La questione sindacale (ieri) oggi (e …domani)

giu 22nd, 2010 | Di | Categoria: Contributi

di Michele Castaldo

Senza lasciare nulla tra le righe

K.Marx

Le questioni sono di gran lunga più complicate di come ad un primo impatto potrebbero sembrare. Affrontiamole di petto, senza falsi pudori.

Ci sono negli elaborati di straordinari compagni, congetture che assumiamo come tesi, e diamo per scontate quali verità assolute, senza confrontarle con un metodo materialista realmente tale, di conseguenza si è portati a sbandare tra Scilla e Cariddi, e ci si arena continuamente.

I compagni, nella stragrandissima maggioranza per non dire nella loro totalità, delle più svariate correnti, gruppi e organizzazioni tanto politiche quanti sindacali, assumono la storia della lotta degli oppressi non per come le determinazioni storiche l’ hanno prodotta, ma per come le teorie la avrebbero influenzata. In questo modo si capovolge l’uomo e lo si mette a camminare con la testa per terra e i piedi per aria. Un modo di concepire la storia che ha permeato un po’ tutti compresi e non esclusi fior di compagni del calibro di un certo Amadeo Bordiga che  – ne la ‘ Struttura economica e sociale della Russia di oggi’ – assorbito dalla necessità di dimostrare il carattere capitalistico della Russia, arriva a separare Lenin dal contesto reale ed a farne di esso una teoria, il leninismo, una continuità ed una ulteriore elaborazione della dottrina marxista e di questa una scienza che avrebbe illuminato dal di fuori e dal di sopra i processi sociali reali.

Viceversa, andrebbe operato il tentativo di intraprendere una ricerca a ritroso stando avvinghiato, come una padella allo scoglio, alla realtà dei fatti, man mano che si procede nell’approfondimento, e ci si renderebbe  conto di quanto idealismo è intrisa la letteratura che ci è stata tramandata. Quanta poca sintonia v’è tra la realtà determinata ed il pensiero che la ha espressa.

Questo fatto, lo stare cioè più alle idee di ‘come fare’ piuttosto che cercare nei fatti (participio passato di quanto già accaduto) il tentativo di proiezione del futuro, ha portato tutti i compagni, militanti e organizzazioni, fuori strada ed in alcuni casi anche a spasso fra le nuvole, fino all’autoesaltazione individuale del libero arbitrio, per le “scelte” operate.

Rimettiamo perciò i piedi lì dove essi per la forza di gravità sono e cerchiamo a testa bassa – cioè con umiltà – di capire bene cosa è successo e cosa potrà succedere.

Una questione, la questione: quella sindacale.

Come è stata affrontata quella che è da ritenere non una fra le tante, ma la questione intorno a cui tutto ruota nella moderna società divisa in classi. Cito a riguardo un gruppo della Sinistra Comunista, discendenti da Programma Comunista, che  professandosi materialisti e marxisti, titolano il loro lavoro a riguardo: “I comunisti e la questione sindacale “. Non il proletariato e la questione sindacale, ma i comunisti e la questione sindacale. Dunque sarebbero questi, i comunisti, che dovrebbero influenzare i proletari quando questi intraprendono le lotte sindacali. I sottoprodotti di questa impostazione ne hanno segnato il cammino che conosciamo: nullismo teorico e politico.

Se gli epigoni hanno esagerato, Lenin stesso, però, parte dallo stesso assunto e cioè di “ lavorare anche nei sindacati reazionari”. Apparentemente corretto. Attenzione però che il principio dottrinale che sottende questa tattica, è che i comunisti debbano, perché possono, influenzare il comportamento operaio nelle lotte sindacali, nelle lotte economiche ecc. ecc. Si tratta né più né meno che dell’applicazione alla questione sindacale della concezione teorica sulla ‘coscienza esterna da introdurre nel proletariato che da solo altrimenti potrebbe arrivare soltanto ad una coscienza tradunionistica’, che Lenin assume a sé nel ‘Che fare?’ da Kautsky, la cui sintesi è: ‘ cinghia di trasmissione ‘ dal partito al sindacato e questo -il sindacato- influenzato da quello -il partito-.

