, e inaugurando (Serbia 1999) la stagione delle nuove guerre umanitarie imperialiste.
Tutto questo, ovviamente, non impedisce di cogliere le peculiarità del potere berlusconiano (incluse le proprie scempiaggini morali che naturalmente disgustano), ma deve obbligare a leggere tali peculiarità all’interno di un contesto complessivo istituzionale, sociale, economico e politico che è stato stravolto, in senso regressivo, con pari responsabilità dalle principali forze politiche che hanno guidato il paese dal 1992 ad oggi.
L’accodamento dei partiti di sinistra (a sinistra del PD) all’accanimento antiberlusconiano infestato da gossip, puttane, moralismi e ipocrisie degne del puritanesimo anglosassone ormai dilagante in Italia, deve far riflettere sulla cronica incapacità di questi partiti di saper assumere una posizione che sia autonoma dal gioco degli specchi del bipolarismo, del progressismo contro il berlusconismo. Un gioco degli specchi che ha reso impossibile la formazione di una terza forza capace, come è oggi il KKE in Grecia, di rimanere su un terreno popolare indipendente dalle logiche di contrapposizione formale e di costume (che non signfica assolutamente disimpegno etico, ma anzi significa riportare l’etica e la morale su un terreno di sostanza liberandola dalla sua forma mediatica strumentale asfissiante).
Anche volendo stare al nucleo principale delle argomentazioni secondo cui Berlusconi rappresenterebbe comunque il male maggiore, è fondamentale impostare il discorso in termini di sostanza respingendo la parzialità con cui viene sempre presentato. Le quattro caratteristiche peculiari del berlusconismo, simulando di mettersi nell’ottica di chi lo ritiene comunque il male maggiore, sarebbero la propensione ad un maggiore sprezzo delle istituzioni e della Costituzione, una cultura ostentata della prevaricazione, dell’arroganza unita a volgarità e machismo, una maggiore tolleranza dell’illegalità ed infine il problema del conflitto di interesse tra la sua posizione di imprenditore e quella di uomo di Stato.
Per quanto concerne il primo punto, bisognerebbe chiedersi quale sia la sostanza della Costituzione italiana. Ebbene essa è l’unità di elementi regolatori istituzionali, politici, economici e sociali. Se la si vuole a tutti i costi limitare ai rapporti formali tra i diversi poteri dello Stato, si sta già accettando il campo di gioco di chi vorrebbe avere il terreno politico spianato per stravolgere il già ampiamente stravolto assetto complessivo dei rapporti economico-sociali del paese. Gli articoli che citano esplicitamente la dignità della remunerazione del lavoro, la limitazione dell’iniziativa privata secondo criteri di pubblica utilità (ovvero il 36 e il 41) sono stati ampiamente stravolti nella sostanza dalle iniziative legislative del centro-sinistra nei suoi catastrofici anni di governo 1996-2001, ad esempio tramite l’invenzione del precariato (legge Treu) e tramite la svendita di gioielli strategici di imprese pubbliche cedute al capitale privato (e spesso estero) in totale contrasto con qualsiasi criterio di pubblica utilità. Sempre l’articolo 36 ha subito una pesante ipoteca dalla rimessa in discussione del sistema pensionistico pubblico fino ad una situazione attuale drammatica in cui gli attuali lavoratori giovani avranno nei casi più fortunati il 40% dell’attuale retribuzione sotto forma di pensione da anziani. Parliamo poi dell’articolo 11 (che impedirebbe il ricorso alla guerra nelle controversie internazionali). Violato esplicitamente dal governo D’Alema ai tempi dell’aggressione con annessi bombardamenti contro la Jugoslavia sovrana (con la scusa della bufala mediatica di un inesistente genocidio di massa); violato ancora nell’ultima legislatura con la prosecuzione dell’illegale guerra in Afghanistan (lautamente rifinanziata) e con l’avallo all’embargo di Gaza, atto di guerra contro una popolazione incarcerata in un fazzoletto di terra.
Se accettiamo il terreno di lettura della nostra Costituzione in termini complessivi, ci accorgiamo facilmente che lo stravolgimento dei suoi cardini e dei cardini politici e sociali del paese è avvenuto in una fase storica con il concorso delle forze politiche eredi del periodo storico di Mani Pulite. Si può anzi dire che in alcuni ambiti fondamentali, quali la privatizzazione a prezzi di svendita del patrimonio pubblico (con veri e propri scandali e pratiche di malaffare) il centro-sinistra assieme ai governi di Ciampi , Amato e Dini, abbia giocato un ruolo preminente.
