Il federalismo fiscale: pratica e “ideologia” disgregativa
lug 3rd, 2010 | Di Lorenzo Dorato | Categoria: Politica internadi Lorenzo Dorato
All’ordine del giorno nell’agenda del governo italiano c’è, fin dall’inizio della legislatura, il federalismo fiscale. Lanciato dalla lega nord in ossequio al proprio universo ideologico e soprattutto alle istanze più “immediate” del proprio elettorato di riferimento, il federalismo fiscale è in realtà ampiamente supportato da una vasta gamma di forze politiche, dal Pdl al Pd passando per l’Italia dei valori.
Il federalismo, inteso come presunta autogestione e autogoverno dei territori facenti parti di uno Stato, ha naturalmente diverse forme e diversi significati. Non va confusa infatti la decentralizzazione amministrativa, la promozione delle culture locali e regionali e delle diverse forme organizzative dei singoli territori (che può essere giudicata positivamente) con il federalismo economico e l’iper- federalismo culturale, la cui ratio di fondo è lo svuotamento del solidarismo interno allo Stato-nazione e l’esaltazione dei particolarismi.
Il federalismo economico e fiscale prevede un contesto in cui ogni area regionale gestisce in proprio le risorse che preleva dai propri cittadini mettendosi in concorrenza con le altre regioni tramite la gestione del fisco (ad esempio attraendo imprese sul territorio grazie a regimi fiscali o normativi vantaggiosi che vanno a scapito dei servizi sociali e dei diritti del lavoratori).
Per iper-federalismo culturale intendo invece la decentralizzazione assoluta e marcata dell’istruzione a tutti i livelli, a partire dalla scuola, che finisce per svuotare la dimensione nazional-statuale negandogli una sua propria identità. Un conto ad esempio è promuovere l’insegnamento delle culture locali e territoriali oppure, come avviene in Spagna, delle lingue; altro conto è decentralizzare i programmi scolastici al punto tale da disconoscere l’esistenza di un programma forte comune, creando così i presupposti per il venir meno dello spirito culturale di unità dei cittadini, spirito che è anche la base per il senso di appartenenza ad una comunità politica che trascende, rispettandola e riconoscendola, la comunità micro-culturale in senso stretto.
Il federalismo economico-fiscale e l’iper-federalismo culturale sono i due cardini del tentativo di distruzione dall’interno dello Stato nazione. Parallelamente e in piena complementarietà agiscono in Europa e nel mondo le forze esterne di erosione della sovranità statale, ovvero le istituzioni antidemocratiche europee e quelle cosiddette internazionali in verità appannaggio della potenza egemone (Stati Uniti).
Quando si ragiona di federalismo bisogna sempre tenere conto dell’esistenza di precisi interessi capitalistici oggi egemoni favorevoli alla perdita di sovranità degli Stati (tutti tranne lo Stato dominante naturalmente). Le ragioni di questo interesse sono due: la prima è svuotare lo Stato, inteso come luogo reale del conflitto e del compromesso tra esigenze dei profitti e esigenze sociali e civili, di potere, eliminando poco a poco la cornice istituzionale che è stata l’involucro di tutte le lotte politiche e sociali. A prima vista si può obiettare che il federalismo avvicina il potere al cittadino. Ma è proprio qui l’inganno ed è qui che l’ideologia federalistica trova il suo consenso. L’apparente avvicinamente al cittadino è del tutto fittizio, poiché la Regione, intesa come unità micro-territoriale, non è e non sarà mai per propria struttura un organismo sovrano per le scelte decisive di politica-economica. La sovranità teorica rimane allo Stato che in buona parte l’ha sciaguratamente ceduta alla tecnocrazia europea, ma tale sovranità per l’appunto resta teorica poiché lo Stato non può più attuarla pienamente a causa della pluralità di poteri regionali in competizione tra di loro che di fatto annullano l’efficacia di qualsiasi provvedimento. Il risultato è che la sovranità anziché avvicinarsi al cittadino semplicemente perde di consistenza e si corrode nel labirinto dei poteri stratificati e apparenti e tra di loro concorrenti. Il cittadino toscano, calabrese o lombardo vive nell’illusione di godere di una sovranità regionale ravvicinata, ma ignora che la regione non è altro che l’esecutrice materiale di direttive che provengono da Brussels o da Washington e che quel poco di autonomia decisionale residua che era nelle mani dello Stato, è ulteriormente erosa proprio dallo pseudo-potere di regioni sottomesse ad unico vero potere post-statale.