Mi rendo conto di apparire dissacrante di fronte a personaggi, compagni e tesi che la storia del movimento operaio ci ha consegnato quale necessità di memoria storica, ma non possiamo in alcun modo assumere il tutto come di un involucro ermeticamente chiuso e fuso come un tutt’uno quale minerale prezioso piuttosto che analizzare le rivoluzioni ed i vari cicli di lotte del proletariato per quello che  realmente sono state e cioè uno sconvolgere di equilibri sociali preesistenti ed un debordare del fiume in piena, un’eruzione vulcanica e dunque cercare di analizzare i vari materiali che tali evoluzioni hanno prodotto. Altrimenti detto: stare alla materia ed alla sua analisi nella dinamica degli eventi.

Come va altrimenti posta la questione sindacale? Cercando di capire innanzitutto, in che modo si sono formati i sindacati, cioè stando alla materia prima da cui trae origine il sindacato.

Ora, dall’Inghilterra, agli Stati Uniti, al resto d’Europa e poi successivamente in Russia, e poi nei paesi asiatici e nel Magreb, i sindacati sono sorti sempre e soltanto a seguito delle lotte della nuova classe schiava: il proletariato.

O di mutuo soccorso, per aiutarsi reciprocamente, o per difendersi dalla concorrenza, per la riduzione dell’orario di lavoro e migliori condizioni salariali e normative, sono successivi alle lotte, mai le precedono. Dunque è mal posta la questione ‘i comunisti e la questione sindacale’. Diversamente va posta e cioè: ‘ Il proletariato e la questione sindacale ‘ e cercare di capire i contesti che hanno determinato le lotte – che chiamiamo riflesso agente – del proletariato che ha trovato in quel tipo di organizzazione una forma transitiva e “conclusiva” di difesa per un ciclo, per un periodo storico fino al determinarsi di un nuovo ciclo di nuove lotte che determinano altre forme di difesa transitiva , “conclusiva” e cosi via. Il tutto non in maniera piatta, ma a macchia di leopardo, a seconda dell’andamento dell’accumulazione e della formazione delle varie categorie e settori che il Sistema del Capitale sfornava. Gli esempi più classici li troviamo negli Usa: Knigts, poi Afl, poi Cio, poi I.W.W., poi riflusso, poi ancora riunificazione della Cio con l’Afl, poi – quattro anno fa – la scissione di Chenge to win  e il rifluire di questi verso un nuovo riaccorpamento con l’Afl-cio.

In Italia le cose sono andate allo stesso modo, in un crescendo di lotte di categorie del proletariato che si unificarono, si costituì la Cgil, poi le scissioni da destra – nel riflusso operaio che dobbiamo prendere in considerazine  in quanto nuovo ciclo dell’accumulazione dei dopoguerra (sia della prima che della Seconda) – poi una fiammata a Torino del luglio 1962 e successivamente al biennio con l’autunno caldo e con esso consigli di fabbrica e comitati di base, e ricomposizione di patto unitario Cgil-Cisl-Uil, e nel riflusso di quelle  lotte  – qui uno dei veri punti in questione – si è preteso di stabilizzare quei comitati di base in fattore definitivo, di trasformare cioè un fattore determinato-momentaneo espressione del fluire dell’ondata di lotta in strutture formalizzate quali piccoli sindacati da offrire al proletariato in alternativa ai sindacati maggiormente rappresentativi in quanto “traditori” e “venduti”. Altrimenti detto si è voluto prolungare un filo di tensione dei lavoratori quando questi lo avevano interrotto. Si ritenne di poter ripercorrere un cammino simile a quello della Cgil: un nucleo che via via sarebbe cresciuto sempre di più.

