Comunità, libertà e giustizia

ott 1st, 2010 | Di | Categoria: Contributi

di Stefano Moracchi

La libertà è un concetto che ha dato e continua a dare grandi prospettive ideali alle varie correnti e movimenti che operano nella società.
Nel nome della libertà sappiamo che si sono commessi i più grandi delitti, come anche si sono avute le più cocenti delusioni.
La parola libertà è stata invocata dalle più diverse strutture autoritarie, come anche nelle diverse democrazie.
La libertà, quindi, non è appannaggio di una determinata costruzione politica, anche se senza una chiara impostazione di diritti naturali e diritti positivi ( a questo proposito il giusnaturalismo e il giuspositivisimo hanno contribuito all’accrescimento delle tematiche sul concetto di diritto) la stessa libertà diviene arbitraria.
Il problema che vorrei porre è il seguente: la libertà senza sicurezza materiale, senza sostegno economico, senza possibilità di garanzie sociali garantite, può essere possibile?
La libertà invocata dal liberismo, dal neoliberismo, si poggia, sul piano economico, sul famoso laissez- faire. Si suppone che il libero mercato (libero in che senso?) possa trovare al suo interno le capacità di sviluppo e di occupazione che, altrimenti, non sarebbero possibili. In questa visione della società il mercato e la libera impresa possono ciò che lo Stato non potrebbe.
Ora, l’efficienza del privato non può essere una assolutizzazione, in quanto la dimostrazione che potrebbe fare meglio del pubblico non la si è potuta vedere nella pratica. Sappiamo, altresì, che una politica di corruzione svilisce l’efficienza sia del pubblico, quanto del privato. E’ chiaro che, se una struttura, gestita dallo Stato, diviene terra di conquista dei politici che devono favorire impieghi alle loro consorterie, essa perderà di interesse e di valore sociale. Ma in questo caso non è la funzione pubblica ad essere inefficiente, quanto la politica ad essere delinquente. I liberisti non affrontano questo argomento, perché interessati ad ideologizzare un mercato fatto di uomini liberi che intraprendono liberamente. Cosa voglia significare questo intraprendere liberamente lo vediamo dalle vicende che hanno sconvolto i maggiori gruppi privati, come quelli minori, da quando esiste il libero mercato. Si dice, come un mantra, che bisogna privatizzare, perché oltre che garantire l’efficienza, darebbe maggiori benefici ai consumatori., salvo poi non dire che questo non si è mai verificato nella realtà: la Centrale del Latte di Roma è stata privatizzata, ma sarebbe meglio parlare di acquisto corporativo da parte di un gruppo che già possedeva aziende in questo settore, e quindi il prezzo del latte è rimasto uguale, salvo poi aumentare tranquillamente in regime di quasi monopolio. Ma si potrebbero citare casi all’infinito di questa ideologia liberista.
I liberisti, poi, non ci dicono come intendono affrontare i costi sociali ( faccio notare che i liberisti hanno coniato nuove parole, edulcorandole per non gettare cattiva luce ai loro esperimenti di economia sociale sulla pelle dei lavoratori e soprattutto dei disoccupati e precari).
Come non si comprende perché un politico liberale e liberista dovrebbe fare una serie di incontri politici negli istituti economici, nelle associazioni imprenditoriali e in quelle delle piccole e medie imprese soltanto. Un politico liberista perché mai ha bisogno di convincere la parte che gli è alleata, quando già sa che non hanno bisogno di convincimenti, mentre non spende una parola, né tantomeno un confronto con la parte che presta la sua manodopera? Se la sua politica è così salutare, così efficiente, perché invece che andare all’Istituto Leoni non si rivolge agli operai convincendoli della bontà del suo operare?
I fautori dell’antigiuridismo contemporaneo, nel nome dell’assolutizzazione della libertà soggettiva ritengono repressivo tutto ciò che contrasta la libera impresa, come anche il diritto in quanto tale, come se fosse qualcosa di estrinseco, che non riguarda l’azione. Vorrebbero farci credere che senza di esso si potrebbero creare delle associazioni del tutto libere e spontanee. Ma questa, oltre che essere una pura ideologia ( che a sua volta vorrebbe combattere le ideologie), è anche una illusione.
Ed ecco tornati alla domanda iniziale sul significato della libertà.
