Profezie che si avverano da sole: dall’euro all’Iran
giu 7th, 2010 | Di Pietro Garante | Categoria: Politica Internazionaledi Pietro Garante
1. Esistono delle profezie che vengono dette “autoavverantesi”. Se ad esempio dico a una persona “Prevedo che riceverai uno schiaffo” e un secondo dopo glielo do io, la mia previsione si è banalmente autoavverata.
In politica e in economia, come sapeva benissimo Lord Keynes, le previsioni solitamente si dividono in due gruppi: quelle sbagliate e quelle che si autoavverano.
Poi, ovviamente, esistono i fatti che succedono senza che nessuno li abbia previsti. E sono la maggioranza. Ma torniamo alle profezie, quelle cose che fanno pensare che si possa tenere sotto controllo il corso della Storia.
Se Soros prevede la crisi dell’euro e poi l’8 febbraio 2010 si incontra in un ristorante di New York con John Paulson, Steven Cohen, Donald Morgan, David Einhorn e Andy Monness – ovvero i gestori degli “hedge funds” più ricchi e potenti del mondo – e insieme decidono di dare inizio alle danze, è chiaro che la previsione era di quelle destinate ad autoavverarsi. Dopo di che qualche “esperto” si è messo a cercarne le cause in libreschi meccanismi del mercato finanziario, in “debolezze strutturali” di quel Paese, o nel debito sovrano di quell’altro, e come al solito noi ne paghiamo le conseguenze.
Dovremmo invece chiederci: dove sta New York? E’ per caso una città deterritorializzata o sta negli USA? I finanzieri sopra nominati, che cittadinanza hanno? Una cittadinanza dederritorializzata? Oppure statunitense? E l’immenso debito pubblico statunitense in mano estera, il mostruoso deficit della sua bilancia dei pagamenti, che esportano in tutto il mondo tensioni e squilibri insopportabili da almeno mezzo secolo, perché non sono mai messi sotto accusa? La risposta è ovvia: perché sono “debiti politici” e non “debiti economici”, con buona pace dei supertecnici economisti “borghesi” e con buona pace degli economicisti marxisteggianti di ogni tipo. Continuare a parlare di “oligarchie finanziarie internazionali” è volere non uscire dallo stato onirico che ci ha accompagnato e cullato culturalmente in questi anni. Se il debito USA è politico e non economico e le tensioni e le scorrerie corsare partono da lì, allora anche le risposte dovrebbero essere politiche e non economiche (alla faccia dei meccanismi “economici” obbligati coi quali noi veniamo sempre bastonati). E per favore lasciamo perdere la “crisi del capitalismo” tout-court e il neo-liberismo come “fase suprema del capitalismo” (per lo meno Lenin la rivoluzione l’aveva fatta veramente): queste sono semplicemente profezie sbagliate.
2. Ci sono poi curiose profezie autoavverantesi che sono fatte per coprire profezie volutamente sbagliate. E’ il caso della “previsione” del dottor Kissinger riguardo lo scoppio della cosiddetta “rivoluzione verde” in Iran, addirittura due settimane prima delle elezioni presidenziali in quel Paese.
In questa congiuntura siamo infatti stati testimoni di un intreccio abbastanza caotico di previsioni. Nel giugno del 2009 un sondaggio del Washington Post dava come vincitore Ahmadinejad in proporzione di 2 a 1, cioè addirittura superiore all’effettivo esito elettorale. In ciò concordava con una trentina di altri sondaggi; in più rilevava che tra i giovani dai 18 ai 24 anni c’era “il blocco più forte a favore di Ahmadinejad” mentre “gli studenti universitari e i laureati, e gli iraniani con la fascia di reddito più alta” erano “gli unici gruppi demografici nei quali Moussavi è in testa o competitivo”.