Veniamo ora al problema culturale. Senza negare i danni culturali del berlusconismo come approccio alla cosa pubblica e alle istituzioni, nonché all’etica collettiva, non si può assolutamente fingere di non vedere che la degenerazione di costume è un fenomeno complessivo che ha investito pesantemente l’intera Europa a partire dagli anni 70-80 con un’accelerazione spaventosa nei terribili anni ’90. E per costume non ci si deve limitare moralisticamente ai reality show introdotti da Mediaset, alle ballerine e veline che infestano la televisione o alle prostitute del premier, ma ad un complessivo avanzamento delle logiche mercantili, commerciali a tutti piani della società, anche quelli un tempo maggiormente protetti da forme di socialità tradizionali o di gestione pubblica e comune, in un dilagante individualismo pervasivo presentato come unico orizzonte sociale possibile. La trasformazione della scuola avviata da Berlinguer tramite l’autonomia e l’imperversare di logiche di carattere pseudo-pubblicitario; la trasformazione delle USL in ASL (da unità ad aziende sanitarie locali) con conseguente parziale mercificazione della salute; l’aumento esponenziale della pubblicità televisiva e non solo in ogni angolo dello spazio vitale; la degradazione del corpo femminile e maschile ad oggetti di incitamento al consumo; la cultura dello sradicamento, della mobilità, della flessibilità e della competitività; la cultura della liberalizzazione e della privatizzazione come uniche possibili vie per regolare i rapporti economici con la parallela affermazione di una cultura individualistica di mercato.
Sono soltanto alcuni tra i molteplici esempi di fenomeni di devastazione culturale oltre che materiale non certo definibili in via d’esclusiva berlusconiani. Berlusconi, ne è semmai l’effetto grottesco, satiresco e volgare e, in una certa misura, proprio per questo più popolare. Ma la stessa cultura impregna tutte le classi sociali a livelli forse più sofisticati e moderni, ma ugualmente devastanti. E di questa cultura il centro-sinistra non solo è stato impregnato, ma se ne é fatto portatore massimo, apportando una vera e propria trasformazione anche simbolica in ogni ambito del politico, aggiungendo al tutto forti elementi anti-popolari come il disprezzo del proprio paese e la maniacale esterofilia (preferibilmente in direzione anglosassone). La sinistra sedicente anticapitalista ha finto di non vederlo per tanti anni ed anzi si è ritagliata un posto di nicchia in questa divisione dei compiti mercantile, andando a configurare la punta avanzata di una certa liberalizzazione del costume totalmente compatibile ed anzi integrabile nelle dinamiche capitalistiche.
Per ciò che concerne infine il terzo punto, quello della maggiore propensione all’illegalità del potere berlusconiano, ci sarebbe da chiedersi anche in questo caso cosa consideriamo legale (senza assolutamente per questo adottare un punto di vista di tipo estremistico per cui la legge é comunque legge borghese). E’ legale svendere sotto i prezzi di mercato fiori di aziende pubbliche, senza alcuna trasparenza, arricchendo la finanza straniera in un’operazione di proporzioni vastissime? E’ legale e trasparente riempire di denaro della collettività aziende come la Fiat per produrre all’estero? E’ legale sovvenzionare a costi altissimi centri sanitari privati, fondi pensione privati che potrebbero essere gestiti a costi nettamente inferiori dallo Stato? E’ legale la missione in Afghanistan e il sostegno all’occupazione israeliana? A tutti coloro che si occupano con alacrità di legalità, ivi compresi personaggi come Travaglio e Saviano, bisognerebbe chiedere a quale parte del concetti di legalità fanno riferimento.
Sul conflitto di interessi infine, tanto denunciato come anomalia italiana da commentatori anglosassoni ed europei, non si può certo negare che si tratti di un’indecenza. Ma è forse più decente il rapporto di diretta committenza che si instaura tra grande imprenditoria e alta finanza e potere politico nei sistemi capitalistici, rapporto ormai non più mediato da vent’anni a questa parte da forme di mediazione sociale? E’ forse più decente nella sostanza che Prodi abbia per anni servito come consulente la Goldman Sachs e che abbia poi gestito le privatizzazioni italiane, grosso affare in cui la grande finanza americana ha giocato un ruolo determinante?
