Considerazioni sullo sciopero generale del 29 Settembre in Spagna e sul neoliberalismo zapateriano
ott 4th, 2010 | Di Lorenzo Dorato | Categoria: Capitale e lavorodi Lorenzo Dorato
Lo scorso mercoledì 29 settembre, i sindacati spagnoli più rappresentativi, uniti ai sindacati di base, hanno convocato uno sciopero generale che ha interessato tutti i settori, dall’industra mineraria e automobilistica alla scuola, la sanità, il piccolo commercio etc etc. Le ragioni fondamentali dello sciopero sono i provvedimenti gravemente antipopolari contro il lavoro varati dal governo Zapatero con la “riforma” del lavoro approvata a giugno. In particolare, oltre ai tagli del 5% degli stipendi del settore pubblico, si tratta della flessibilità esterna ed interna accordata alle imprese cui viene concessa la facoltà di licenziare a costi minori e la possibilità di modificare trattamento economico e normativo ai lavoratori entro lo stesso contratto: provvedimenti gravi che si inscrivono nella logica, comune a tutti i paesi dell’Unione Europea, di imposizione dei precetti neoliberisti anche al mondo del lavoro che si vuole totalmente flessibilizzato, privato di garanzie, diritti e dignità, in nome delle superiori esigenze del mercato globale.
Come nella maggior parte dei paesi europei occidentali i primi provvedimenti contro i diritti dei lavoratori (maturati in Spagna tra la fine degli anni 70 e gli anni 80) risalgono al principio degli anni 90, nella fase conclusiva dell’era socialista (quando il PSOE sovvertì in brevissimo tempo buona parte della legislazione di ispirazione sociale che esso stesso aveva contribuito a costruire poco tempo prima). I socialisti prima, Aznar (partito popolare) poi e infine Zapatero (di nuovo i socialisti) hanno perseguito, in linea con i diktat europei, la stessa linea di politica economica incentrata sulla svendita del patrimonio pubblico con ondate di privatizzazioni, l’attacco al lavoro salariato e piccolo autonomo, le liberalizzazioni, la graduale mercificazione dei servizi universali (malgrado tutto in Spagna sanità, sistema pensionistico e altri pilastri del classico Stato sociale restano ancora demercificati, di qualità e gratuiti e c’è da aspettarsi che diverranno presto le prossime vittime del neo-liberismo iberico).
Similmente all’Italia, i sindacati confederali spagnoli hanno giocato un ruolo chiave nella trasformazione del mondo del lavoro accettando poco a poco le cosiddette compatibilità capitalistiche imposte da ben precise strutture istituzionali (trattati europei, direttive etc etc) dipinte come necessità imprescindibili. CCOO (Comisiones Obreras) il sindacato storicamente vicino al PCE (Partido comunista de Espana), e UGT (vicina al Partito Socialista), hanno pesanti responsabilità in merito. Si tratta di sindacati totalmente integrati nella logica concertativa (UGT più di CCOO che al suo interno cova ancora residui pur minoritari di sindacalismo di minima sostanza).
La convocazione dello sciopero generale del 29 settembre è stata, da parte dei due sindacati, una mossa allo stesso tempo, strategica (in senso autoreferenziale), rilevante (in senso generale) e ambigua (nei tempi).
Strategica poiché rispondente alle necessità di sopravvivenza stessa del sindacato rispetto alle esigenze della propria base che si è vista infliggere da un governo “amico” un attacco di vaste proporzioni cui era davvero impossibile non rispondere in alcun modo.
Rilevante poichè, al di là di tutto, lo sciopero ha avuto il merito di destare una reazione sociale di vaste proporzioni alle politiche impopolari del governo Zapatero e alle conseguenze devastanti di una crisi economica che in tutta la Spagna sta colpendo duramente le classi lavoratrici.
Ambigua perché è avvenuta a posteriori, cioé dopo che la riforma era già stata concordata dal governo con la parte confindustriale e approvata in parlamento (il 16 Giugno 2010). Questo ritardo è la prova lampante della debolezza del sindacato e della sua sostanziale soggezione alla volontà padronale e governativa.
Lo sciopero, sostenuto anche da sigle sindacali minori, di base e autonome, è stato in ogni caso un successo inatteso. In molti settori industriali il 75%, in alcuni casi persino la totalità dei lavoratori, ha aderito, mentre nei settori della piccola imprenditoria la partecipazione (per ovvie ragioni legate alla ricattabilità dei lavoratori) è stata più bassa. Anche nei servizi pubblici la partecipazione calcolata al netto del servizio minimo garantito imposto è stata relativamente alta. I sindacati parlano di un 70% di partecipazione complessiva dei lavoratori, mentre le fonti governative riportano cifre più contenute. Sta di fatto che, specialmente nei settori dell’industria pesante, automobilistica, mineraria e siderurgica vi è stata un vero e proprio blocco delle attività. Si sono registrati, inoltre, scontri con la polizia in diverse località spagnole (da Madrid a Barcellona all’Andalusia) in cui le forze dell’ordine hanno creato spesso deliberatamente una situazione di alta tensione.