La seconda ragione alla base dell’interesse imperialistico e capitalistico verso il federalismo fiscale (la prima abbiamo visto attiene allo svuotamento dell’involucro sovrano del conflitto sociale) riguarda i rapporti di forza tra le diverse formazioni capitalistiche nazionali, laddove la potenza egemone e in generale le potenze egemoni hanno tutto l’interesse a depotenziare la capacità di sviluppo e di accrescimento di peso specifico sul panorama internazionale politico e commerciale di altre potenze sub-dominanti. In tal senso il federalismo è imposto come arma di sottosviluppo, di disgregazione territoriale e di attacco contro potenziali strategie industriali e commerciali statali-nazionali ostili alla potenza egemone. D’altronde una delle armi da sempre usata dagli imperialismi è stata quella del divide et impera per meglio controllare non solo le terre colonizzate e sfruttate, ma anche i propri potenziali concorrenti nel dominio mondiale. La spinta verso federalismi sempre più accentuati (sul piano economico-fiscale in primis) va letta nel quadro della strategia del divide et impera similmente all’appoggio a molti separatismi e scissionismi in diverse aree del mondo (dal Tibet alla Cecenia, dal Darfur all’Ex-Jugoslavia ed Ex-Unione Sovietica).
Ma veniamo alle ragioni addotte da coloro che propagandano la bontà del federalismo nell’attuale contesto capitalistico occidentale e in particolare in Italia. La tesi ufficiale dei sostenitori del federalismo è la responsabilizzazione delle gestioni politiche locali a fronte del divario economico tra nord e sud attribuibile secondo costoro a inefficienze e assistenzialismo. Non sarebbe ammissibile che una parte della nazione produca assai di più di un’altra parte per poi dover redistribuire le risorse ai nullafacenti. Il problema della sperequazione nella produzione e nel reddito naturalmente è un problema serissimo dellItalia. Tuttavia la sua causa non è certo l’assistenzialismo statale né lo spirito nullafacente del meridionale medio. L’assistenzialismo è soltanto un tappa-buchi di una situazione di mancanza di sviluppo strutturale del sud che si protrae dai tempi dell’unità d’Italia ed è il frutto avvelenato di una pura operazione di carattere coloniale che fece del sud l’esportatore di manodopera e della borghesia del nord il suo sfruttatore. Oggi la manodopera da sfruttare viene da ben più lontano, ma il sud resta un’area geografica ad altissima disoccupazione e basso sviluppo economico. La ragione è la cronicizzazione del dualismo nord-sud dovuta alla mancanza di una politica economica centrale forte che non fosse semplicemente di carattere emergenziale e di breve periodo (con le innumerevoli casse per il mezzogiorno finite ad ingrossare sacche di malaffare volta per volta). La responsabilità del sottosviluppo del sud è al 100% italiana e di tutta l’Italia, dell’incapacità di rompere la logica colonialistica su cui scaiguratamente è nata la nostra nazione politica permettendo il dilagare della criminalità organizzata collusa con lo Stato e lasciando il sud in balia di un circolo vizioso: sottosviluppo-criminalità-degrado sociale-sottosviluppo.
La Lega nord e tutti i partiti favorevoli al federalismo economico-fiscale diffondono nella popolazione l’idea che il prelevamento autonomo delle risorse fiscali e la loro gestione interna alla Regione, permettono un ristabilimento della responsabilità dei territori e della vicinanza dei cittadini alla gestione economica. In realtà, come abbiamo visto, il federalismo non fa altro che creare deliberatamente un intreccio di poteri impotenti e in reciproca competizione, al fine di:
1-svuotare il senso della sovranità politica, sia sul piano culturale che sul piano strutturale e materiale.
2- creare le condizioni per una concorrenza al ribasso sulla fiscalità con grave detrimento per lo Stato sociale (delocalizzazione delle imprese tra regioni a diverso regime fiscale) e per le condizioni dei lavoratori.
3- ricreare entro gli Stati-nazione le stesse condizioni già esistenti nel catastrofico regime di libera circolazione di capitali e merci privo di politica economica centralizzata presente nell’U.E.
In sostanza l’obiettivo reale del federalismo è un obiettivo imperialistico e di classe. Da un lato si punta all’erosione di sovranità (dall’interno) dello Stato, colpendolo nel suo potenziale margine residuo di intervento pubblico di carattere sociale e redistributivo, nonché di politica industriale; da un altro lato si punta a favorire la concorrenza a ribasso tra le regioni.
Non a caso il programma di regionalizzazione, federalismo, autonomia dei territori è stato sponsorizzato da Washington fin dal principio degli anni 90, contemporaneamente ai lauti investimenti per il finanziamento dei nazionalismi separatisti spacca-nazioni politiche (come in Jugoslavia). Il tutto si è accompagnato al rafforzamento dei vincoli europei, producendo così sia dall’interno che dall’esterno degli Stati una condizione di imposta e ricercata impotenza politica degli stessi. E l’impotenza politica di uno Stato è il primo passo per confondere il cittadino e il lavoratore privandolo degli strumenti di rappresentanza reale, unico vero involucro di qualsiasi lotta civile e sociale sensata.
Essere contro il federalismo fiscale significa essere contro un ulteriore spazio di dominio imposto dalle oligarchie capitalistiche e rivendicare il senso e l’importanza della sovranità politica, non certo in chiave di difesa di strategie di potenza nazionali, ma in chiave di tutela della sovranità popolare da incanalare a fini di trasformazione sociale.