In definitiva, le supposte peculiarità del berlusconismo, che ovviamente non vanno negate, non possono però condurre ad a-priorisitiche e spesso “estetiche-viscerali” (quando non interessate) teorie del male maggiore. Si tratta del tragi-comico errore politico (frutto di falsi identitarismi autoreferenziali) commesso dai partiti comunisti dopo il 1992, scusabile forse nel 1995-96, ma gravissimo oggi alla luce di quindici anni di esperienza. Un’esperienza che avrebbe da tempo dovuto mostrare come si sia di fronte ad un blocco di potere configgente al suo interno, ma accomunato da identici progetti di annichilimento della società, camuffato da contrapposizioni spesso esasperate proprio al fine di richiamare costantemente la tremenda logica del voto utile, contribuendo a far fuori le ali estreme dal gioco politico elettorale. Sentire oggi Ferrero che prega Nichi Vendola di riunirsi per poi rivolgersi alle altre forze politiche e Diliberto che prega il PD per un’ alleanza neo-ulivista é l’ennesima prova dell’inguaribile subalternità culturale e pratica dei partiti della sinistra a schemi di lettura del reale ridotti a formalismi ideologici o a puro elettoralismo di brevissimo periodo.
L’antiberlusconismo militante, vera e propria piaga culturale e politica, in Italia presenta due manifestazioni concrete: la prima è quella degli oppositori portatori di interessi capitalistici confliggenti con quelli del Cavaliere (antiberlusconismo materiale); la seconda è quella di tutti coloro che, disgustati (a ragione) da alcuni specifici aspetti della politica di Berlusconi, cadendo nella trappola propagandistica, hanno ormai da anni elevato queste specificità a metro di giudizio assoluto e dirimente per le loro scelte di campo: sempre e comunque contro Berlusconi in quanto pericolo autoritario, incarnazione della volgarità estremizzata, calpestatore delle istituzioni, artefice delle leggi ad personam. A tutto questo si aggiunge spesso una carica snobbistica estrema (supportata da vere e proprie centrali di propaganda come il quotidiano la Repubblica, diversi giornali stranieri che presentano macchiettisticamente la politica del belpaese, alcuni nostrani comici “di sinistra”, trasmissioni televisive etc etc). Carica snobbistica che ha stratificato nel tempo una vera e propria cultura soffocante della superiorità morale, che ha prodotto mostruosità concettuali come l’idea di un’Italia divisa in due tra buoni e cattivi, colti e rozzi, amanti delle regole e paraculi, decenti e indecenti; come se davvero lo scontro politico tra centro-sinistra e centro-destra fosse riducibile a queste categorie. Questo secondo tipo di antiberlusconismo di costume è un fenomeno di estrema importanza che ha culturalmente devastato il paese quanto il berlusconismo essendone in definitiva l’altra faccia della medaglia più sofisticata, ma non meno pericolosa. E’ stato cavalcato, per di più da personaggi che contribuiscono a confondere le acque puntando il dito contro fenomeni sì importanti, ma accuratamente selezionati all’interno della complessità dei rapporti sociali. Si tratta di un vero e proprio partito trasversale che é andato a riempire il vuoto lasciato dalle colpe dei partiti comunisti (che brancolano nel buio) e che, pur con tutte le specificità dei singoli, va dalle trasmissioni di Fazio fino a quelle di Santoro, passando per Saviano, Travaglio. Personaggi che al momento opportuno, costruitasi ormai l’immagine pubblica di “affidabili” rivelano tutta la loro integrazione nei peggiori crimini del sistema, mostrandosi (Travaglio e Saviano, non Santoro, su questo punto valida eccezione) complici delle campagne filo-sioniste o imperialistiche di odio contro gli Stati canaglia di turno (si vedano gli sproloqui di Saviano sul caso Neda nel 2009).
