Jingle bells!
nov 2nd, 2010 | Di Pietro Garante | Categoria: Politica Internazionaledi Pietro Garante
E’ sotto gli occhi di tutti che i cosiddetti “colloqui di pace” tra Palestinesi e Israeliani non sono mai serviti a nulla. In decenni di colloqui i Palestinesi hanno visto via via ridursi il loro spazio vitale al lumicino (evito, per un minimo di decenza, il termine fantascientifico “nazionale”: una nazione palestinese non è mai stata nel progetto di nessuno; è meglio metterselo in testa).
Eppure sono tuttora in corso “colloqui di pace” tra lo sputtanatissimo presidente palestinese Abu Mazen e il premier massacratore israeliano Netanyahu.
Immaginiamo allora anche un altro scenario; cioè che oltre a lavorare ulteriormente ai fianchi i Palestinesi questi colloqui di pace servano anche (magari come by-product) a creare un clima per giustificare improbabili attentati o tentativi di attentato. Da parte di chi? Guarda un po’: la solita al-Qaeda. Messi in piedi come al solito da attentatori di cui fino al giorno prima non si sa nulla ma di cui il giorno dopo, guarda caso, si sa nome, cognome, residenza e ogni sorta di abitudine.
Tentativi come i pacchi-bomba di questi giorni, che sarebbe meglio definire semplicemente “pacchi” (nel senso di bufala).
Magari ci si mette anche qualche attentatore solitario a Istanbul che si fa saltare in aria con un po’ di passanti nella mia amata Taksim Meydanı. Un curdo? Un fondamentalista? Chi lo sa; però fa brodo.
Che tipo di brodo? Quello per cui pochi giorni fa Fiamma Nirenstein ha indetto a freddo una manifestazione a Roma di appoggio a Israele. Anzi, come già ebbi modo di dire, di “appoggio preventivo”. Un appoggio che è stato dato con entusiasmo da persone come Saviano, Fassino, l’indimenticabile reuccio di Roma Uoltere Ueltroni e, ovviamente, Giovanna Melandri, colei che è passata dal comunismo alle feste di Briatore a Malindi come se avesse gli stivali delle sette leghe.
Ma appoggio preventivo a che cosa? Al prossimo strike da parte dei sionisti.
Il bersaglio grosso è, ovviamente, l’Iran. Ma ci potrebbe essere una tappa intermedia, ovvero il Libano, dove Hezbollah è una spina nel fianco Nord d’Israele, dove le ripetute sconfitte di Tsahal bruciano ancora e infine dove le cose si potrebbero mettere male nel caso di un attacco a Teheran.
Bisogna quindi normalizzare – nell’usuale senso dell’imperialismo occidentale – il Sud del Libano. Si capirebbe così come mai ai tempi della vivisezione di Gaza di quasi due anni fa, da fonte israeliana si veniva a sapere che quella era una specie di “prova” (militare e politica) di quanto sarebbe dovuto succedere più in là in Libano.
Possiamo allora anche immaginarci, come infatti mi immaginai, che l’attacco selettivo alla nave turca della Freedom Flotilla aveva poco a che vedere con i Palestinesi, ma aveva molto a che vedere con la Turchia di Erdoğan: l’alleanza di Israele col Paese che fu già di Atatürk ma che ormai più che all’Europa è interessato ad una politica panturanica con direttrice l’Asia (chiamali scemi, con un aumento del PIL dell’11,7%, l’Europa è solo business as usual con Paesi importanti ma in declino; i soldini invece stanno in Asia), con un’alleanza ormai sfilacciata sul piano della sua compattezza geostrategica e sempre più riottosa (ve li ricordate i vari modi con cui la Turchia si è defilata dalle guerre di Bush, no? e come la mettiamo con la recente mediazione con Teheran sulla questione nucleare?), con questa alleanza che faceva acqua da tutte le parti, insomma, era meglio troncare, per avere più libertà d’azione.
La probabilità di vedere entro qualche mese l’ennesima prova devastatrice del secondo stato più canaglia del mondo (il primo essendo il suo protettore, cioè gli USA), sono quindi molto alte.
Ma temo che sia alta anche la probabilità che per “creare l’atmosfera” ci possa essere un vero attentato, magari natalizio.
Jingle bells!