Il governo Zapatero ha reagito nel suo stile caratteristico: una concessione al dialogo (fittizia) e una ferma rassicurazione “ai mercati e ai capitali” circa l’irreversibilità della “riforma” attuata. Il premier fra l’altro non si è risparmiato una battuta di pessimo gusto: “Io oggi ho lavorato”. D’altro canto Zapatero stesso nei mesi in cui la riforma veniva discussa nei suoi termini affermò esplicitamente la necessità di procedere per non perdere credibilità nei confronti degli investitori e mantenere elevata la competitività della Spagna. A seguito di quelle dichiarazioni il primo ministro socialista incassò anche il plauso dell’oligarchia di Wall Street che definì la politica zapateriana come un successo mirabile di politica progressista.
La politica di Zapatero, fin dall’inizio legata agli interessi capitalistici più rapaci e succube delle influenze d’oltreatlantico, oltre che delle imposizioni europee, è, in piena sintonia con le politiche economiche dei paesi UE, la traduzione dei dogmi del neoliberalismo per cui la concorrenza internazionale in un contesto di piena libertà dei movimenti dei capitali e di merci impone ai paesi un adeguamento al ribasso sulle condizioni normative ed economiche del lavoro, nonché una politica restrittiva per correggere, a beneficio dei creditori (vedasi fondi di investimento e banche estere) i conti pubblici.
E’ evidente che la soluzione a tali politiche devastanti, (similmente e ancor più gravemente applicate dal governo socialista greco sottomesso ai diktat delle banche tedesche, dell’UE e del FMI), non può che essere eminentemente politica e non puramente sindacale (senza nulla togliere al ruolo del sindacato in sé).
Tuttavia il successo indubitabile dello sciopero del 29 Settembre in Spagna va considerato di grande importanza nella misura in cui, pur se monopolizzato ambiguamente dai sindacati istituzionali, riporta alla luce la drammatica questione sociale che il paese, ma in realtà l’intera Europa (e naturalmente il resto del mondo in forme diverse), sta vivendo. La Spagna, in particolare, ha una disoccupazione pari al 20%, un’altissima percentuale di lavoro precario a tempo determinato e una dilagante disoccupazione giovanile di massa.
Una protesta sociale generalizzata, per quanto priva di una concezione politica di ampio respiro, ha comunque l’enorme pregio di smuovere una situazione di passività politica da parte di coloro che soffrono maggiormente le conseguenze dell’attuale capitalismo, rompendo la finzione di una pace sociale imposta.
I potenziali sviluppi sociali e politici in Spagna dello sciopero del 29 settembre ovviamente dovranno essere valutati nei prossimi mesi.
Credo sia utile questa considerazione dell’amico Silvio Rossi. Silvio vive in Spagna e me l’ha inviata pochi giorni prima dello sciopero.
La riportodi seguito:
Mercoledì prossimo 29 di settembre qui in Spagna ci sarà uno sciopero generale, che e’ stato patteggiato già tre mesi fa da governo e sindacati. Tastando un po’ il terreno, parlando con le persone, vengono fuori vari atteggiamenti. C’è chi aderisce allo sciopero con convinzione ma senza un minimo di speranza, cioè si fa sciopero perché e’ l’unica cosa da fare, ma si sa comunque che nulla cambierà. Infatti il signor Zapatero pochi giorni fa e’ stato chiamato dai suoi padroni, gli squali della finanza di Wall Street, i quali hanno interrogato Zapatero, come la maestra allo scolaro, in riferimento alla politica economica. Zapatero deve far bene i compiti e gli squali di Wall Street all’occorrenza possono diventare severi e metterlo in castigo. Mesi fa, in Grecia, la rabbia popolare esplose nelle vie di Atene e non solo nella capitale. Zapatero, commentando la situazione,essendo pressato dalle oligarchie finanziarie si sfogò come un bambino gridando ai quattro venti: ” La Spagna non e’ la Grecia!”. Ovazioni belanti e irresponsabili si levarono dai rappresentanti del suo partito,il cosiddetto partito socialista dei lavoratori (PSOE). Dopo tre giorni arrivò una telefonata dal Fondo monetario internazionale:”Caro Zapatero non fare il bambino cattivo, la Spagna non e’ la Grecia, ma solo geograficamente, se non fai i compiti che ti abbiamo assegnato purtroppo per te e’ possibile che la Spagna diventi la Grecia,non te lo scordare mai.” E così qualche giorno fa Zapatero vola a New York con i suoi quadernetti per l’esamino al cospetto degli squali di Wall Street. Ora, il lavoratore che sciopera mercoledì, sa bene questa storia, ecco perché e’ senza speranza. Dall’altro lato c’e’ anche un altro atteggiamento, cioè quello di persone che non sciopereranno, non solo perché sono senza speranza, ma anche perché sono arrabbiati nei confronti dei sindacati. Sindacati che hanno approvato tutte le manovre contro i lavoratori, e che ora, pattando con il governo e
prendendo molti soldi di finanziamento dallo stato, si mettono a fare teatro. Si perché questo sciopero sarà un teatrino delle marionette, e le marionette sono i lavoratori. Sia chi partecipa allo sciopero, sia chi non partecipa, il risultato e’ il medesimo : impotenza e fatalismo!