Alla luce di tutto questo, la posizione da assumere alla luce degli eventi politici italiani in continuo avvicendarsi, non può essere ipocrita. Per l’ennesima volta il mandato elettorale (di per sé già ridicolizzato a priori dall’oggettiva assenza di sovranità politica e dall’inesistenza di una vera informazione capace di dare minima sostanza alla democrazia) viene in questo paese calpestato a piacimento da poteri economici che se ne infischiano delle scelte popolari, così come se ne strainfischiano delle prostitute del premier, delle leggi ad personam e delle sue vicende giudiziarie. Rifiutandosi di accodarsi alla corte degli antiberlusconiani militanti (interessati, emotivi, viscerali, ipocriti che siano), non si può che denunciare con vigore quanto sta accadendo, senza nulla concedere in termini politici a questo ormai ex-governo di servitori di quello stesso capitalismo sfrenato e antipopolare che i congiurati vogliono servire a loro volta con maggior dedizione preparando nuove strategie di affossamento del paese e delle sue componenti più deboli.
Ottimo articolo!
Sì, un buon articolo davvero… lo diffondo.
Nell’editoriale, Lorenzo chiede e si chiede: «E’ legale svendere sotto i prezzi di mercato fiori di aziende pubbliche, senza alcuna trasparenza, arricchendo la finanza straniera in un’operazione di proporzioni vastissime? E’ legale e trasparente riempire di denaro della collettività aziende come la Fiat per produrre all’estero? E’ legale sovvenzionare a costi altissimi centri sanitari privati, fondi pensione privati che potrebbero essere gestiti a costi nettamente inferiori dallo Stato? E’ legale la missione in Afghanistan e il sostegno all’occupazione israeliana? A tutti coloro che si occupano con alacrità di legalità, ivi compresi personaggi come Travaglio e Saviano, bisognerebbe chiedere a quale parte del concetti di legalità fanno riferimento.»
Mi concentro su questo passaggio, e sulla questione sollevata da Lorenzo Dorato, perché è di fondamentale importanza.
Tralasciando la non essenziale questione delle denunce alla Travaglio o alla Saviano, la “legalità” può essere qui correttamente intesa come un premio per chi ha il potere e domina, ed una punizione per chi il potere non lo ha, ma lo deve interamente subire.
Non voglio arrivare a dire, hitlerianamente, che il diritto risiede nella propria forza, ma tutto dipende, come sempre, dai rapporti sociali di produzione in essere e dagli interessi dominanti che si armonizzano con tali rapporti.
Secondo le logiche del capitalismo finanziarizzato transgenico tutto fila alla perfezione.
La Creazione del Valore, azionaria, finanziaria e borsistica presuppone, fra le altre cose, le privatizzazioni e le svendite di ciò che è ancora in mani pubbliche, e d’altro canto nella concezione liberale estrema – per non andare troppo indietro, possiamo dire da Milton Friedman in poi – lo stato deve essere ridotto ai minimi termini e deve favorire in primo luogo l’espansione del mercato, le logiche liberoscambiste ed oggi la vera “produttività immateriale”, quella di valore realizzata attraverso il dominio della finanza, affinché le ali del capitalismo si dispieghino senza ostacoli sul mondo.
Possiamo spingerci fino a parlare di un “semi-stato”, questa volta non socialistico-comunista ma ultraliberale …
Dare contributi attingendo dai fondi pubblici, direttamente o indirettamente [come nel caso delle rottamazioni], a gruppi produttivi che delocalizzano è altrettanto coerente con lo spirito di questo capitalismo.
Infatti, perché produrre in casa ciò che si può acquistare all’estero a prezzi inferiori, ciò che si può produrre altrove a costi nettamente inferiori?
Da un altro punto di vista, seguendo il principio dei costi comparati sempre presente, fin dalle origini, nel DNA capitalistico, perché non andare a produrre dove i costi si possono abbattere del 50% o addirittura comprimerli fino ad un terzo, oppure addirittura ad un quarto rispetto a quelli sostenuti sul suolo nazionale?
Ecco la vera e sola libertà consentita dal capitalismo, quella che discende dalla proprietà privata e dall’iniziativa privata.
La speculazione finanziaria si confonde con la produzione, nel presente, e l’estorsione del plusvalore classica con la Creazione del Valore, in nome della quale tutto è consentito, nell’ordine vigente, in ragione della costituzione materiale e non di quella formale, e quindi tutto diventa, nei fatti, legale.
Anche il denaro pubblico che sovvenziona enti sanitari privati, scuole private “parificate” [non soltanto religiose, come affermano gli anticlericali preconcetti, ma comunque private] o fondi pensione privati oggetto di lucroso business da parte dei dominanti, rientra in questo preciso ordine d’idee.
