L’Afghanistan e le lacrime dell’imperialismo buono
mag 29th, 2010 | Di Lorenzo Dorato | Categoria: Contributidi Lorenzo Dorato
Ogniqualvolta cade un soldato italiano sul fronte imperialista afghano, sgorgano le lacrime dell’ipocrisia e dell’arroganza. I politici, esecutori a distanza (e per conto terzi) della mattanza afghana, si affrettano a manifestare il loro più vivo cordoglio alle famiglie delle vittime della cui morte essi stessi sono in verità i veri corresponsabili. E’ forse il caso di ricordare in pochissime righe cosa realmente gli occidentali hanno creato in Afghanistan negli ultimi 42 anni, per capire quanto siano sporche le lacrime di chi finge cordoglio di fronte alla morte dei nostri soldati mandati a morire per interessi capitalistici (per giunta stranieri).
Era il 1978 quando l’Afghanistan conosceva una propria rivoluzione socialista e popolare dopo decenni di regime monarchico fantoccio sotto il controllo dell’imperialismo occidentale. La vicinanza del nuovo Afghanistan democratico e popolare all’ ‘Unione Sovietica, mise subito in guardia gli USA che nel giro di pochisso tempo organizzarono e armarono la guerriglia dei mujaeddin provenienti dal vicino Pakistan, mesi prima che l’esercito sovietico entrasse in territorio afghano. I sabotatori della rivoluzione popolare si dedicarono a massacri, stupri, attentati al fine di destabilizzare il neo-nato governo facendo così il gioco dell’imperialismo nord-americano. Vi fu poi l’avventata e sciagurata (anche se interna ai patti di mutuo soccorso reciproco tra governi amici) entrata dell’esercito sovietico in Afghanistan e di li ai successivi dieci anni l’Afghanistan divenne teatro della guerra fredda tra i due blocchi. I sovietici si ritirarono sconfitti alla fine degli anni 80, ma il vero sconfitto era il popolo afghano precipitato in un caos politico e sociale senza freni, governato da potentati locali e tribali in reciproca guerra fratricida, in balia dell’anarchia sociale e della violenza più efferata contro le fasce più deboli della popolazione (donne e classi dominate). I talebani entrarono in scena al principio degli anni 90, anch’essi ben pagati dai servizi segreti americani al fine di riportare un po’ d’ordine in un Afghanistan divenuto ormai fuori controllo e difficile da gestire per conto degli affaristi capitalisti. Alla violenza tribale caotica in poco tempo si sostituì il più affidabile ordine oscurantista e feroce dei talebani. Tutto procedeva secondo gli interessi occidentali finché il governo talebano osò mettere in discussione il grande affare dell’UNOCAL per il passaggio di un importantissimo oleodotto sul proprio territorio. Siamo nel Luglio del 2001. Contestualmente gli USA già covavano da anni il progetto di un salto di qualità nel dominio globale da attuare con nuove strategie più aggressive. L’11 Settembre spianò la strada creando il casus belli per il ciclo di invasioni e guerre preventive scatenate dagli stutunitensi e dai loro lacché. Nella prima decade di Ottobre cominciarono i bombardamenti a tappeto sull’Afghanistan, nuovo stato canaglia accusato di proteggere la fantomatica Al Qaeda, presunta responsabile dell’attacco alle torri gemelle. Seguì l’invasione terrestre, la legittimazione ex-post da parte delle Nazioni Unite e il dispiegamento di una missione congiunta tra i membri della NATO, tra cui ovviamente l’Italia sempre in prima fila nel seguire le orme del padrone-alleato. Da allora l’Afghanistan, già martoriato da anni di conflitti eterodiretti scatenati e rifocillati ad arte dall’imperialismo occidentale, vive lacerato dalle ferite quotidiane di una guerra che sembra infinita il cui scopo principale è il controllo geo-strategico di una zona chiave per il conflitto tra la potenza ancora egemone, ma in via di decadimento (gli USA) e le nuove potenze emerse (Cina e Russia in primis). Allo stato attuale la resistenza afghana, composita, piena di contraddizioni interne, ma comunque tenace e restia a cedere il passo alla ferocia colonialistica, controlla gran parte del territorio nazionale e mette continuamente sotto scacco le truppe NATO presenti sul territorio e ormai impantanate in una situazione sempre più complicata.
Nella guerra, come in tutte le guerre, muoiono le vittime, muoiono gli aggressori, muoiono i militari e muoiono i civili. Distinguere con esattezza atti di legittima resistenza degli afghani da atti terroristici frutto di contraddizioni interne in cui perdono la vita anche numerosi civili spesso è assai arduo. Ciò non toglie, tuttavia, che in Afghanistan esistono degli aggressori e degli aggrediti, dei carnefici e delle vittime e che, al di là del giudizio sulla situazione interna del paese e sulle sue contraddizioni, esiste una legittima resistenza armata che lotta per scacciare l’invasore anglo-americano con la sua corte di servitori NATO. Questa resistenza è composita, ma annovera tra le sue fila quegli stessi talebani che gli occidentali pagarono profumatamente quando potevano offrire loro i servigi del caso. Oggi i talebani, che piaccia o no, sono a pieno titolo interni alla resistenza afghana e combattono contro le forze illegittime di occupazione. Quando avviene un attacco contro i soldati NATO, quest’attacco è parte della strategia di resistenza armata. Chi lo definisce in termini di terrorismo ha deciso consapevolmente o meno di adottare il linguaggio imperiale che, specie negli ultimi dieci anni, ha compiuto una vera e propria rivoluzione semantica per giustificare e rendere accettabili agli occhi dell’opinione pubblica le proprie sciagurate nefandezze e violenze.