La cosa a prima vista curiosa è che il dottor Kissinger previde una rivolta non dopo la pubblicazione dello scioccante sondaggio del Washington Post, ma nelle ultime settimane pre-elettorali, quando invece si parlava di una rimonta all’ultimo momento di Moussavi. Ma con un po’ di logica si arriva a capire che se il dottor Kissinger contemporaneamente strologava di rivoluzioni verdi, la suddetta “rimonta” era solo fumo negli occhi mediatico gettato per preparare il terreno (chi avrebbe creduto alla storia dei brogli se tutti continuavano a dare Moussavi perdente per molte lunghezze? nessuno, ovviamente: perché imbrogliare alla grande quando si ha la vittoria in pugno? per avere 11 milioni di voti in più invece che “solo” 10 milioni? ma dai!). Bisognava modificare preventivamente la realtà nella testa dei bravi occidentali, buonisti, politicamente corretti e così rispettosi dei diritti umani (come tutta la nostra storia, anche recente, sta a dimostrare).
Coerentemente con questo impianto, alcune ore prima della chiusura dei seggi, quindi a conta non ancora iniziata, Moussavi si autodichiarava vincitore col 60% dei voti e ai primi risultati contrari squadre di guastatori verdi iniziavano a scorazzare per Teheran sparando, devastando e urlando al “broglio elettorale”.
Il resto lo sappiamo: le persone che formavano il famoso “gruppo sociale” individuato dal Washington Post, favorevolissime alla globalizzazione neo-liberista, furono sostenute dai loro colleghi occidentali no-global e antiliberisti in un tripudio di confusione, incoerenza e servigi più o meno consapevoli resi agli Stati Uniti.
Il dottor Kissinger, il mandante dell’assassinio di Allende, infatti commosso ringraziava: la sua profezia si era avverata.
Ma alla fine si arrabbiò sbottando: “Cazzo, abbiamo speso 400 milioni di dollari per nulla: questi ‘verdi’ sono proprio delle seghe. Mi sa che a questo punto bisogna andare noi a bombardare l’Iran” (sintesi un po’ pittoresca ma fedele di sue due dichiarazioni).
3. Perché ne parlo? Ne parlo perché il terreno propagandistico per tutto ciò fu preparato in Italia da una serie di servizi apparsi sui giornali del Gruppo Espresso, e in particolare da un reportage del “Venerdì di Repubblica” da Teheran in cui si celebrava la santificazione preventiva di Moussavi e di sua moglie, futuri vincitori elettorali in un Iran che voleva riscattarsi. In parole povere, il suddetto reportage era curiosamente organico alle profezie del dottor Kissinger.
Attraverso quali strani meccanismi avvengano queste sinergie io non lo so dire, a meno di affidarmi a immaginifiche ipotesi. Fatto sta che in questa settimana, sull’ultimo numero del “Venerdì di Repubblica”, si sta ripetendo un’operazione che sembra simile. Dopo una prolungata assenza, affascinanti signore della Teheran bene ci avvisano da quelle pagine patinate che “sarà un 12 giugno di terrore: il regime vuole chiudere i conti”. Il 12 giugno è l’anniversario della rielezione di Ahmadinejad. Cosa succederà?
Mala tempora currunt quando sul “Venerdì” si scrivono cose di questo genere.
Se poi aggiungiamo il massacro israeliano sulla nave turca della Freedom Flotilla e la conseguente crisi diplomatica tra i due Paesi una volta alleati, l’insubordinazione agli schemi geopolitici atlantici della Turchia, fino a ieri col suo potentissimo esercito bastione orientale dell’Alleanza e oggi tutta presa a inciuciare col Brasile di Lula, con l’Iran di Ahmadinejad e con la Siria di al-Assad, se aggiungiamo ancora i sottomarini israeliani armati di missili con testate nucleari che ormai incrociano stabilmente nel Golfo, e infine se mettiamo “in the picture” l’escalation in Afghanistan e le ultime bellicose intenzioni degli Stati Uniti nei confronti del Pakistan, abbiamo un quadro molto poco rassicurante.
Sarebbe dunque il caso di rendersi conto che non c’è la “crisi del capitalismo”, ma solo che gli ultimi sussulti della seconda Belle Epoque targata Clinton sono totalmente finiti.
Qualcuno si ricorda cosa era successo dopo la prima?