E’ la lotta che esprime i comitati e per forza di cose di base. Se rifluisce e quando rifluisce la lotta, quelle strutture che con essa sono nate non possono in alcun modo avere od assumere un ruolo di spinta propulsiva, quale altrimenti si è teorizzato da più parti. Basterebbe leggere a distanza di 15 anni quello che scriveva Gigi Malabarba nell’opuscolo nel cui titolo è espressa la tesi programmatica:  “ Dai Cobas al sindacato”.  Non si tratta di buttare la croce addosso a questo o quel compagno, questo o quel gruppo o organizzazione, quanto piuttosto di negare un ruolo che si vorrebbe affidare al ‘sindacalismo di base ‘ che non può avere, perché essi sono nati con le lotte e dalle lotte, il rifluire delle quali sottrae ogni capacità innovativa e propulsiva all’involucro svuotato. Quando la lava si è raffreddata i materiali  in essa contenuti non riscaldano nemmeno nel torrido mese di luglio.

Prima subordinata.

Prendiamo il toro per le corna e affrontiamo il problema senza temere di essere assaliti dallo sconforto.

La critica che rivolgo ai compagni che hanno costituito i sindacati di base – senza eccezione alcuna – non è riferita al fatto in sé. Non è la costituzione di un altro sindacato l’aspetto teorico e politico di una certa gravità, ci mancherebbe. E’ la premessa che ne è alla  base della sua costituzione che è completamente sbagliata. E non lo è solo quella del ‘basismo’ degli ultimi 40 anni, ma lo sono allo stesso modo quelle correnti politiche che si rifacevano alla concezione tipo ‘Corrente Rossa ’, ‘ Cinghia di trasmissione ’, ‘Sinistra Sindacale ’,  ‘I.W.W.’ e similari che avevano la stessa pretesa del sindacalismo ‘basista’ che consiste nel tentativo di influenzare dall’esterno – e dunque “politicamente” – e perciò stesso di stimolare le lotte del proletariato.

Il punto in questione è: o il proletariato si costituisce in classe e si da in partito politico oppure il proletariato viene costituito in classe e aderisce al partito politico precostituito e preesistente. Tertium non datur. Se la tesi è corretta per il partito lo è a maggior ragione per la costituzione del sindacato (che poi si sia arrivati al punto da teorizzare che nasce prima il partito e poi il sindacato, fa parte sempre di assurde teorie biscardiane, da bar dello sport.)

Ora, tanto il ‘basismo’ quanto tutte le altre correnti che hanno dato origine a esperienze sindacali del tipo sopra detto, partono da un assunto materialisticamente sbagliato e cioè che il proletariato deve essere attratto da una preesistente forma organizzata di sindacato e ad esso rivolgersi. Il che è completamente sbagliato. Ma non è neanche questo il punto essenziale, perché il vero errore è espresso dal ritenere di difendere meglio di un altro il proletariato, dunque il proletariato ha necessità di affidarsi ad altri piuttosto che essere esso stesso l’artefice dei suoi destini: ‘L’emancipazione del proletariato è opera del proletariato stesso’. Dunque il soggetto diviene il sindacato e l’oggetto il proletariato piuttosto che ritenere il sindacato uno strumento formale che il proletariato si è dato e si dà.

Pertanto la questione non è se costruire o meno un nuovo sindacato, quanto la sua premessa in costituzione, che ne dovrà definire la sua azione che non potrà essere quella di competere sullo stesso terreno rivendicativo, ma di saper stare conseguentemente con e nella lotta del proletariato quando questa di dà. Il soggetto sono le masse dei lavoratori e se questi non si attivizzano niente e nessuno può ad essi sostituirsi. Non una difesa più coerente degli interessi dei lavoratori, ma appoggio più conseguente alle loro lotte, il che è molto diverso.

In questi miei appunti non intendo entrare nel merito del comportamento specifico delle svariate sigle del sindacalismo basista, o tentare di definire la loro maggiore o minore coerenza o il loro grado di burocratizzazione. Mi interessa più partire da una affermazione di Leonardo (segretario della nuova formazione sindacale, la Usb) che è  la sintesi, il pilastro su cui fondano le loro speranze i compagni del ‘basismo’ che è la seguente: «Ci hanno lasciato davanti una prateria», ossia il proletariato è stato totalmente abbandonato a sé stesso dagli altri sindacati, dunque è necessario fornire ad esso un nuovo strumento di difesa dei suoi interessi.