E veniamo ora finalmente alle lacrime dell’imperialismo buono. Nella vulgata neo-coloniale le guerre di aggressione ai paesi canaglia vengono definite missioni per l’esportazione della democrazia, del diritto occidentale e per la prevenzione del terrorismo internazionale. I soldati mandati a morire al fronte sarebbero quindi missionari che si sacrificano sull’altare dei sacri valori occidentali. Questa vergognosa descrizione dei fatti è funzionale a celare la natura esclusivamente imperialistica (nel caso dell’Italia sub-imperialistica per conto terzi) delle guerre suddette. Un’ intera corte di giornalisti, opinionisti e politici lavora per legittimare questa immagine rassicurante alla quale però quasi nessuno crede più.
La scorsa settimana sono stati fatti saltare in aria due nostri soldati. Sarebbe un errore molto grave liquidare le morti come il meritato destino inevitabile dell’aggressore che ha liberamente scelto di aggredire e subirne le eventuali conseguenze. I nostri soldati sono aggressori materiali, senza dubbio, e la loro santificazione in vita e post-mortem da parte dei politici, dei sacerdoti che celebrano i funerali e della stampa è parte della strategia di manipolazione della verità che offende le vere vittime e i veri aggrediti. Tuttavia gli aggressori principali, quelli che hanno realmente in mano le sorti del conflitto, quelli che non si sporcano le mani, che non rischiano nulla, che straparlano di patria e di democrazia, di coraggio e di terrorismo non sono certo i nostri soldati al fronte, ma i loro mandanti ufficiali che a loro volta obbediscono a mandanti ben più potenti non ufficiali.
L’esercito oggi non è più di leva obbligatoria come era un tempo. Chi fa il soldato lo sceglie e sa che potrà finire in qualche paese staniero ad ammazzare innocenti. Lo fa di certo perché ben remunerato, ma anche spesso per uscire da una situazione di disoccupazione, di povertà (non a caso vi è un’alta percentuale di giovani meridionali nell’esercito professionale italiano). Il soldato è l’ultimo anello del meccanismo e gli ultimi anelli sono quelli che entrano in contatto con la dura realtà e che, nella fattispecie, rischiano realmente la propria vita per interessi a loro estranei e forse in molti casi senza neanche rendersi conto della vera ragione politica delle mattanze cui partecipano. Questo non assolve il soldato dalla sua responsabilità di fronte ad una scelta comunque entro certi limiti libera. Tuttavia ci aiuta a misurare onestamente i pesi delle responsabilità reali. Nè eroi, né vittime i nostri soldati! Solo semplici persone che compiono un cammino sbagliato e a cui è riservato il posto più scomodo e drammatico della strategia imperialista attiva. Tanto scomodo che spesso porta ad una morta prematura!
Il cordoglio alle famiglie dei nostri soldati morti è dovuto, ed è dovuto per non precipitare in quel nichilismo estremistico di chi un po’ vanamente gridava 10, 100, 1000 Nassiryia. E il cordoglio non è dovuto solamente perché si tratta di giovani morti anzitempo (ovvero come pura e semplice solidarietà umana generica, pure comprensibile), ma è dovuto perché i nostri soldati, pur se aggressori, sono l’ultimissimo anello di una lunga catena. Ma tale cordoglio è oggi la patina politica dell’ipocrisia dei carnefici che gridano al terrorismo quando muoiono i soldati italiani e si strappano i capelli dal dolore, fingendo di ignorare che ogni giorno muoiono sotto i colpi occidentali decine di afghani resistenti o inermi e molti altri ne muoiono di stenti, fame, freddo e malattie curabili. Il cordoglio si trasforma così nell’arma imperialistica emotiva d’elezione per stringere attorno ai propri “eroi” la nazione simulando la condivisione di valori e ideali. Un’arma per nascondere la verità.
Il vergognoso patriottardismo (che di patriottico ha davvero ben poco) della nostra classe politica pronta a celebrare i nostri presunti eroi strappati alla vita per gli ingordi interessi dell’imperialismo, va combattuto sapendo descrivere la realtà per quella che è, riportando a galla la verità della guerra troppo a lungo nascosta dal linguaggio neo-coloniale, ricordando che esistono degli aggressori e degli aggrediti, che esiste una legittima resistenza armata e che democrazia e diritti umani sono imposture concettuali oscene inventate per drogare il consumatore di opinioni occidentale.
La migliore consolazione, se mai ce ne potrà essere una, per le famiglie dei soldati colpite dal lutto, è quella di disvelare la verità, ricordare i figli fuori dalla retorica di chi li vorrebbe ridurre a pupazzi utili, dopo morti, per la causa imperialista, ricordarli come ragazzi e persone normali, vittime di una strada sbagliata e “legalmente criminale”, fatta di aggressione, violenza e morte.
La vera solidarietà e il vero cordoglio non possono che essere espressi contribuendo a fare luce sulla verità della guerra e lottando affinché i soldati italiani vengano immediatamente fatti rientrare a casa ponendo fine alla nostra complicità attiva nell’occupazione illegittima dell’Afghanistan.