Oggi i movimenti dei lavoratori sono petizionisti. Chiedono lavoro a coloro i quali del loro lavoro, dei loro diritti non importa nulla. Il linguaggio e’ importante, forse bisognerebbe smettere di parlare del lavoro, sarebbe meglio chiamarlo servitù o schiavismo, perché di questo si tratta.
Il prossimo natale bisognerebbe fare un regalo ai lavoratori, un bel libro : le “Riflessioni sulla violenza” di Sorel. Anche se solo dieci di loro in tutta Spagna riescono a coglierne lo spirito sarà un inizio, una vittoria. Questi dieci cominceranno a camminare con le loro gambe e si organizzeranno per costruire un sindacato non concertativo. Metteranno l’uno per cento del proprio stipendio in una cassa comune e gestiranno autonomamente le proprie rivendicazioni. Via i politici, via i sindacalisti. Questi primi dieci lavoratori getteranno le basi affinché alla violenza del capitale si possa reagire con la violenza della dignità senza compromessi al ribasso. La strada e’ lunga ma e’ l’unica da percorrere.
Vorrei fare un piccolo commento all’articolo di Lorenzo Dorato. Io vivo in Spagna esattamente da un anno. Attualmente sono disoccupato, quindi conosco di persona la situazione che vive la Spagna di Zapatero.
Concordo pienamente con l’analisi di Lorenzo Dorato. Effettivamente i sindacati confederali spagnoli hanno in questi ultimi anni appoggiato tutto quello che Zapatero gli ha proposto. Anni fa Zapatero, quando la crisi economico finanziaria era ancora di la’ da venire, godette di una buona popolarita’, soprattutto fuori dalla Spagna. Se ricordate anche i nostri scribacchini nostrani lo lodavano, lo portavano come l’esempio di un socialismo “dinamico” e “progressista”. Anche alcuni settori della nostra sinistra di mentecatti lo nominava spesso. Mi ricordo che i titoli dei giornali Italiani recitavano : Per la prima volta nella storia la Spagna supera l’Italia “, riferendosi al Pil Spagnolo in relazione a quello Italiano. Erano gli anni dove Zapatero consegno’ nelle mani dei costruttori e dell’alta finanza il destino del proprio paese. Per un’ottusa quanto mai superficiale tendenza di pensiero ormai diffusa, crescita del Pil e’ uguale a successo politico. Niente e nessuno poteva fermare Zapatero, neppure i gracchianti e chiesaioli del Partito popolare di Rajoy. Poi dopo questa cavalcata verso l’infinito
il sogno si infrange, arriva la crisi, fino ad arrivare ad oggi dove la situazione e’ a dir poco drammatica. Il fatto che mi preoccupa di piu’ e’ che tra le persone ancora si parla della difesa del socialismo di Zapatero. Come si suol dire, meglio Zapatero che il Partito popolare, quelli privatizzerebbero anche lo spirito santo! E cosi’ si va avanti esattamente come in Italia, con le stesse false contrapposizioni tra destra e sinistra che se non vengono superate mineranno profondamente una possibile quanto auspicabile resistenza anticapitalista. La casacchina del socialismo o del comunismo nel mondo attuale e’ facile da indossare, a patto di essere bene in consonanza con la cricca oligarchica dell’alta finanza e del circo mediatico universitario, che delle casacche gli importa poco. Quello che importa all’oligarchia e’ l’obbedienza alle politiche sociali ed economiche da loro imposte. Se poi gli uomini che devono ubbidire hanno la casacca rossa o nera o bianca, questo e’ relativo. In Italia la tragicomica situazione della nostra sinistra istituzionale e’ un esempio per tutti. I sindacati Spagnoli si sono sentiti un po’ frastornati, hanno detto :” Ma come Zapatero, in tutti questi anni abbiamo appoggiato tutto quello che ci hai proposto ed ora vuoi fare la riforma del lavoro di lacrime e sangue per i lavoratori? Non e’ giusto! Cosi’, come ha rilevato Dorato, i sindacati hanno dovuto adottare la strategia dello sciopero generale, concordato con lo stesso Zapatero. Insomma, sia Zapatero che i sindacati fanno finta di litigare ma sono d’accordo. Ora si andra’ al finto dialogo, e probabilmente si faranno delle piccole modifiche ai provvedimenti del governo tanto per dare un