Una riflessione sul concetto di populismo
set 3rd, 2010 | Di Stefano Moracchi | Categoria: Cultura e societàdi Stefano Moracchi
Georges Sorel, parlando della democrazia in Francia, diceva che si trovava disorientata dalla tattica della lotta di classe; ciò si spiegava perché il socialismo parlamentare non si confondeva affatto nell’insieme dei partiti di estrema sinistra. Per comprendere la ragione di una tale situazione, Sorel ricorda il ruolo capitale che le guerre rivoluzionarie hanno avuto nella nostra storia; un grandissimo numero delle nostre idee politiche provengono dalla guerra; la guerra presuppone l’unione delle forze nazionali davanti al nemico, e i nostri storici hanno sempre considerato durissimamente le insurrezioni che ostacolavano la difesa della patria.
Sempre Sorel ci ricorda che i socialisti ottenevano grandi successi utilizzando passioni quali la gelosia, la delusione e l’odio, che esistono nel mondo; di conseguenza hanno preso conoscenza della lotta di classe e molti hanno assunto il gergo dei socialisti parlamentari: così, dice Sorel, è nato il partito che si chiama radical- socialista.
Oggi, a più di cento anni da queste riflessioni, ci ritroviamo in assenza di lotta di classe, di un sindacalismo politico invece che rivoluzionario, di forme di socialismo miste ai radicali, e soprattutto in assenza di passioni.
Il populismo nasce sempre quando una struttura sociale non riesce più ad esprimere le proprie potenzialità, in quanto scalzata continuamente da nuove forze e modelli sociali.
I leader populisti si caratterizzano per la dimensione demagogica in cui si muovono, nel tentativo di attrarre un elettorato solo da poco strappato al controllo dei leader appartenenti alla vecchia classe politica.
Questi personaggi, nell’immaginario collettivo e nelle pratiche politiche, si presentano nella veste di rappresentanti di forze autenticamente innovatrici disposte a trasformazioni radicali.
Quello che caratterizza il populismo è la raccolta di pochi adepti intorno al proprio leader.
E’ il leaderismo la forza principale e il modello attrattivo per le masse di qualsiasi populismo.
Non vi può essere populismo senza leaderismo.
Un altro elemento caratterizzante è il disprezzo che il leader diffonde tra le masse per i propri avversari politici.
Il leader populista non fa mistero di lottare in maniera diretta e franca per il proprio potere personale. Questa caratteristica riesce particolarmente gradita per il proprio elettorato, ma riesce anche spiazzante per la parte avversa, in quanto smaschera l’ipocrisia dei propri politici colti in vari affari poco trasparenti, o in aperta contraddizione con il loro programma.
Al leader populista, che gioca a viso scoperto e spregiudicato, è consentito ciò che ai moralisti è negato.
Alla demagogia non è consentito un linguaggio forbito e concetti troppo pesanti, ma si addice un linguaggio facile accompagnato sempre da bagni di folla. Deve suscitare speranze, e avere sempre a disposizioni soluzioni miracolose per qualsiasi tipo di problemi. Deve dire sempre ciò che tutti si aspettano di sentire. La sintonia con le masse è un elemento indispensabile.
Il leader populista è amato perché disprezza la classe politica, i politicanti di mestiere (cioè coloro che non hanno mai lavorato al di fuori della politica e, nel leader populista in sintonia con le masse, significa non avere mai lavorato, ovvero parassiti). Questo disprezzo viscerale verso la classe politica tout-court gli consente di farsi portatore di una giustizia sociale comunemente sentita; gli permette, inoltre, di avere forti argomenti contro i suoi avversari politici, e gli consente di superare la contraddizione di avere nel suo entourage gli stessi politici di professione che ha detto di disprezzare (perché le masse lo giustificano come una necessità per raggiungere lo scopo).
Una volta i leader populisti si dividevano in due specie: quelli carismatici ( che cercano di offrire un’immagine di sé quali persone dotate di poteri speciali, che hanno avuto nella vita il pregio di farsi apprezzare in diversi campi professionali o imprenditoriali); e quelli paternalistici, cioè rassicuranti, moderati e sempre disposti ad accontentare tutti.
Oggi, i leader populisti incarnano sia la fisionomia carismatica sia quella paternalistica e, proprio in virtù di ciò, riescono a reclutare il loro elettorato soprattutto nei settori urbani più poveri, tra quella che una volta era la classe operaia e nei quartieri cosiddetti “rossi”.
La vendetta che questi strati disagiati hanno verso la loro classe di riferimento li porta a rivolgersi ai leader populisti per vederla scalzata, polverizzata e annientata. E’ un odio viscerale che trova il suo sbocco naturale nella cieca adesione al populismo più bieco e turpe.
Questo strato sociale vuole sentire parole di fuoco, odio e disprezzo. Vuole una forma autoritaria ed assoluta per il suo leader. Il leader, che non riesce a portare avanti il programma promesso, si giustificherà sempre rivolgendosi alle masse chiedendo più poteri per realizzarlo. Gli elettori delusi dal leader saranno comunque disposti a seguirlo, perché non saranno mai disposti a rivolgersi alla parte che, per troppi anni, li ha delusi in ciò che avevano di più caro: l’ideologia.
Le fasce più svantaggiate cercano nel leader un giustiziere, quelle più integrate e stabili un protettore. Poi vi sono le fasce costituite da settori clientelari che spregiudicamene portano avanti i loro affari con più decisione e libertà.
Il leader carismatico ha la piena libertà di fare affermazioni moralistiche o amoralistiche a seconda dei momenti che ritiene più opportuni. In entrambi i casi non può essere assolutamente scalfito dai propri avversari che, sia per quanto riguarda l’aspetto morale sia per quello amorale, non hanno più voce in capitolo da tempo.