Sul 5/6/2010 – Necessità di una seria riflessione
giu 9th, 2010 | Di Michele Castaldo | Categoria: Contributidi Michele Castaldo
Sulla non riuscita manifestazione del 5 giugno della Usb è necessario riflettere ben oltre le schermaglie fra organizzazioni che certamente si svilupperanno, addossandosi reciprocamente responsabilità che in ben altro risiedono e che è necessario venirne a capo.
Schematizzo per punto per meglio farmi intendere:
va ripresa una discussione più profonda su un punto teorico centrale quale il modo di intendere del sindacato e del suo darsi in quanto struttura di difesa degli interessi dei lavoratori;
va definita meglio la questione che intercorre tra il proletariato e la questione sindacale per come essa storicamente si è determinata.
Infine: come ci si presenta all’oggi, con una crisi economica senza uguali nella storia dal sorgere del Sistema di funzionamento del Capitale.
Fatta questa brevissima premessa, espongo per tesi la questione.
1) Non è vero che la crisi genera fughe centrifughe di settori proletari verso soluzioni formalmente più radicali, più estremiste quali ritengono di essere i sindacati di base.
2) Non è vero che una scissione di strutture burocratiche o meno, del sindacalismo esistente e maggiormente rappresentativo allo stato reale, genera una trasmigrazione all’esterno di detti sindacati. Mi riferisco in questo caso a quella avvenuta negli Usa dall’Afl-cio.
3) Non vero che la somma di più sigle di pre-esistente sindacalismo originate in un periodo precedente – Cub, Cobas, Slai, Sdl ecc. ecc. – e legati per forza di cose al contesto, in presenza di una seria crisi economica attrae a sé settori consistenti di lavoratori in modo particolare di quelli dei settori più colpiti ed automaticamente li mobilita.
4) Che a maggior ragione la moltiplicazione di sigle e la rincorsa alla autoreferenzialità sindacale – oltre che, beninteso alla riscossione automatica delle quote – non aiuta per niente una vera ripresa della lotta del proletariato. Essa si da quale riflesso agente all’attacco del Capitale. (Un esempio – l’ultimo in ordine di tempo di una serie di fesserie comportamentali – ci viene fornito dai Cobasta alla vigilia della manifestazione della Usb del 5/6. *)
5) Che il sindacalismo di base sviluppatosi dagli anni 70 ad oggi aveva una sua ragion d’essere anche nella fase economica che il capitalismo imperialista italiano viveva e che spingeva determinate categorie, particolarmente attive del Pubblico Impiego, a difendersi anche con fughe centrifughe, perché costrette dalla compressione dello spirito concertativo dei grandi sindacati confederali che rincorrevano il Capitale nella sua corsa verso le privatizzazioni, le esternalizzazioni, la precarietà ecc. ecc.
6) Che la crisi, questa crisi, ci dice che si apre una fase dello scontro Capitale-Lavoro molto diversa dal passato ed in modo particolare dei cicli – almeno per l’Italia – autunno caldo ed il suo breve seguito e il 77 ed il suo ancor più breve seguito.
7) Che in questa fase si sta verificando – e ce n’erano tutte le premesse, non poteva essere altrimenti – che il proletariato nell’impattare questa crisi, arretra lentamente e inesorabilmente e per forza di cose anche “disordinatamente”.
8) Che tale arretramento non ha altre possibilità di diluirsi in mille rivoli perché non esistono molte vie di fuga e pertanto vengono ad essere risospinti ordinatamente dalla forza del Capitale verso il baratro da cui saranno necessitati a reagire a ondate come è successo di recente in Grecia, così come accadrà in Romania, Ungheria e sempre di più si stringerà il cappio fino ai grandi paesi europei.
9) Che storicamente ogni qualvolta il proletariato, in tutti i continenti, ha ingaggiato una battaglia vera contro la borghesia lo ha dovuto sempre fare scontrandosi con le strutture sindacali del preesistente ciclo. Lo scontro dei lavoratori in Oriente alla Honda con il sindacato statale ne è un esempio plastico e lampante.
La manifestazione del 5 giugno è andata oltre ogni qualsiasi peggiore aspettativa. E’ un dato di fatto non contestabile. Né si può giustificare questo risultato dicendo che v’erano state nei giorni precedenti altre manifestazioni o che faceva caldo. Gli organizzatori si aspettavano una risposta molto più convincente. Questo dimostra che non basta uno sforzo di volontà a determinare una svolta nel rapporto tra sindacati compatibilisti (Cgil, Cisl, Uil e vari, comunque con differenze tra la prima e le altre che vanno sottolineate) e lavoratori. La situazione di crisi, è vero, come dice il compagno (Michele C.), non determina di per sé una radicalizzazione dei lavoratori, né tanto meno un travaso di simpatia dai vecchi sindacati ai “nuovi”. Perché questo accada è necessario che si avvii un circolo “virtuoso” di lotte impegnative dalle quali, solo, potrà nascere il superamento del vecchio quadro. Quindi, ci aspettiamo di vedere cosa succederà quando un nuovo ciclo di lotte si aprirà. Questo non vuol dire, però, che automaticamente si daranno nuove strutture organizzative in grado esprimere adeguatamente il nuovo ciclo. Gli sforzi compiuti oggi, anche se pieni di limiti, senz’altro saranno d’aiuto nel momento in cui si apriranno nuovi scenari. Nel bene e nel male, saranno un termine di paragone dal quale non si potrà prescindere. Per questo, ritengo che vadano seguite con attenzione ed umiltà tutti gli sforzi soggettivi compiuti nella direzione di offrire ai lavoratori strumenti di difesa in grado di contrastare le manovre capitalistiche generate dalla crisi. E chi può dare un contributo lo dia.