contentino ai lavoratori, come da tradizione del sindacato concertativo. Modifiche che non cambieranno nulla della condizione dei lavoratori. Personalmente, partecipando allo sciopero ho respirato molta stanchezza, disorientamento e disillusione. Certo a differenza dell’Italia dove il diritto allo sciopero e’ ormai diventato fuori legge siamo qui ancora un po’ piu’ rincuorati, ma e’ solo un’illusione purtroppo. Come ha rilevato ´Dorato i prossimi steps saranno quelli contro la sanita’, il suo graduale smantellamento in funzione del dio della privatizzazione. Dorato chiude la sua analisi dicendo che gli sviluppi sociali e politici dello sciopero del 29 settembre scorso dovranno essere valutati tra un po’ di tempo. Forse bisognera’ arrivare alla privatizzazione completa della sanita’ affiche’ qualcosa si muova veramente, chissa’. Intanto il “meraviglioso” socialismo “dinamico” di Zapatero prosegue il suo corso. Chi vivra´vedra´.
Un saluto a Comunismo e comunita´ , l´ unico punto di riferimento per chi vuole costruire le comunita´ comuniste insorgenti.
Silvio Rossi.
Ringrazio Silvio Rossi per l’interessante e condivisibile commento.
Per ragioni personali e affettive conosco abbastanza bene la situazione spagnola pur non vivendo lì. Posso dire che è il paese che conosco meglio dopo l’Italia. Sono sempre stato convinto che in Spagna quelle che sono le cosiddette contraddizioni politiche minori, di facciata, siano ancora più esasperate di quanto lo siano già in Italia. Laici contro cattolici, repubblicani contro monarchici, destra-sinistra, conservazione-progresso. Dicotomie da tifosi che in passato ebbero, specie in Spagna, un loro peso e una loro dignità profondi e reali, ma che oggi sono diventati specchietti per le allodole per nascondere la sostanza libertario-oligarchica dell’ultracapitalismo che viene imposto.
In più in Spagna esiste il problema dei nazionalismi pseudo-separatisti che sviano anch’essi l’attenzione dai problemi sociali verso particolarismi inquietanti, in base a spinte autonomistiche-fiscali sempre più disgreganti e accentuate. La ricchezza della Spagna è proprio la sua diversità e la coesistenza di culture e lingue distinte. Una ricchezza che i nazionalismi non politici (sia spagnolisti che separatisti) negano. Prima degli anni 20-30 del 900 non era così ed esisteva un patriottismo politico spagnolo unificante entro cui coesistevano regionalismi orgogliosi ma non scissionisti.
Oggi il divide et impera si basa su spinte dall’alto (UE, FMI, USA, Trattati internazionali, etc etc) e spinte dal basso (negazione delle nazioni politiche, federalismi fiscali, particolarismi, autonomie economiche etc etc). La Spagna è un esempio di questo laboratorio micidiale elaborato a Washington e a Brussels dagli anni 80 in poi, un disegno contro le nazioni politiche che la sinistra ha molto spesso stentato a riconoscere cadendo nella trappola dell’esaltazione delle micropatrie o dei federalismi, senza capire che il federalismo nel capitalismo è una trappola di alto ingegno per avviare la distruzione dei residui solidaristici esistenti entro uno Stato.
In questo contesto fragile, scisso, povero di senso della comunità politica, imperversa il neoliberismo di costume, economico, politico, persino etico. I diritti dei lavoratori vengono schiacciati, le conquiste sociali frantumate, i cittadini deresponsabilizzati nella loro appartenenza, e si lascia spazio al femminismo, al sessismo differenzialistico, al libertarismo post-politico, tutti fenomeni esplosi nel seno della movida post-franchista (un 68 spagnolo ritardato). E’ un fenomeno che avviene ovunque, ma che in Spagna (e da alcuni anni anche in Italia) tocca vertici davvero elevati.
L’unica nota relativamente positiva è l’esistenza di un partito comunista senz’altro ridotto a piccole dimensioni, leso da compromessi pesanti (come la nascita di IU negli anni 80 ), ma non così depotenziato e svilito nella sua identità come lo è Sel o Rc in Italia. E’ poco, ma è un punto di partenza per raccogliere le energie residue.