In questa espressione viene ad essere concentrata la premessa sbagliata per cui si tende ad agire in favore del proletariato. Ovvero la separazione tra la classe e le sue “precedenti” strutture sindacali (ma perché no anche politiche?). Altrimenti detto: le masse operaie hanno bisogno di essere difese, la Cgil non le difende più, noi ci offriamo quali difensori dei lavoratori. Dunque noi vi chiamiamo alla lotta e noi vi difendiamo. Si capovolgono i termini tra soggetto e oggetto, il sindacato diviene il soggetto agente o soggettività cosciente altrimenti detta, i lavoratori la massa che viene illuminata e che deve aderire alla soggettività cosciente.

Si parte con il piede sbagliato, perché nessuno abdica se non è costretto ad abdicare, è antidialettica questa concezione, la Cgil può soltanto essere costretta ad “abdicare” dalla lotta delle masse, il che è tutt’altra questione. Questo come tutti gli altri sindacati confederali maggiormente rappresentativi sono – volenti o nolenti – espressione di un ciclo dell’accumulazione  che si è chiuso, prima che i lavoratori ne prendano coscienza e si attivizzino realmente ce ne vuole.  Perciò, il vuoto o la prateria non è tra le masse dei lavoratori e i sindacati confederali in fuga da essi, quanto piuttosto l’assenza dei lavoratori dal campo di battaglia.

La mia tesi è che gli assenti hanno sempre torto, dunque se la Cgil viene ad essere attratta e sempre di più dalle sirene degli interessi capitalistici della nazione e del Sistema del Capitale nel suo complesso, questo è  possibile, per il silenzio dei lavoratori. Studiarne il quale, capirne ancor prima degli effetti, le cause, ci aiuterebbe non a stabilire che ci troviamo di fronte ad un’assenza dell’espressione formale del proletariato quanto piuttosto all’assenza di una attività reale di esso e dunque non che ad esso bisogna fornire un altro strumento formale di difesa, ma lavorare a che il suo ripresentarsi sulla scena ci trovi pronti a dargli una mano, ad aiutarlo. La qual cosa cambia e non di poco i termini della questione.

L’indire scioperi e manifestazioni prescindendo dallo stato d’animo reale dei lavoratori equivale a non tener conto di essi, a offrire loro una struttura a cui riferirsi, a sostituirsi all’oggetto – Cgil per esempio – piuttosto che a seguirne il suo surriscaldarsi come soggetto di classe.

Seconda subordinata: precedenti e successivi strumenti.

Dalla storia del movimento operaio alla quale diciamo di rifarci, emerge con chiarezza che le strutture formali del proletariato tanto politiche quanto sindacali, sono legate al ciclo di accumulazione del capitale e di riflesso agente all’azione di lotta del proletariato.

Ne consegue necessariamente che ad un nuovo ciclo debbano corrispondere nuove lotte e dunque nuove strutture tanto politiche quanto sindacali.

Alla Usb va riconosciuto un merito, e cioè quello di aver individuato in una sorta di piattaforma non soltanto rivendicativa uno strumento essenziale di lotta. Altrimenti formulato possiamo dire in questo modo: tramontato un ciclo ed in presenza di una grave crisi economica, il Sistema del Capitale non è più in grado di offrire una prospettiva accumulativa al proletariato come classe operaia seppure in sé vecchia maniera, e dunque essa diviene precaria su tutti gli aspetti della vita sociale. Un nuovo sindacato deve tener conto di questo e più che essere un sindacato tradizionale come lo sono o lo sono stati i sindacati maggiormente rappresentativi, deve porsi il problema della ‘complessità’ sindacale del proletariato vista la sua totale precarietà sociale. Cogliendo in ciò un aspetto estremamente interessante, ma fornendo ad esso la soluzione della volontà piuttosto della ricerca necessaria a come il proletariato può e già comincia a rispondere. Prendiamo ad esempio “estremo” Rosarno.  Potevano rivolgersi alla Usb i braccianti neri che diedero vita a quella ribellione? Certamente che no, tanto è vero che non si rivolsero. Come mai? perché?  Semplice la risposta: perché la Usb non poteva in alcun modo offrire la risposta alla loro domanda. Dunque la Usb coglie un aspetto importante della questione; ma i compagni devono sforzarsi di capire che la forza della ragione non può sostituirsi alla ragione della forza che può essere sprigionata solo dai lavoratori.