Cos’è allora lo stato oggi? Qual è il limite al suo potere decisionale strategico-politico?
Mi rifaccio all’avvio di Capitalism and freedom di Milton Friedaman, pubblicato nel 1962, ma pensato negli anni cinquanta in pieno corso dei “trenta gloriosi anni” di Eric Hobsbawm, in cui l’autore parte dalla celebre frase detta dal presidente John F. Kennedy all’atto del suo insediamento, non chiederti quello che il tuo paese può fare per te, chiediti quello che tu puoi fare per il tuo paese, la sviscera a modo suo e la ripropone sostanzialmente in accordo con il presunto “spirito di libertà” di matrice liberale che [purtroppo] ben conosciamo.
Attenzione perché in quanto segue c’è una certa concezione dello stato, del governo, del pubblico in generale, che oggi è dominate determinando ciò che giustamente scandalizza Lorenzo [ed anche il sottoscritto].
Dire cosa fa il tuo paese per te, significa pensare allo stato “socialista” o blandamente social-democratico, che ti accompagna dalla culla alla tomba con forme di assistenza, significa quindi far riferimento allo stato “mamma” …
Dire cosa puoi fare tu per il tuo paese [intendendo ovviamente stato, governo, ] significa porsi in posizione servile, e ciò identifica uno stato organicistico, autoritario.
Quello che i “veri liberali” amanti della libertà devono chiedersi, secondo Milton Friedman, suona all’incirca così: come possiamo noi individui liberi, mossi dall’interesse privato, usare al meglio lo stato [il governo, il pubblico] per il raggiungimento dei nostri scopi?
Ma di quali scopi si tratta, nel concreto, e chi sono questi individui veramente liberi che utilizzano e controllano le strutture statuali, i governi nazionali, i patrimoni pubblici, per via talora indiretta, onde realizzare i propri interessi privati?
La risposta la conosciamo bene, ed è, in fondo, la risposta alla domanda formulata da Lorenzo Dorato.
Ci siamo intesi?
Saluti antisistemici
Eugenio Orso
A quando la tessera per entrare in Forza Italia? State giustificando con voli pindarici le malefatte di un mafioso che sta coprendo di ridicolo quel concetto di nazione a cui tenete tanto. Che pena che fate!
Chi è questo “Geo”?
E soprattutto, chi giustifica le malefatte del mascalzone di Arcore?
Non mi pare che nei testi pubblicati da Comunismo e Comunità ci siano simili tentativi di giustificazione, o che da loro emerga una sia pur remota [e nascosta] simpatia per il berlusconismo.
Per riscontrare tracce evidenti di berlusconismo, bisognerebbe puntare su ben altri blog, in cui quotidianamente si fa l’apologia di Berlusconi e si pubblicano gli articoli di libero e del giornale.
Questo Geo deve essere sicuramente un provocatore, forse un troll che cerca di scatenare “baruffe” in rete, e quindi è bene ignorare ciò che gratuitamente scrive.
Eugenio Orso
In risposta al commento di Geo.
Non riesco a capire In base a quali elementi hai interpretato il senso dell’articolo come una presunta apologia o giustificazione di Berlusconi e del suo partito. Dove si troverebbe nel testo una giustificazione di Berlusconi e della sua politica? Se provi a rileggerlo passo per passo ti renderai facilmente conto che il tentativo fatto è quello di contestualizzare Berlusconi e il berlusconismo, valutati come fenomeni politici e culturali gravemente negativi, all’interno di un vasto contesto di decadenza politica e culturale. Contestualizzare significa riportare un fatto, una situazione o un personaggio all’interno della realtà, evitando di cadere nella trappola della mitizzazione emotiva (negativa o positiva che sia). Le mitizzazioni, spesso, sono funzionali a impedire l’interpretazione della realtà. Ed in questo caso la funzionalità dell’antiberlusconismo militante puramente viscerale (da cui la teoria del male maggiore aprioristico) è proprio quella di oscurare, da sinistra, la realtà di una classe politica totalmente asservita ai peggiori interessi capitalistici e imperialisti (centro-destra e centro-sinistra allo stesso grado di implicazione).
