Istruzioni per l’uso
nov 3rd, 2010 | Di Antonio Catalano | Categoria: Politica internadi Antonio Catalano
Mentre impazza il gossip sulle squallide vicende che coinvolgono il nostro presidente del Consiglio, vorrei ritornare al discorso di Emma Marcegaglia al convegno dei Giovani imprenditori a Capri. Un intervento fatto non ad elettori da blandire ma ad imprenditori giovani da orientare e riempire di orgoglio di appartenenza alla propria classe; che rispondono con applausi scroscianti e liberatori. Ma sbaglieremmo se pensassimo che il discorso è rivolto ai presenti, o solo ai presenti; esso è principalmente rivolto a chi dovrà accogliere queste istruzioni per l’uso, e cioè al mondo delle istituzioni e del personale politico in esse insediato, e al mondo delle parti sociali. Si tratta di capire una cosuccia di fondo: che il mercato è sacro e che ad esso tutti devono inchinarsi. Altro che chiacchiere!
Noi vogliamo il mercato, sappiamo che il mercato è difficile è complesso duro, ma è l’unica strada per poter creare ricchezza occupazione in modo solido e duraturo. [applausi della platea]
Così declama la Nostra. Naturalmente, mercato inteso come grumo di interessi capitalistici. E il mercato ha le sue regole e queste vanno rispettate fino in fondo come una volta si rispettavano i precetti religiosi. Costi quel che costi. E che nessuno si metta in testa di creare problemi! Che i sindacati si comportino bene e facciano quello che noi gli diciamo di fare! Bisogna adeguarsi al mondo che abbiamo, dice la nostra Emma, altro che difesa della contrattazione collettiva, ed altri avanzi di quella fase storica in cui lo Stato doveva pur dare conto ai lavoratori delle loro rivendicazioni.
Noi oggi siamo davanti a una svolta storica nelle relazioni sindacali nel nostro paese. È evidente che sto parlando della Fiat di Pomigliano. Questa è una svolta vera perché finalmente l’impresa da una parte e un pezzo consistente del sindacato capiscono che bisogna adeguarsi al mondo che abbiamo, capiscono che dobbiamo cambiare il modo d’agire che abbiamo avuto fino ad adesso, capiscono che dobbiamo insieme ridisegnare le nuove condizioni per essere più competitivi sui mercati globali. [applausi della platea]
Servono, vuol dire la Nostra, sindacati gialli alla Bonanni che lecchino il culo ai padroni e che sappiano far capire ai lavoratori quanto sia necessario, se non addirittura bello e giusto, fare come dice e vuole Marchionne… altro che quella rompiscatole di Fiom! Si tratta di farla finita non solo con la lotta di classe, ma con la semplice conflittualità: lavorare di più e con più intensità, lavorare sempre, senza pause, anche con la febbre addosso.
Allora innalzare la produttività al livelli di altri stabilimenti… sono queste le relazioni sindacali che noi vogliamo… allora se uno stabilimento, voglio dirlo con molta chiarezza, storicamente ha avuto problemi di assenteismo intollerabile, di false malattie esorbitanti, non ci possiamo più permettere di chiudere un occhio… qui non si può proteggere i disonesti, perché uno che sta in assenteismo un sacco di giorni non è un buon lavoratore è un disonesto. [applausi della platea]
E basta con quest’idea perversa che lo Stato debba spendere in sanità istruzione lavoro prevenzione cura del territorio eccetera, insomma basta con lo Stato che si interessa dei bisogni della popolazione e dei territori in cui essa vive (ma quando mai questo stato capitalista lo ha fatto se non costretto dalle lotte sociali?). La spesa pubblica è da tagliare drasticamente. E per buttare fumo negli occhi la nostra pasionaria confindustriale perfidamente confonde lo stato sociale imposto dalle lotte delle classi lavoratrici con lo stato degli apparati burocratici parassitari e papponi. Questo Stato sì da eliminare!