L’idea di giustizia, l’idea cioè che le relazioni intersoggettive debbano conformarsi ad un ordine oggettivo, conoscibile da parte degli uomini e delle donne e per essi obbligante, è ormai nell’epoca della postmodernità andato sempre più scemando e rileva sempre più la sua inconsistenza e fallibilità.
Nella prospettiva dell’immanenza, la realtà non esige alcuna giustificazione, e non tollera di essere ordinata secondo giustizia perché crede di essere sufficiente a se stessa, chiedendo di essere conosciuta per ciò che è, e non per ciò che dovrebbe essere. Nella teoria moderna dell’immanenza non c’è possibilità per una teoria della giustizia.
Il pensiero di giustizia immanente, però, ha mostrato tutte le sue colpe e le sue false credenze, ma soprattutto si è dimostrato come crisi di visione del mondo, e ce lo dimostrano le tre grandi tragedie che la storia ci ha consegnato: l’olocausto ha delegittimato fascismo e nazismo; il comunismo storico novecentesco ha delegittimato il comunismo politico; il nichilismo ha sottratto ogni forma di speranza all’uomo togliendogli ogni valore per cui vale la pena combattere e credere.
Oggi parlare di giustizia è difficile perché essendo stata ridotta ad indifferenza se non a ostilità, tipiche del pensiero moderno che distrugge tutto ciò che possa ostruire la strada all’efficientismo positivista e alla scienza della statistica, la giustizia non merita attenzione come tema specifico di riflessione.
La separazione dell’etica dalla politica e dall’economia, la separazione dell’individuo dalla comunità, dell’uomo dai propri valori, sono tutte e tre le forme che il pensiero dell’immanenza moderna ha distrutto in tutto l’arco del novecento, affinché il nuovo secolo si trovi ampiamente liberato da tutte le pastoie ideologiche per sferrare la sua corsa verso una società efficiente e asettica, dove il pensiero non trova spazio, se non per affermare con tutta la sua superficialità e, quindi, del tutto innocuo, la propria fatua opinione.
Il pensiero scientifico assume quindi il ruolo potente e prepotente della nuova società, avverandosi la società sognata da Saint-Simon in cui il nuovo imperatore sarebbe stato il pensiero scientifico.
Non c’è più posto alla tematizzazione della vita buona (tanto cara al pensiero antico), come vita giusta, come vita rispettosa di un ordine obiettivo, non determinato arbitrariamente dalla soggettività umana.
Purtroppo, il nuovo ordine si caratterizza per una sua obiettività ancora più crudele di quella dettata dalla soggettività umana, e cioè della obiettività scientifica che prepara la sua lista di domande e di punteggi in cui far rientrare o meno una categoria umana.
Il concetto di comunità, in questo caso, pone il tema della giustizia come un tema cardine affinché si dia la possibilità all’individuo di esprimere una serie di valori attuativi nella loro attualità, volendo significare che l’individuo rimane sempre un soggetto umano anche se la scienza progredisce. La scienza e il pensiero scientifico devono essere soggetti all’uomo e non l’uomo oggetto della scienza.
L’epoca postmoderna è tutta pervasa da una nuova domanda di giustizia che vorrebbe annullare tutta quella pratica umana fatta di discussione e di conoscenza umana.
La nuova idea di giustizia che si va prospettando fa parte dei prossimi incubi che la società dell’efficienza farà subire al genere umano. Non ci saranno più spazi di pensiero e di confronto, ma solo logiche di esclusione sulla base di determinati target usciti dai programmi scientifici.
La giustizia dovrà essere profondamente ingiusta per essere totalmente efficiente. La cosa più spaventosa è che saranno a gran voce gli stessi uomini ad auspicarlo a gran voce.
Bisogna cercare di percorrere una strada che si dovrà presentare come un ri-conoscimento sulla base del pensiero fallibile, convinto che dietro alla giustizia ci sono l’uomo e la donna in carne ed ossa, e che il loro valore viene prima di qualsiasi fuga verso la dottrina statistica.
Per questo, il concetto di comunità è chiamato a prendere sul serio questo fallimento della giustizia, e a formulare nuove ipotesi e nuove istanze di confronto, anche solo per delineare una prospettiva di società a dimensione umana.
La scissione che si è voluta operare, e che è riuscita in pieno, è quella di separare i valori dell’uomo e quindi della sua dimensione umana, e della sua dignità, da quelli del pensiero operativo ed efficiente, della tecnica fredda e spavalda nel suo giudizio, infallibile nella sua fallibilità accettata e condivisa nel nome della scienza, nuovo imperatore sociale ed economico.