Così come tutte quelle vertenze che si vanno moltiplicando sul territorio sono la punta dell’iceberg di un malessere più generale che non può al momento trovare sbocco in un nuovo sindacalismo basista perché il procedere della crisi risospinge verso il baratro tutto il proletariato, anche in Occidente oltre che in Oriente e dunque le titubanze, le perplessità, le paure del proletariato sono relative alla prospettiva generale che non si intravede all’orizzonte e pertanto si continua ad arretrare in maniera “disordinata” e al più a  dare risposte del tutto non disordinate, seppur parziali perché locali, come in Grecia, uno degli anelli deboli.

Attenzione bene: tanto nell’esempio di Rosarno quanto nell’esempio greco, è assente la prospettiva indicata dalla Usb. Se altrimenti dovessimo portare a dimostrazione della validità del basismo la sua presenza in settori del pubblico impiego – trasporti, sanità, scuola -   e molto marginalmente in settori del privato (Iri, Alfa romeo,  per intenderci) dovremmo dire che proprio  queste esperienze mostrano la corda con il nuovo ciclo, la nuova fase che il Sistema del Capitale sta impattando. Insomma lo stesso basismo fa parte di un ciclo che si è chiuso e riproporlo con le stesse caratteristiche in una fase che si presenta con caratteristiche diverse, equivale a riproporre strumenti vecchi per nuovi compiti. Strano a dirsi, ma è così. Gli anni 70 rifluirono e rappresentavano un punto culminante di un ciclo di forte crescita dell’accumulazione. Non che non si dovranno o potranno dare comitati di base espressi dalle lotte. Quello che va negato è che un nuovo sindacato possa fungere da catalizzatore per sprigionare le lotte.

Terza subordinata: frammentazione o unitarietà.

E’ fuori di ogni dubbio che alla frammentazione è preferibile la unitarietà, e il tentativo della Usb va nella corretta direzione. La mia critica ha un’altra natura e cerco di meglio farmi capire.

I compagni della Usb affermano nei loro documenti: ‘a noi ci ha unificato la crisi’. Giustissimo. L’errore non consiste perciò nell’unificazione, quanto piuttosto il ritenere che questo processo in quanto tale possa scatenare una inversione di tendenza. Il punto in questione è questo. La dimostrazione sta nel fatto di aver voluto indicare una serie di scadenze di mobilitazione dando per scontato che il solo fatto dell’unificazione delle sigle potesse fungere da detonatore per reali mobilitazioni e scioperi dei lavoratori. In questo c’è una coerenza con la locuzione ‘ci hanno lasciato davanti una prateria’, cioè i lavoratori sono lasciati al loro destino, dunque diamoci da fare a fornire  una direzione sindacale adeguata nella crisi. Apparentemente non fa una piega. Poi però bisognerebbe spiegare a sé stessi, prima ancora che ad altri perché uno sciopero non riesce e la manifestazione neppure come per il 5 giugno

Nelle cose che scrivo, come si può notare, non c’è mai il tono della polemica, questa non mi interessa, perché ritengo che i problemi sono complessi e gravosi e vanno affrontati in quanto tali piuttosto che per partito preso e tono conseguente.

<< ….Per tali giudizi e verifiche empiriche, credo che bisognerà attendere i primi passi (a medio termine) della nuova esperienza sindacale, proprio per capire come si muoverà e in che direzione >> , era l’obiezione al mio scritto sulla non riuscita manifestazione del 5 giugno indetta dalla Usb.

Attenzione bene. Mi sono riferito solo, sempre e soltanto all’esperienza già consumata dai vari segmenti e dei momenti del movimento operaio. Non ho alcun pregiudizio nei confronti della Usb, come facilmente si evince dai miei scritti.  La mia critica è la stessa che mossi tre anni fa ad alcuni compagni a me molto vicini che ritennero all’indomani della sconfitta sul Tfr senza colpo ferire da parte dei lavoratori, di precipitarsi in uno sciopero a carattere “prevalentemente politico” , il quale, prevalentemente fallì.