In Italia la spesa pubblica corrente è aumentata di 6 punti % di PIL dal 2000 al 2009, è andata fuori controllo, la manovra del governo indica una riduzione di 1,6 punti di Pil in due anni, noi la condividiamo la supportiamo, dobbiamo ritornare ai livelli di spesa corrente più bassi. Questo Stato è troppo grosso, c’è troppa gente che vive sotto l’ombrello dello Stato. [applausi della platea]
E che il Governo faccia quel che si è impegnato a fare. La manovra del Parlamento
non deve assolutamente essere spolpata, perché se questo dovesse succedere noi avremmo un danno enorme, perché se noi non facciamo la scelta di rigore oggi noi avremmo dei problemi grossi. Confindustria è a favore del rigore che nasce da questa manovra.
Ma perché questa politica di “rigore” possa procedere ed avere credibilità sociale bisogna offrire un’immagine di sé decorosa e dignitosa: una classe politica più seria, più attenta, più decorosa; uno Stato dignitoso. E poi, vuoi mettere? All’estero ci guardano!
Noi richiamiamo da mesi la politica ai suoi doveri. Ora, dopo i nuovi gossip così come ad ogni dossier, è arrivato il momento di recuperare il senso delle istituzioni dello Stato, la cui credibilità e il cui prestigio sono lambiti da un’ondata di fango. [applausi della platea]
Confindustria ha dettato le sue condizioni, è chiaro che queste potranno essere soddisfatte alla condizioni che ci sia un minor tasso di conflittualità (e litigiosità) nel mondo della politica, e soprattutto che ci sia un forte appecoronamento sia dei lavoratori che di tutti i soggetti che non hanno nulla da guadagnare nel fare propria una politica di tal fatta (precari, disoccupati, donne proletarie, pensionati al minimo…). Pur non potendo ridurre lo Stato (capitalista) a semplice comitato di affari della borghesia, in quanto nella formazione statale si riproducono al proprio interno rapporti di potere e di classe, è pur vero che questo stato non è lo stato di tutti i cittadini, al di sopra delle parti quindi; è, questo, uno stato – certo, conflittualmente – organico alle ragioni sociali dell’azionista di maggioranza. E questo azionista lo possiamo chiamare padrone, borghese, capitalista, dominante, o altro ancora, ma è quella cosa lì che costringe la maggioranza dell’umanità a vivere sotto schiaffo.
Ma intanto perché non parlare di Ruby e dei gusti sessuali del nostro caro e pur…caro Presidente del Consiglio?
Caro Catalano,
“Noi vogliamo il mercato” dice la Marcegaglia, davanti ai suoi accoliti …
Loro vogliono in primo luogo i soldi pubblici, in forma di sgravi fiscali e contributivi, rottamazioni ed incentivi vari, o in qualsiasi altra forma, purché possano mettere le mani sul danaro di provenienza pubblica.
Ma ciò è in forte e palese contrasto con le parole – anzi, con quello che sembra un vero e proprio atto di fede mercatista – “Noi vogliamo il mercato”.
E cos’è il Mercato?
Una mera astrazione sotto la quale non c’è nulla? Una presa per il culo estemporanea di loschi cialtroni come la Marcegaglia, che vorrebbero pasteggiare con i soldi pubblici? Un’espressione dai contenuti esoterici della Golden Down? Un ‘invenzione liberal-liberista per inculare storicamente le masse innumerevoli, alla quale ricorre anche la Marcegaglia?
Forse, ma a mio sommesso avviso e in breve, il Mercato ha tre volti ben riconoscibili:
1) Dogma ideologico ad alto contenuto religioso [religione ovviamente atea] che i subalterni devono accettare criticamente. “La sentenza del Mercato” non si deve discutere, anche quando ti coplisce personalmente. Si perde il posto di lavoro stabile ed in cambio si ottiene un posto a termine in una cooperativa di pulizie industriali? Lo vuole il Mercato! Ci si libera di Termini Imerese? E’ la legge del Mercato. Voluntas Dei …
2) Sofisticato mascheramento degli antichi modi di procurarsi beni e ricchezze: razzia, saccheggio, furto, borseggio, eccetera. Sistematizzare la rapina e riuscire a riprodurre il sistema per molte generazioni, è il sogno di qualsivoglia ladro, imbroglione e saccheggiatore.