Purtroppo per molti, la libertà è sempre una libertà-da-qualche-cosa. Per i liberali e liberisti (ultimamente si sono aggiunte una lunga serie di nomi, tra cui vi trova posto anche il socialismo, ma anche il blairismo e perfino lo zapaterismo) significa poter fare affari in tutta libertà.

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2 commenti
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  1. Articolo totalmente condivisibile!! In particolare in alcuni passaggi mi identifico completamente.

    Vorrei solo che specificassi un punto:

    Credi sia possibile e legittimo che il criterio di Bene e di Giustizia torni ad imporsi come orizzonte politico di una qualsiasi prassi trasformatrice di questa società svuotata di sensi ultimi? Io sono convinto che sia l’unica via possibile, ma non ho chiarissimo se concordi su questo punto o se semplicemente ti limiti a criticare l’assenza di tali criteri nell’attuale struttura sociale. Ti chiedo questo perché parli di “comunità” come via d’uscita dall’impasse relativistico e soggettivista, e su questo concordo con te. Ma non mi è chiaro se la comunità è legata all’espressione di concetti forti (Bene, Giustizia, Verità) oppure se diviene un surrogato. In questo ultimo caso ho l’impressione che si avrebbe una semplice sostituzione del relativismo individuale e soggettivo con quello comunitario di gruppo (entrambi comunque non universali e universalizzabili).

  2. Il discorso sulla comunità, in questa specifica riflessione, si concentrava sul tema della libertà
    Il concetto di comunità, relativo alla libertà, non può essere il frutto della casualità o del libero arbitrio.
    Nessun dilemma quanto quello sulla casualità o libero arbitrio ha suscitato tante controversie.
    Sapere che le nostre decisioni sono il frutto di una nostra scelta è fondamentale per conoscere noi stessi e per avere il pieno controllo della nostra vita.
    La libertà è al centro di queste riflessioni anche se, il tema del libero arbitrio, fu all’inizio solo un problema di libertà interiore e non della libertà individuale.
    Ai giorni nostri la libertà viene concepita come affermazione di se stessi, come principio del tutto e come libera scelta soggettiva inutile di ulteriori determinazioni.
    A questo proposito cito un pensiero di Epicureo:

    Epicureo pensava che qualora l’uomo fosse stato assoggettato alla scienza fisica ogni sua determinazione umana e, quindi, fallibile, sarebbe stata scartata a favore di un comportamento che seguisse l’efficienza della scienza.
    Il principio del libero arbitrio determinò una spinta verso l’affermazione del soggetto come principio del tutto.
    L’universalità, il tutto, la totalità si frantumò verso tante piccole cellule che avevano al loro interno ulteriori determinazioni e principi di libertà.
    Alla fine non rimase che l’uomo come individuo.
    Ulteriori determinazioni non sono possibili.
    All’affermazione dell’individuo vengono concessi diritti particolari da far valere contro altri diritti particolari.
    Da questo momento in poi ogni particolarismo avrà la sua ragione davanti ad un tribunale che decreterà la bontà di ogni diritto.
    Questa frantumazione accresce la libertà?
    La confusione nasce dalla falsa idea di unire concettualmente il libero arbitrio con la libertà.
    La libertà è una cosa il libero arbitrio un’altra!
    Il libero arbitrio, come facoltà di compiere o non compiere un’azione, di scegliere senza un motivo, di spezzare legami e di non essere vincolati ad una morale, di non avere una certezza con cui fare i conti non ha niente a che fare con la libertà.
    La libertà è una nostra aspirazione umana, è una fede, è un nostro bisogno di liberarci da scorciatoie che imprigionano i nostri sentimenti rendendoli sterili. E’ il bisogno di appartenenza ad una società universale di riconoscersi in un ideale più grande delle nostre soggettività.
    La moderna società dell’efficienza e della statistica pone l’uomo al di sopra di tutto. La libertà soggettiva viene prima di tutto.
    Ecco la mistificazione.
    Ponendo il soggetto al primo posto si creano improvvisamente tanti piccoli primi posti che si fanno la guerra tra loro. L’unità del genere umano si dissolve in tante piccole parti che sono in contrasto tra loro ma unite in difesa della libertà di ciascuno a discapito della vera libertà di tutti.
    La libertà o è un concetto che appartiene a tutti o non esiste.
    La libertà è un concetto universale e ridurlo a pura affermazione del singolo è un’astrazione dalle conseguenze nefaste per lo stesso singolo uomo.
    L’uomo che esiste solo per se stesso, per i suoi bisogni egoistici, l’uomo isolato e atomizzato non esiste come uomo ma come semplice essere indeterminato.
    Se questo ragionamento ha un senso dobbiamo convenire che solo il Tutto è veramente libero perché non è condizionato da nessuno e non vi sono diritti da far prevalere su altri diritti.
    Il diritto ha riconquistato la sua universalità e il soggetto finalmente si sente finalmente partecipe di un organismo totale e non puro essere isolato e privato, colmo di diritti particolari di cui non sa che farsene.

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