Se contestualizzare nella realtà per te equivale a giustificare o persino apprezzare le cose sono due:
- o ti muovi lungo un asse interpretativo in cui si è o da una parte o dall’altra, esattamente come quando si tifa e non c’è biosgno di alcuna analisi. Si tratta del ricatto del bipolarismo. O con me, o con l’altro!
- oppure ritieni Berlusconi e il berlusconismo dei pericoli talmente forti da superare ogni altra considerazione. Ma allora dovresti argomentare questa posizione, anziché sparare alla cieca con toni inquisitori di accusa preventiva.
Per l’ennesima volta il mandato elettorale (di per sé già ridicolizzato a priori dall’oggettiva assenza di sovranità politica e dall’inesistenza di una vera informazione capace di dare minima sostanza alla democrazia) viene in questo paese calpestato a piacimento da poteri economici che se ne infischiano delle scelte popolari, così come se ne strainfischiano delle prostitute del premier, delle leggi ad personam e delle sue vicende giudiziari
Questo è esattamente la giustificazione che utilizzano il mafioso di Arcore e i sui servi per giustificare le loro malefatte morali, economiche e sociali.
Non ho voglia di perdere altro tempo, per caso ho trovato questo sito e per caso perderò l’indizzo.
Buon lavoro “compagni”
Ancora una volta questa rivista si dimostra all’avanguardia nel panorama italiano. Qui c’è una critica serrata all’antiberlusconismo, senza cadere nei pericolosissimi eccessi tipici dei lagrassiani. Avanti così.
Grazie per i commenti positivi.
In ulteriore risposta a Geo, mi chiedo quale sia la connessione tra:
1- l’affermare che vi un oggettivo tradimento di un mandato elettorale per scopi non nobili, ma legati a probabilissimi giochi di potere interni a scontri intercapitalistici.
2- giustificare le malefatte berlusconiante.
Fracamente mi sfugge il punto di connessione tra il punto 1 e 2.
..comunque visto l’atteggiamento dell’interlocutore assai poco disposto a dialogare sulla sostanza dei contenuti, direi che c’è poco altro da aggiungere.
Caro Lorenzo,
l’articolo è ottimo e è quasi inutile precisare che sono d’accordo su tutto. Mi permetto di segnalare agli altri compagni il mio articolo, che segue la stessa linea del tuo: “O il partito alternativo al partito unico delle due coalizioni o un colpo di stato o la dissoluzione della Repubblica Italiana” link http://www.appelloalpopolo.it/?p=2207
Il “berlusconismo” si vende come il male assoluto, o meglio, come la sorgente di tutti i mali del paese, e chi provvede a venderlo come tale nasconde sicuramente intenzioni non dichiarate, e nel contempo connessioni inquietanti con i soliti “poteri forti” che puntano alla svendita integrale di questo paese, del suo patrimonio pubblico e delle unità produttive ancora funzionanti e in vita.
Il “berlusconismo” non è certo la sorgente prima di ogni italica disgrazia, ma principalmente l’immagine impietosa del degrado complessivo del paese, le cui cause sono precedenti all’avvento del miserrimo e clownesco piazzista di Arcore.
Come ben sappiamo, Berlusconi non ha espropriato lo stato stato italiano della sovranità monetaria e di quella politica, diminuendolo nelle sue funzioni, ma ha soltanto “approfittato della situazione” da buon venditore [di se stesso anzitutto] che annusa l’affare.
La sua discesa in politica, come del resto la sua persistenza nelle stanze del potere in cui rimarrà fino all’ultimo secondo, è essenzialmente dovuta alla necessità di sottrarsi ai “colpi di mano” dell’odiata magistratura [potentato opposto alla fazione "berluscones"] e di preservare ed estendere il suo patrimonio personale e familiare.
Questo piccolo cesare gangsteristico – dall’indimenticabile film degli anni trenta Little Caesar di Mervyn LeRoy, interpretato dal grande Edward G. Robinson che guarda caso fisicamente assomiglia un po’ a Berlusconi … – deve affrontare poteri molto più grandi di lui e della gang locale che gli sta alle spalle.
Infatti, mentre Cesare Rico Bandello, spietato ed ambizioso gangster in ascesa che tenta la scalata ai vertici del crimine, muore nella pellicola di LeRoy in uno scontro a fuoco con la polizia, il gangsterello-venditore di Arcore morirà misteriosamente o sarà costretto ad abbandonare la scena dai poteri finanziario globalisti d’oltre oceano, che operano attraverso i loro più fidati “Quisling” locali, dopo una scalata che l’ha portato ai vertici del malconcio “semi-stato” italiano.