3) Sistema di razionamento ed esclusione che raziona i beni in modo più efficiente delle vecchie tessere annonarie di epoca fascista, ed esclude interi settori della società e interi popoli nel mondo dal godimento del prodotto sociale. A puttane tutte le teorie dell’economia di marcato sul prezzo di equilibrio, sull’incontro di domanda ed offerta, perché non servono. Razionamento ed Esclusione sono operanti e giustificano il mercato come strumento di dominio.
Scusate il tono talora prosaico, talatra vagamente canzonatorio, ma quando sento “Mercato”, “Marcegaglia”, “Marchionne” e simili, comincio ad incazzarmi … del resto, fra le tante emme maiscole, ci sta bene anche “Merda”!
Cari saluti anticapitalisti, antiliberali, anttiliberisti e cnticonfindustriali
Eugenio Orso
L’astrazione che loro chiamano mercato è quella cosa materiale che costringe masse di genere umano a subire sulla propria pelle conseguenze catastrofiche. Lo vogliono i mercati! Altro che dogma religioso! Almeno la religione tradizionale promette la la salvazione eterna!
Ottimo commento Eugenio,
…infatti Antonio si tratta di una religione secolarizzata e positivista che non permette nessuna salvazione, ma ha un carattere ideologicamente consolatorio e semplificativo. Il mercato infatti, come ideologia, uccide la politica, che è la più alta forma di condivisione del bene comune. La uccide perché la sottomette totalmente ai meccanismi automatici della somma degli egoismi individuali.
Per permettere al mercato di diventare un’ideologia pervasiva c’è bisogno dell’ideologia del progresso materiale come orizzonte ultimo di realizzazione. Senza ideologia del progresso non c’è ideologia del mercato che tenga. Anzi dirò di più. Senza progresso ideologico non c’è società di mercato. Il mercato infatti rimane un semplice mezzo contigente e non assurge a motore delle relazioni umane.
Lorenzo Dorato
L’ideologia del progresso è l’ideologia della modernizzazione. Capitalistica s’intende. Purtroppo il movimento operaio ha purtroppo condiviso l’ideologia de progresso – ed è difficile pensare che le cose avrebbero potuto andare diversamente, anche se non necessariamente avrebbe dovuto essere così. Ora però questa ideologia, specialmente nei paesi occidentali, non ha più un fondamento materiale su cui basarsi e quindi è ancor più evidente come questa idea del progresso è direttamente veicolata dal capitalismo. Per essere più esplicito: il capitalismo nella sua versione odierna – cioè turbo o “assoluta” (nel senso che i rapporti sociali sono stati interamente sottomessi alla logica di valorizzazione capitalistica) mette in evidenza nella materialità dei rapporti sociali la non corrispondenza tra “modernizzazione” e miglioramento delle condizioni di vita. Insomma, il capitalismo è “progressista”, in quanto non concepisce e non tollera nessuna forma di “conservatorismo”. Il mercato per affermarsi necessità di un apparato ideologico del tutto subalterno all’idea di progresso.
Ottimo articolo Antonio! Condivido molto pure quanto detto da Lorenzo nel commento n.3 da Lorenzo e nel successivo da te. L’idea di progresso e il relativismo etico sono i vestitini dell’odierno sistema economico. Un progresso inteso come un qualcosa in continuo movimento e in continua trasformazione, che nulla lascia di solido e fermo dietro di se, è l’deologia perfetta per l’attuale fase di finanziarizzazione capitalistica. Conseguentemente, si forma il relativismo etico, ossia la trappola con cui i dominanti si fanno beffe dei dominati; la mancanza di qualsiasi valore (uso il termine anche se non mi piace più di tanto) comunemente accettao, la mancanza di un minimo comun denominatore etico su cui fondarsi, oltre a creare il caos sociale e dei costumi, preclude la possiblilità di qualsiasi reale critica culturale al sistema ideologico dominante. Cosa si critica se tutto è il contrario di tutto e se ognuno può avere la propria etica, religione e visione del mondo costruita con il kit fai da te?
Il mercato è assolutamente la maschera ideologica di un progetto ben preciso. Io credo che il capitalismo nelle fasi acute delle sue crisi fisiologiche, abbia sempre prodotto regimi mascherati da ideologie. Adesso ci troviamo in una di quelle fasi e, quello che dobbiamo evitare è proprio il rischio che le ideologie, in questo caso il mercato, “possano” diventare la maschera di un regime,