In morte del conflitto capitale/lavoro
ago 27th, 2010 | Di Stefano Moracchi | Categoria: Capitale e lavorodi Stefano Moracchi
La componente principale dei dominanti è costituita dagli imprenditori “moderni”. Con la fine del ruolo propulsivo e salvifico della “classe operaia” e, soprattutto, dell’implosione del modello sovietico, una parte del discorso marxista si è spostato ad analizzare la possibilità che certa imprenditoria “nazionale” (o facente gli interessi nazionali) potesse giocare un ruolo salvifico sostituendosi a certe analisi tardo-marxiste oramai impraticabili e inutili.
Analizziamo questi aspetti.
Vedere nel ruolo delle imprese, come l’Eni (ad esempio), l’agente storico capace di infondere una spinta antimperialista e, di conseguenza, la nascita di una futura formazione sociale adeguata a riprendere in mano lo scettro del cambiamento all’esistente, ha più di un punto di debolezza.
Secondo questa tesi, il padronato industriale nazionale nella sua affannosa ricerca di ricchezza, dovrebbe costituire la vera e propria forza motrice di sviluppo e contrasto agli interessi filo-Usa.
Questo tipo di analisi rappresenta, per certi versi, una semplice proiezione sulla realtà di una ritrovata affermazione del vecchio schema marxista, sostituendo al proletariato l’impresa nazionale e al sottoproletariato l’industria decotta o la finanza filo-Usa. L’inesattezza è talmente evidente, che la sua continua ripetizione si spiega solo mediante il fatto, che le analisi in essa fondate, costituiscono forme di indottrinamento, e non uno sforzo comprensivo della realtà.
Per chi si trova a vivere il perenne conflitto tra lavoro e non lavoro, o tra sotto-lavori, queste imprese non sono altro che una nuova forma di sfruttamento, e nella loro opera di rapina verso paesi terzi non garantiti, sono promotori di saccheggio e, cioè, nuove forme di sfruttamento coloniale.
Queste imprese sono niente altro che creatori e alleati della formazione imperialista industriale, e nel futuro, nel momento che si dovessero creare le condizioni, la nuova classe dominante all’interno del sistema economico.
Non c’è stato finora, da parte di queste imprese, nessuna prospettiva di cambiamento nell’esercitare le loro funzioni di dominanti in grado di creare le condizioni per una formazione sociale in sostituzione dell’esistente. Questo per il semplice motivo che tale imprese, come l’Eni, sono cresciute al fianco e non al di sopra dell’oligarchia politica e del padronato parassitario.
Secondo, e più importante, perché si è sviluppata in alleanza e non in contrapposizione allo sfruttamento imperialista. Terzo, perché non è mai arrivata al punto di mettere in discussione l’egemonia politica dei vecchi ceti, accontentandosi di partecipare al sistema in qualità di socio minore con interessi specifici da difendere.
Riporre speranze in queste imprese senza avere in mente la formazione sociale che dovrà prenderne in mano le redini, non è semplicemente utopistico, ma è profondamente errato nell’analisi storica.
Queste imprese hanno sempre svolto operazioni di sfruttamento e le abbiamo trovate in alleanze con gli agenti del capitale straniero come gli Usa. La parentesi di Mattei, lodevole per certe rotture e per certe alleanze scomode agli interessi americani, non ci deve far scordare il ruolo reazionario che ebbe nei riguardi del movimento operaio. Non solo manifestò sempre preoccupazione nei confronti di queste agitazioni, ma solidarietà con il vecchio regime.
Questo atteggiamento era naturale perché molti di quei dirigenti erano emanazione dell’oligarchia messa in piedi dal patto atlantico.
Il carattere nazionale di queste imprese, inoltre, non deve farci dimenticare il ruolo internazionale che svolgono e che raramente coincide con l’interesse nazionale, e quando ciò avviene i benefici per i lavoratori sono pari a zero.
Quando sorgono divergenze tra interessi nazionali e posizioni scomode con gli americani, queste si risolvono in accordi tra alleati, sotto la vigilanza del padronato bancario e del patriziato politico.
Il conflitto, quando c’è, è sempre all’interno del sistema e non potrebbe essere altrimenti.
Quello che auspica chi ripone speranze in questo ruolo salvifico delle imprese come l’Eni, deve pensare prima alla formazione sociale in grado di affermarsi per svolgere questo ruolo e non, al contrario, che dal ruolo di queste imprese possa nascere la formazione sociale. Altrimenti si ricade nella vecchia logica marxiana dell’impossibilità del formarsi del lavoratore collettivo cooperativo associato in alleanza con il general intellect. Se questa impossibilità è stata verificata non si vede perché dovrebbe invece essere possibile quest’altra fantasia.
Rimane, in chi scrive, l’importanza nel mantenere vive e vegete queste aziende, e nel difenderle dal tentativo meschino e miope, di chi le vorrebbe smembrare, senza tuttavia fornirle nessun ruolo in assenza di un soggetto del cambiamento.
Una bouna spazzolata come questa ( http://piemonte.indymedia.org/article/10477 ), ci vorrebbe