Non so se Lorenzo condividerà questa mia sommaria [e forse un po' rozza] descrizione della situazione politica italiana, divisa fra “berlusconismo ed “antiberlusconismo”, ma una cosa mi pare certa: questa lotta fra due fazioni sistemiche – che usano gli stessi sistemi gangsteristici, si badi bene – nasce dal degrado imperante e dalla diminuzione di autorità e sovranità statuali e non ne è la causa prima.
Saluti antagonisti
Eugenio Orso
La risposta
http://2.bp.blogspot.com/_kZTb9LhxylQ/S40-MSAd5_I/AAAAAAAAAKI/J2hnWj7uMxw/s1600-h/Iran%27s+Revolutionary+Guard.jpg
Sulla prima parte dell’articolo non ho molto da commentare, anche se mi sembra un po’ eccessivo concludere che un quadro così complesso di complotti internazionali sia evidente per semplice buon senso. Le ingerenze occulte del potere internazionale in passato sono intervenute soprattutto per evitare che in Italia il potere passasse nelle mani di un’opposizione sgradita. Mi chiedo come mai in questo caso non ci sia stata altrettanta lungimiranza nell’impedire l’ascesa di un personaggio la cui imprevedibilità è da sempre così manifesta e mi chiedo anche il perché delle testimonianze di stima e credibilità che i principali leader del blocco nord atlantico continuano a testimoniare a Berlusconi, quando invece potrebbero facilmente screditarlo come interlocutore.
Condivido invece pienamente la disanima del anti berlusconismo militante contenuta nella seconda parte dell’articolo, piaga mortale che impedisce tuttora qualunque forma di serio ripensamento sugli assiomi del moderno liberismo.
C’è solo una peculiarità culturale del berlusconismo che a mio avviso l’articolo di Lorenzo trascura: l’esaltazione esplicita dell’individuo che con la sua abilità si pone al di sopra delle regole e dell’etica. Una parte dell’elettorato dell’attuale governo, e temo la maggioranza degli elettori più giovani, vota Berlusconi proprio per il fascino dell’uomo che con la sua astuzia si è assicurato un potere che lo rende libero da qualsiasi obbligo sociale e morale.
La politica del centrosinistra, nei fatti del tutto analoga a quella del centrodestra, si basa però sul richiamo ai valori della socialità. Un richiamo ipocrita quanto si vuole, ma che è comunque in grado di esercitare presa su un certo elettorato e che almeno non propaganda esplicitamente valori distruttivi di qualsiasi forma di convivenza civile.
In risposta a Marco:
sulla prima parte potrei risponderti che le cose, come provavo a far capire nell’articolo, non sono affatto così nette in un senso o nell’altro. E’ chiaro che Berlusconi NON è un reale elemento antiegeominico rispetto al potere del blocco atlantico. Anzi ne è stato un fedele servitore (guerra umanitaria, scandali di sovranità territoriale lesa, basi militari ampliate etc etc). Non è un Mattei, per intenderci, che aveva in mente un progetto antiegemonico capace di mettere in seria crisi le strutture di potere legate ai cartelli petroliferi. Non a caso fu ucciso! Berlusconi semplicemente unisce un servilismo manifesto ad un’imprevedibilità nello stringere legami economico-affaristici che spesso cozzano parzialmente con la linea ufficiale nord-americana. Perché non lo hanno “fatto fuori” subito? Probabilmente perché gli screzi sono iniziati soltanto in un secondo momento. E poi, per quanto la sovranità italiana sia oggettivamente limitata, questo non significa che non ci siano margini di deviazione dalle direttive principali imposte. In terzo luogo, infine, un personaggio, specie se privo di un orizzonte ideale (come sicuramente è un Berlusconi e insieme a lui tanti altri politici di questa seconda repubblica), può incarnare contemporaneamente istanze opposte: ad esempio un filoamericanismo sfrenato anche manifesto e un contestuale comportamento ambiguo nelle scelte di politica estera commerciale. Riguardo alle lodi che arrivano da oltreatlantico, anche lì valuterei l’ambivalenza del tutto: da un lato arrivano lodi e ringraziamenti, dall’altra un Luttwack, portavoce in Italia della strategia suprematistica USA, afferma con candore che il loro uomo è Gianfranco Fini e che Berlusconi non è affidabile (per quanto di certo non sia un “nemico”).