Ora, con tutte le critiche di idealismo che si possono rivolgere a Lenin, questi si sforzava di stare sempre all’umore reale dei lavoratori e dei contadini, proprio per questa ragione ‘da solo ’ sostenne la maturità dell’insurrezione contro tutti gli altri dirigenti bolscevichi che la ritenevano impossibile a darsi. Tutto qua.  Attenzione bene, parlo dell’umore operaio, non del mugugno che ne rappresenta l’aspetto del suo opportunismo.

La Usb ha certamente fatto un passo politicamente giusto e necessario, che però può essere vanificato se ad esso si fanno seguire azioni che ne minano la giustezza e la necessità.   “Meglio essere uniti che sparpagliati” recitava il personaggio Pappagone magistralmente interpretato da Peppino De Filippo. Il problema vero è che non possiamo distruggere con un’azione successiva quello che abbiamo cercato di creare con una azione precedente. Gli scioperi li devono fare i lavoratori e noi dobbiamo saper cogliere il momento della sua maturità e intercettarla affinché si sviluppi nel migliore dei modi possibili ottenendo il maggiore risultato possibile. Gli scioperi fatti da militanti o dai soli comunisti, lasciano il tempo che trova, non sono scioperi, sono manifestazioni di coscienze individuali espressioni più del cervello che dello stomaco. Gli scioperi dei lavoratori non partono dalla coscienza – vedi Rosarno o Grecia -  ma dalla compressione della materia di cui lo stomaco per primo ne avverte i crampi. La Usb potrebbe avere un futuro solo e soltanto se dovesse raccordarsi materialisticamente alla fase, al ciclo, ai crampi dello stomaco piuttosto che al livello di coscienza dei militanti o dei comunisti.

Quarta subordinata: la quantità.

Non giriamo troppo intorno alle questioni, la quantità è qualità, in nessun caso possono essere capovolti i termini della questione. Se nel corso di 40 anni il sindacalismo basista non ha fatto il salto che riteneva potesse fare è perché non è stato espressione reale del reale umore dei lavoratori. Questo non vuol dire non essere più in avanti, vuol dire essere troppo in avanti e dunque non stare al passo col suo umore, aristocratico e conservatore.

Cgil-Cisl-Uil-Fingmec-Ugl stanno più all’umore reale dei lavoratori del sindacalismo di base? Purtroppo in un paese imperialista il proletariato è stato corrotto dall’Accumulazione del Sistema del Capitale, ed ha usufruito di briciole che quelle fetenzie di sindacati hanno saputo sintetizzare. Poi però quello stesso sistema comincia a mostrare le prime crepe – con le privatizzazione e le esternalizzazioni – e i lavoratori fin troppo abituati alle briciole, non riescono ad opporre una resistenza unita e compatta e cominciano ad arretrare. Il basismo è stato un tentativo oggettivo e necessitato, ma si è mostrato essere insufficiente perché è stata insufficiente la risposta complessiva che il proletariato ha dato.

Dunque la quantità è qualità, scadentissima qualità, ma questa è. Di converso, se la quantità non si trasforma in una diversa qualità – e questa lo può solo e soltanto con un attacco più in profondità che la crisi obbligherà a produrre – potremo avere al più un “distillato”, ma non avrebbe alcun senso ai fini del nostro ragionare. E se dovessimo avere la pretesa di diluire il distillato nella scadente qualità, otterremo la dispersione della qualità del distillato senza minimamente modificare la qualità della quantità.

Quinta subordinata: rapporto con gli altri sindacati e autoreferenzialità.

Premesso che non si tratta di dare indicazione di scioglimento della Usb e la confluenza in altri sindacati dei propri iscritti – in specie la Cgil -, ci corre l’obbligo di cercare di capire bene e in che modo muoversi e  quale rapporto dovrebbe intercorrere tra la Usb e gli altri sindacati sia confederali come la Cgil, sia basisti come i vari Cobas e altre sigle.

