Agorà: così così
ott 10th, 2010 | Di Piero Pagliani | Categoria: Recensionidi Piero Pagliani
Che i tempi non siano ancora maturi per una riflessione su cosa sta accadendo, ce lo dimostra il successo “militante” del film del regista cileno-spagnolo Alejandro Amenábar, “Agorà”.
Essendo uscito dalle sale da un bel po’ se ne può parlare con la distanza giusta per cercare di capire alcuni fenomeni legati al politically correct nelle arti e nella cultura in generale.
Quanto è naturale il film di Diritti “L’uomo che verrà” di cui abbiamo parlato alcuni mesi fa, tanto è artificiale quello di Amenábar, a partire dalla ricostruzione in digital-colossal dell’antica Alessandria d’Egitto, per arrivare, cosa più importante, al racconto. Qui tutto è una didascalia da “evento culturale”, ogni frase rassomiglia a una di quelle targhette che illustrano l’opera esposta in un museo, dove per ricreare il clima – e far vedere la propria cultura – il bicchiere è chiamato “vaso potorio”.
Eppure Amenábar ci aveva deliziato con film come “The Others” con Nicole Kidman. Una storia gotica che però sembrava meno artificiale di questa che pure racconta fatti storicamente accaduti.
Il problema, a mio avviso, è che ad Amenábar interessa poco parlarci della filosofa Ipazia, bensì gli interessa esporre una tesi semplicistica sul fanatismo religioso. E nemmeno perché esso sia la forma peggiore di fanatismo, quello nazista religioso non lo era, ma proprio perché è religioso. Tutti i complessi e intricati percorsi che portano dal messaggio di Gesù alla lotta per il potere sono sorvolati per giungere alla tesi principe: una donna sola contro un fanatismo sessista che ovviamente ci condiziona anche adesso, tramite la Chiesa Cattolica in particolare.
Vorrei mettere in chiaro che chi scrive è un protestante che era venuto a conoscenza della storia di Ipazia già da moltissimi anni tramite l’omonimo dramma di Mario Luzi del 1978 e si era da allora innamorato della figura di quella filosofa, indubbiamente una martire pagana.
Ma che distanza tra il “cattolico” Luzi e il “laico” Amenábar!
Nel primo c’è la sofferta riflessione sulla tragedia di un messaggio tradito, nel secondo un’accusa talmente facile che è sicura di aver vinto in partenza.
E’ ovvio che ogni persona dotata di coscienza esce dalla visione del film orripilata dal martirio dell’innocente Ipazia e dal cinismo del futuro San Cirillo.
Ma che cosa riusciamo a sapere di quella storia? Di Ipazia usciamo con l’immagine di una bella donna, intelligente e dotta, attorniata da uno stuolo di discepoli affezionati ma non tanto da non lasciarla sola alla resa dei conti.
Cioè in definitiva veniamo a sapere che Ipazia non era un “vaso potorio” ma una, diciamo così, “magistra mulier sapiens et pulchra”.
In realtà era molto di più: in quell’epoca, andare a studiare da Ipazia ad Alessandria era come andare a studiare con Einstein a Princeton negli anni Quaranta e Cinquanta. Questa è la proporzione che dal film di Amenábar non riusciamo a percepire.
Non è vero poi che Sinesio (vescovo di Tolemaide e non di Cirene, come viene detto nel film, chissà perché) convinse il prefetto Oreste ad accettare il diktat teologico di Cirillo – cioè l’inferiorità della donna – lasciando indifesa la filosofa. E non lo fece se non altro per un buon motivo: morì prima di Ipazia. E comunque fino all’ultimo lui, uomo e vescovo, si riferì a lei, donna e pagana, indicandola come “la mia reverendissima Maestra”; e come se non bastasse era molto tollerante e pieno di dubbi teologici, tutto il contrario di Cirillo.
Non solo, quest’ultimo e i suoi “parabolani”, di fatto delle squadracce di monaci al suo servizio, non erano ben visti dal mondo cristiano di allora. Quando il fanatico Ammonio tirò il sasso contro Oreste facendolo sanguinare, la guardia del corpo del prefetto se la svignò temendo di essere lapidata, ma Oreste fu soccorso e difeso dagli stessi cittadini di Alessandria, che non vedevano di buon occhio questi “monaci barellieri”.
L’assassinio di Ipazia fu uno shock per tutto l’Impero d’Oriente. In quel momento l’ambizioso, violento ed inviso Cirillo, nonostante la sua grande preparazione teologica e la sua spiccata intelligenza, se la vide brutta.
Oreste stesso, rappresentando gli umori sia dei “laici” sia di molti ecclesiastici, fece aprire contro di lui un’inchiesta a Costantinopoli e il mandante dell’assassinio di Ipazia fu salvato solo da giochi di potere. In quel momento sul trono di Costantinopoli c’era Pulcheria, augusta reggente per il fratello Teodosio II, minorenne. Purtroppo Pulcheria era favorevole a Cirillo e l’inchiesta fu insabbiata.
Il fatto che Ipazia sia stata stritolata dai conflitti incrociati tra potere centrale e potere decentrato, tra il potere statale e un potere religioso che tendeva a quello temporale, conflitti ovviamente espressi nei termini e con le motivazioni dell’ideologia che era diventata predominante, cioè il Cristianesimo, tutto questo in “Agorà” si intravede molto a stento.
Come solo a stento si intravede il fronte interconfessionale che si era creato per salvare la cultura ellenistica contro, come si sarebbe detto fino a poco tempo fa, il “nuovo che avanzava”. Dal film sembra invece che pagani e cristiani difendessero la loro cultura comune per pura devozione ad Ipazia.
La scialba “correttezza politica” del regista emerge anche al momento del martirio, tutto sommato una morte non dolorosa grazie alla “carità” (più erotica che cristiana) dell’ex schiavo di Ipazia, Davo.
Invece no, Ipazia fu uccisa in modo orrendo: scarnificata con cocci e fatta a pezzi. Altro che politicamente corretto! Il potere è sempre in grado di produrre sadismo (che infatti è una forma di esercizio del potere).
Tutti i libri di filosofia e di matematica di Ipazia furono distrutti per ordine di Cirillo, che come sappiamo fu in seguito fatto santo. Alleluia!
In definitiva possiamo dire che coi film a tesi si fanno cattivi servigi alla storia e alla ragione. E si hanno cattivi risultati stilistici.
A meno di essere Sergei Eisenstein che trasmutava la didascalia in simboli e i simboli in poesia, dramma e tragedia, è meglio lasciar perdere simili operazioni.
Detto altrimenti, basta coi “vasi potori”. Se si fa vedere un bicchiere si scriva “bicchiere”!