Dalla crisi del marxismo al marxismo della crisi
ott 25th, 2010 | Di Redazione | Categoria: Teoria e criticadella Redazione
Venerdì 22 Ottobre, nella sala del sindacato Failea-Falcev, il laboratorio Comunismo e Comunità ha dato spazio ad una lezione del compagno logico-matematico nonché studioso di economia marxiana Piero Pagliani. Si è trattato di un’interessante sintesi di suoi recenti studi sull’economia capitalistica basati sulla rielaborazione, influenzata in diversi punti dalla critica di Costanzo Preve, di lavori che oltre a quelli di Marx vanno dalle analisi sui cicli sistemici di accumulazione e sulle diverse forme di imperialismo di Giovanni Arrighi, con cui Pagliani aveva militato a Milano negli anni Settanta e al quale riconosce il proprio fondamentale debito intellettuale, fino a David Harvey passando per gli studi di Karl Polanyi, di Marcello De Cecco e per quelli di Michael Hudson. Una rielaborazione che confluirà ben presto in un libro (il terzo di carattere politico, dopo “Alla conquista del cuore della Terra”, Punto Rosso 2003 e “Naxalbari-India. La rivolta nella futura terza potenza mondiale”, Mimesis, 2007) .
Il titolo della conferenza-lezione era “Dalla crisi del marxismo al marxismo della crisi”.
Constatando che se il movimento comunista nel Novecento ha subito una sconfitta netta una ragione deve esserci stata anche nella teoria che lo guidava, rifiutando spiegazioni basate su categorie semplicistiche come “tradimento” e rifiutando pertanto un puro “ritorno a Marx” come se questa sconfitta e tutto il Novecento stesso non ci fossero mai stati, il punto di partenza è stata la critica della concezione lineare del capitalismo, come processo storico che si articolerebbe in fasi successive fino a raggiungere un suo presunto (e inesistente) stadio supremo. Tale concezione, già viva ai tempi della sistematizzazione del marxismo come teoria e insieme ideologia (ovvero i tempi di Kautsky), ripresa in buona parte anche dallo stesso Lenin (che parlava di “fase suprema del capitalismo”), è oggi riproposta in forme diverse dal marxismo maggiormente in voga. Da un lato larga parte della sinistra marxista parla di “crisi del capitalismo” tout-court in riferimento alla crisi economica in atto, dall’altra si segue la versione tardo-operaista di un impero acefalo come unificazione del capitalismo in una presunta unica struttura di potere in lotta contro presunte moltitudini deterritorializzate. Le due impostazioni convergono nell’individuare nell’attuale crisi sistemica la spia di uno stadio in cui emergono quei segnali di crisi strutturale e irreversibile aspettati fin dall’epoca del “Manifesto” di Marx ed Engels, cioè di uno stadio “culminante” del capitalismo in quanto modo di produzione in generale, ignorando quindi due aspetti fondamentali:
1- la ricorrenza nelle crisi sistemiche di alcune caratteristiche, come ad esempio la finanziarizzazione, che quindi non è una novità, benché ogni crisi sistemica non riproduca la configurazione capitalistica precedente ma, al contrario, le rivoluzioni profondamente (ed è per questo motivo che da questi processi ricorsivi si è “estratta” una progressione per stadi successivi);
2 il coordinamento di ogni ciclo di accumulazione sistemico da parte di un blocco egemonico di interessi che fa riferimento ad un centro organizzativo territoriale, e quindi una formazione sociale particolare, cosa che non permette di parlare di una crisi generale dello stato-nazione, ma solo della crisi di alcune prerogative degli stati nazione in quanto disarticolate dal centro nazionale coordinante (attualmente gli USA, potenza egemonica in crisi).
In estrema sintesi la concezione arrighiana del capitalismo storico come processo a spirale viene riproposta da Pagliani per riaffermare due concetti. Da una parte la necessità di interpretare la crisi capitalistica come crisi di un ciclo di accumulazione specifico secondo un modello ricorrente, seppur ogni volta in forme inedite, con caratteristiche peculiari e che comunque non è destinato a riprodursi necessariamente. In particolare l’attuale crisi sistemica sarebbe la crisi del ciclo statunitense, iniziata nel 1971 e definitivamente esplosa nella sua forma attuale a partire dal biennio 2007-2008. Il neo-liberismo, lungi dal rappresentare una generale fase suprema (o terminale) del capitalismo è stata una specifica modalità di gestione della crisi (con ovvi gravissimi esiti sociali) dell’egemonia statunitense, “corazzata di coercizione”, come avrebbe detto Gramsci (gestione ovviamente resa possibile finora anche dall’indebolimento delle lotte sociali e dalla successiva caduta del blocco socialista). La globalizzazione, detto in altri termini, sarebbe quindi, come ebbe a dire lo stesso Kissinger, la forma peculiare assunta dal dominio nord-americano sul resto del mondo per cercare di gestire la crisi sistemica con modalità che come è successo nelle crisi precedenti, non fanno che approfondirla e allargarla. La seconda immediata conseguenza della lettura di Pagliani è l’importanza di un’analisi che non si limiti a certificare un presunto conflitto mondiale unificato capitale-lavoro, ma si ponga il problema delle contraddizioni orizzontali esistenti tra blocchi di potere nazionali e macro-regionali; non certo perché ci si debba schierare, ma perché la specifica conformazione del potere del denaro e del territorio (come ben intese Lenin nella sua acuta analisi politica dell’imperialismo), richiede la conoscenza dei diversi livelli in cui il dominio capitalistico si esercita. Ignorare questo punto d’altro canto rischia di condurre ad errori politici madornali, come se fosse possibile agire in forma pura al di fuori del contesto dei rapporti di forza e delle reali conseguenze che determinate azioni hanno.
La relazione di Pagliani infine si è soffermata su elementi specifici dell’attuale conformazione di potere capitalistica nel contesto della crisi. L’esistenza di un blocco politico in Europa e in Italia asservito non solo al capitale in generale, ma nello specifico alla strategia di dominio statunitense è un elemento direttamente legato alle politiche antipopolari ed antisociali portate avanti dai governi di centro-destra e di centro-sinistra. Un esempio tra i tanti, oltre alle servitù militari, all’appoggio alle guerre imperialistiche USA e alle continue esplicite violazioni di sovranità, è il ricatto politico che impone alle Banche Centrali nazionali di detenere decine di miliardi di debito pubblico americano (a rendimento zero), immobilizzati…. mentre si declama l’assenza di risorse per le pensioni, la scuola, la ricerca, la sanità e le politiche di sviluppo e investimento pubblico.
In conclusione, ci auguriamo che la conferenza sia stata utile per tutti i presenti al fine di riflettere su alcuni aspetti dell’analisi del capitalismo non sempre al centro dei riflettori delle critiche antisistemiche.
A chiunque fosse interessato ad approfondire le tematiche qui appena accennate consigliamo di usufruire del testo di Pagliani che a breve verrà distribuito in rete gratuitamente.