Sulla seconda parte, invece, ti ringrazio davvero per il tuo commento che permette di riflettere su quello che è un punto centrale:
il centro-sinistra anche se ipocritiamente farebbe leva su uno spirito di civiltà e solidarismo minimi nei discorsi ufficiali, mentre il centro-destra andrebbe direttamente a solleticare l’individualismo più bieco e marcio delle persone proponendo un modello sociale darwinista in economia e “anarchico” e brutale nelle regole e nelle istituzioni.
C’é del vero in questa frase, ma a mio avviso c’è anche qualcosa che non mi convince.
Sono convinto infatti che, pur ammettendo una maggiore vocazione ideologica (ipocrita) verso una civiltà minima del diritto e del solidarismo minimi, allo stesso tempo la “sinistra” è veicolo oggi di una versione colta dell’individualismo e della mercificazione della vita sociale. Che questa versione sia interna ad un’idea di legalità e di esistenza di norme minime può anche darsi, ma resta il fatto che è l’idea di fondo che ha prodotto la più supina accettazione della trasformazione sociale che ci è stata imposta negli ultimi venti anni, attraverso uno straordinario fenomeno di adesione passiva o attiva ai dogmi del neoliberalismo. In ultima istanza si tratta del mito dell’economia come forza autonoma che in ultima istanza deve dominare i processi politici che non sono altro che esecuzione tecnica delle “norme” economiche. Questo mito ideologico, paradossalmente, è più forte nella sinistra liberale che nella destra, poiché la destra vende la versione hard e popolare (e in quanto tale apparentemente più spaventosa) della società come luogo della competizione sociale sfrenata e del paraculismo individualistico. Quale è più pericolosa delle due ideologie? Onestamente non lo so, anche se istintivamente posso ritenere più raccapricciante la versione hard per i suoi effetti di breve periodo. Ma nel lungo periodo? Il lavoro ideologico che ha imposto l’idea della morte della politica come scontro ideale, ridotta a mera esecuzione di tecniche gestionali, è un lavoro devastante che ha portato agli attuali risultati.
Detto questo, su una cosa però concordo con te. Sul fatto che sia assolutamente possibile, ed anzi auspicabile, interagire positivamente con le istanze sociali ed etiche dell’elettorato di centro-sinistra che senz’altro sono presenti, ed anzi sono affossatte e avvilite proprio dall’ideologia di cui sopra. Ma la stessa cosa potrei dirla, in termini del tutto diversi, dell’elettorato di centro-destra di tipo popolare, la cui vocazione tradizionale per l’ordine e la stabilità esistenziale andrebbe incanalata in forze solidaristiche buttando via la spazzatura dell’individualismo proprietario e meschino.
In ogni caso, è certo che la forza di civilità e di solidarismo potenziale che l’elettorato di centro-sinistra può esprimere deve urgentemente essere guidata verso una riappropriazione della politica e del diritto della politica di imporre le proprie logiche agli automatismi del sistema di potere.
Scusa la lunghezza
Lorenzo
Rispetto all’ultima parte del discorso di Lorenzo (che condivido ampiamente) vorrei fare una mia piccola considerazione. Dovremmo evitare di considerare la società come bacini elettorali mossi da vocazioni ideologiche. Bisogna distinguere fra i segmenti politicizzati (che riguardano entrambi le aree elettorali) ed invece la gran massa che agisce non secondo coordinate politico-ideologiche, ma secondo coordinate “empiriche”, senza naturalmente sottovalutare il peso dell’ideologia dominante.
Ritengo sbagliato pensare che esistano elettorati di centrosinistra ed elettorati di centrodestra. Esistono comportamenti elettorali che possono alternarsi con una certa facilità, specialmente in un sistema elettorale di tipo maggioritario come il nostro. Utile invece è provare a cogliere le tendenze interne alle diverse aree sociali, che esprimono appartenenze di classe. I ceti popolari sono tendenzialmente meno sensibili ai comportamenti del Presidente del Consiglio quanto invece non lo sono i ceti medio-alti che, invece, sono indignati per i comportamenti dello stesso. Eccetera.