Va da sé che un atteggiamento come quello del Cobas di Taranto in presenza della manifestazione del 5 giugno della Usb, è di per sé stesso sbagliato, dunque da non prendere in considerazione. Lo definiamo autoreferenziale e sbagliato nella sostanza. Anche in questo caso vale la regola che non si propone il suo scioglimento e l’adesione dei propri iscritti ad altri sindacati.

Se però per questo discorso è valida la tesi di autoreferenzialità per il Cobasta  nei confronti della Usb del 5 giugno è altrettanto valido ritenere che è autoreferenziale l’atteggiamento della Usb nei confronti delle scadenze della Fiom o della stessa Cgil. Il criterio deve essere lo stesso, non possiamo usare un metro differente, o pesi differenti.

Si dirà, ma la Usb non è la Cgil, giusto, ma questo è chiaro non per la stragrande maggioranza dei lavoratori, ma per poche migliaia (?) di militanti e non sempre.

Premesso che è preferibile che si sviluppino scioperi e manifestazioni spontanee dei lavoratori e perciò stesso contro le organizzazioni sindacali “più rappresentativi”, nel senso che col maggior numero di iscritti. In assenza di queste, avremo necessariamente mobilitazioni di natura conservatrici – dello statu quo dei lavoratori – indette dalla Cgil in modo particolare.

Se non abbiamo la fretta di fare la battaglia per il tesseramento e vogliamo veramente renderci strumento in mano ai lavoratori, dovremmo mettere da parte nella sostanza la autoreferenzialità e privilegiare il senso del movimento reale. Questo deve voler dire che non andremo a criticare gli altri sindacati – nello specifico – la Cgil per i suoi “continui tradimenti”, per ottenere un passaggio di tesseramento dalla Cgil alla Usb,  ma andremo a spiegare ai lavoratori, volta per volta, senza mai perdere la pazienza, le conseguenze di determinati accordi siglati dagli altri sindacati e solo in presenza di una decisa volontà di continuazione della lotta dei lavoratori ne staremo alla loro testa. Ma per fare questo dobbiamo rinunciare fin dall’inizio all’autoreferenzialità, alla separazione a tutti i costi dalle scadenze della – ad esempio – Cgil. Peggio ancora se in presenza di uno sciopero indetto da altri sindacati – nello specifico dalla Cgil – andremo a invitare i lavoratori a non aderire allo sciopero ed a privilegiare una scadenza diversa, una nostra scadenza. Assumeremmo lo stesso atteggiamento nei confronti dei lavoratori che aderiscono allo sciopero indetto dalla Cgil, di come il  Cobasta nei confronti dei lavoratori o semplicemente compagni che hanno aderito alla scadenza della Usb.

Per fare questo – attenzione bene, anzi benissimo – non andremo a privilegiare ad ogni costo la separazione delle scadenze quale strumento per distinguerci e dunque autoreferenziandoci, ma parteciperemo unitariamente alle mobilitazioni delle confederazioni maggiormente rappresentative e ce ne separeremo da esse solo e soltanto in presenza, di una volontà diversa di lotta dei lavoratori.

Conclusione.

Quale futuro dunque per la Usb?

Solo se questo sindacato sorto dall’unione di più sigle di un precedente ciclo dello scontro di classe saprà correggere il vizio di origine in esso contenuto potrà avere un futuro, essere cioè un reale punto di riferimento per il proletariato.  I primi passi purtroppo non vanno nella corretta direzione. Il mio articolo precedente * voleva essere un invito alla riflessione, un segnale d’allarme, perché l’occasione che la crisi ci fornisce non venga buttata al vento a disperdere centinaia o forse migliaia di compagni.

La rincorsa alla tessera, alla autoreferenzialità che in una fase di crisi sta accelerando la concorrenza fra le varie sigle – vedi le varie iniziative degli Slai cobas, FlmuCub, ecc. – piuttosto che polarizzarle verso un lido unitario, ne rappresenta un pessimo presagio. Il paradosso potrebbe così essere descritto: il proletariato arretra in maniera disordinata, il sindacalismo basista “avanza” per spinte centrifughe, ovvero verso la diaspora.


* vedi mio articolo sul 5/6/2010 - Necessità di una seria riflessione.

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